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"Non ti scordar di me" di Marion Rankine: il lusso dell'ombrello

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Non ti scordar di me
di Marion Rankine 
Il Saggiatore, dicembre 2025 

Traduzione di Ludovica Marani 

pp. 251
€ 19,00 (cartaceo)

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Mai avrei pensato di potere avere l'occasione di leggere un libro sulla storia dell'ombrello. Non perché io abbia qualcosa contro l'oggetto in sé, quanto perché non credevo potesse acquistare una particolare importanza. Invece, la scrittrice australiana Marion Rankine riesce in un progetto interessante e curioso, mettendo nero su bianco un testo tutto incentrato su uno degli oggetti più antichi del mondo. Non ti scordar di me ha al centro l'oggetto dell'ombrello, che diviene ben presto, nel corso delle pagine, un vero simbolo

Il sottotitolo del testo è Storia vera e immaginaria dell'ombrello. A tutti gli effetti, gli esempi che Rankine reca per parlare dell'ombrello provengono tanto dalla storia vera e propria, da civiltà antiche e culture lontane o vicine, quanto dal mondo dello spettacolo, dai romanzi, dall'immaginario collettivo. Il testo è diviso in più capitoli, ognuno dei quali dedicato a un uso diverso dell'ombrello. È un segno distintivo per uomini e donne di alto rango, specialmente in Inghilterra, ma è stato anche un simbolo di appartenenza ai gradini più bassi della scala sociale. Già questa totale opposizione, il passaggio da oggetto disdicevole nel 1700 a status symbol nel 1800, mostra che l'uso pratico dell'ombrello – quello, cioè, di riparare – è una riduzione delle sue reali potenzialità. 

È simbolo di moda, per esempio. Rankine nomina alcune delle più importanti botteghe di ombrelli presenti a Londra, come James Smith & Sons, fondata nel 1830 e ancora attiva, in cui non si acquista un semplice riparo dalla pioggia, ma un prodotto artigianale, un bene di lusso e modaiolo, nonché affermazione della propria individualità. Uno dei passaggi più curiosi di Non ti scordar di me riguarda proprio l'associazione tra la personalità di ciascuno e l'ombrello. Quest'ultimo è l'oggetto che si porta con sé, che raccoglie, insieme al suo possessore, le intemperie e lo sguardo sul mondo fuori; tuttavia, quando di entra in ambienti chiusi, è costume lasciarlo fuori, insieme ad altri ombrelli, a rischio di dimenticarlo. Per Charles Dickens, in Please to leave your umbrella, il significato di questa usanza travalica la semplice letteralità: bisogna lasciare da parte la propria individualità quando ci si unisce a una cerchia sociale. 

L'ombrello come affermazione di sé, dunque. In tutti i sensi, dal momento che non pochi lo hanno utilizzato, nel corso della storia e della propria vita, come arma. Che sia una difesa o un attacco, la forma con cui l'ombrello è stato progettato suggerisce uno scudo o una lancia, un'ombra sotto la quale nascondersi. Ecco il senso più sottile e raffinato che Rankine riesce a dare a quest'oggetto, che si fa metafora di rifugio emotivo. Sotto la tela tesa di un ombrello aperto si ha come l'impressione di potersi concedere uno sfogo, una pausa o un momento di condivisione: «Fin dall'antichità il riparo offerto da un ombrello è associato alla protezione di dèi e re. Pertanto, invitare qualcuno a condividere un ombrello è più di un semplice atto di bontà» (pp. 90-91). 

Così Marion Rankine riesce a tracciare i contorni di ciò che lei chiama brollyness, cioè l'essenza dell'ombrello. Gli conferisce significati e usi che vanno al di là di quelli quotidiani, arrivando quasi ad attribuirgli un'anima. Per far ciò, la sua scrittura, che è quella di un saggio, quindi chiara e limpida, deve caricarsi anche di una apertura e una brillantezza tutte particolari. D'altronde, quello che per tutto il saggio non ho potuto fare a meno di pensare è che, se si ha il lusso di poter scrivere di ombrelli, il minimo è avere un certo entusiasmo mentre lo si fa. 

Camilla Elleboro