Quanto amiamo le case case editrici che portano avanti un percorso ben preciso con grande determinazione! Oggi parliamo con Carmine Conelli e Valeria Gennari, che ci raccontano come Tamu Edizioni diventerà Tangerin. Non si tratta di una svolta che abbandona quanto proposto in Tamu, ma di un ampliamento di sguardo, che porta con sé anche altri progetti.
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Il cambiamento da Tamu Edizioni a Tangerin arriva dopo alcuni anni di attività: che cosa vi ha spinto a scegliere questo momento per una nuova identità editoriale?
Tamu Edizioni è un progetto nato nel giugno 2020 dalla condivisione di un percorso con la Libreria Tamu, nata due anni prima nel centro storico di Napoli, incentrato su aree tematiche e contesti geografici di riferimento comuni rispetto ai testi venduti, presentati e pubblicati. Dopo cinque anni di percorso condiviso le strade dei due progetti si separano, per motivi fisiologici di crescita, in cui ciascuno di essi ha identificato il proprio cammino, con le proprie specificità. Questo cambiamento importante arriva per noi in concomitanza con un momento di fermento: abbiamo tanti nuovi progetti in cantiere, per questo abbiamo voluto rimarcare con un cambio del nome che rispecchi anche a livello simbolico questo ampliamento di orizzonti.
Il nome Tangerin porta con sé una forte carica simbolica. In che modo la metafora del mandarancio rispecchia la vostra idea di editoria e di attraversamento culturale?
Tangerin è il nome inglese (con la e finale, qui elisa) per il mandarancio. Gli agrumi in generale - nello specifico limoni e arance ma anche il cedro libanese, se vogliamo - sono ormai associati indissolubilmente al paesaggio mediterraneo, ma in realtà queste specie provengono dall’Asia, in particolare dalla Cina e dal nord dell’India. Sono arrivate sulle nostre coste nel corso dei secoli, ciascuna con tempi e percorsi diversi. Già in epoca romana si conoscevano i cedri e i limoni, mentre arance, lime e pompelmi arrivarono più tardi grazie alle rotte dei naviganti arabi, genovesi e portoghesi. Il mandarino, con le sue varianti, è l’ultimo ad approdare, nel XIX secolo, prima in Inghilterra e da lì a Malta e in Sicilia, per poi intraprendere un nuovo viaggio verso gli Stati Uniti — introdotto, pare, dal console italiano a New Orleans. Il frutto continua poi a essere spedito oltreoceano dal porto di Tangeri, acquisendo da lì il nome che abbiamo scelto come metafora affine al nostro progetto.
Da questa storia si evince infatti l’essenza dei temi che trattiamo con i nostri libri: decostruire identità fisse e statiche svelando genealogie nascoste o dimenticate; la connessione tra parti di mondo diverse divise da confini arbitrari ma collegate da traffici commerciali, relazioni coloniali (il mandarino arriva in Inghilterra dall’India, poi viene portato a Malta), viaggi transoceanici. Ci piace pensare al nostro progetto editoriale come aperto alle ibridazioni, agli scambi e soprattutto che attraversi questi confini arbitrari.
Il mandarancio, infine, è un frutto composito: è formato da tanti spicchi, le varie voci che animano un progetto che pensiamo in senso collettivo.
Ecco, a tal proposito, ci descrivete la vostra redazione? Chi la compone?
La redazione è composta da Carmine Conelli e Valeria Gennari, entrambi con un background in studi culturali. Valeria si è formata come antropologa, mentre Carmine ha alle sue spalle un percorso di ricerca nell’ambito degli studi postcoloniali. Con loro collaborano varie figure, da editor a ufficio stampa, tra cui il nostro grafico greg olla, a cui si deve l’identità grafica della casa editrice. Esiste poi ovviamente un gruppo più ampio attorno a noi senza il quale il nostro progetto non sarebbe lo stesso: dalla redazione della rivista Arabpop alla redazione della nuova rivista R/Est, oltre a traduttori e traduttrici, studios*, lettori, amici con cui ci confrontiamo quotidianamente.
Nella presentazione del vostro progetto parlate di “continuità e nuove rotte”: quali aspetti del progetto originario restano centrali, e quali invece rappresentano una vera e propria svolta?
Le tematiche trattate restano centrali e invariate: continueremo a pubblicare testi che parlano di sud, classe, migrazioni, ecologie radicali, antirazzismo, decolonialità, linguaggi queer e pratiche femministe.
Allo stesso tempo apriremo a nuovi orizzonti geografici con la nascita della rivista R/est. Racconti, reportage e immagini dal sud-est Europa, che guarderà oltre l’Adriatico, un’altra area a noi così vicina e fortemente connessa a livello storico al nostro territorio ma così poco conosciuta. La rivista avrà cadenza semestrale e intende raccontare il sud-est Europa (l’ex Jugoslavia, ma anche la Romania, la Bulgaria, la Grecia) superando stereotipi e orientalismi, e provando ad aprire un dibattito su temi come: le resistenze di ieri e di oggi, le identità e le migrazioni, il laicismo e l’antifascismo, senza tralasciare i tanti aspetti delle varie culture che abitano questa regione. Non si tratta, quindi, di una vera e propria “svolta”, ma di un ampliamento dello sguardo. Abbiamo anche altri progetti in cantiere ma non siamo ancora pronti a svelarli!
Il Sud e il Mediterraneo rimangono punti di riferimento, ma aprite anche lo sguardo verso l’area balcanica con la rivista R/est: come nasce questo nuovo progetto e che tipo di lettura del territorio intende proporre?
R/EST, di cui abbiamo accennato nella domanda precedente, nasce per volontà di una redazione composta da persone del mondo culturale che vivono, lavorano e si occupano del sud-est dell’Europa (Eugenio Berra, Christian Elia, Elvira Mujcic e Matteo Pioppi) e che hanno condiviso con noi un’insoddisfazione del modo in cui le culture, la storia e la politica di questi paesi vengono rappresentati nel nostro paese. Abbiamo accettato con entusiasmo di essere gli editori di questo nuovo progetto perché siamo convinti delle potenzialità di una rivista che racconti questa regione in una maniera che vada oltre la narrazione della guerra, oltre l’idea di uno spazio vuoto attraversato da migranti, e che restituisca invece un quadro più complesso, quello di un territorio attraversato da dinamiche e processi culturali simili ai nostri - gentrificazione, turistificazione, ma anche spinte alla decolonizzazione e lotta al patriarcato in un contesto di pressione autoritaria crescente. Anticipiamo qui inoltre che da metà novembre sarà attivo un crowdfunding per presentare il progetto e raccogliere i fondi necessari a costruire i primi numeri della rivista, quelli per retribuire gli autori, le traduttrici, gli artisti e le artiste coinvolti.
In una società che corre veloce come la nostra e che spesso fruisce di contenuti in pillole, cosa significa per voi proporre riviste?
Sia R/Est che Arabpop sono entrambe riviste semestrali e tematiche. Non si soffermano perciò su questioni di attualità o sul reportage situazionista, contenuti che “invecchiano” rapidamente ma, pur restando ancorati alla contemporaneità e ai processi storici che hanno caratterizzato queste aree geografiche, provano a tracciare collegamenti più profondi, a scavare dentro i fenomeni politici, sociali e culturali (Arabpop lo fa attraverso la produzione artistica e culturale, R/Est lo farà sotto forma di inchiesta sociale narrativa) per tracciare dei fil rouge, comprenderli più a fondo. È un lavoro di ricerca che richiede un ampio tempo di preparazione ma che permette di produrre un prodotto “di sostanza”, destinato a durare nel tempo.
Da sempre avete posto attenzione a temi come antirazzismo, decolonialità, linguaggi queer e pratiche femministe. In che modo queste istanze si riflettono oggi nelle vostre scelte editoriali e nel lavoro quotidiano?
Pensiamo che queste siano le istanze chiave per comprendere la nostra contemporaneità; l’obiettivo “politico” della casa editrice è quello di fornire degli strumenti per leggere queste istanze. E proviamo a farlo il più possibile con un linguaggio che sia divulgativo - come fanno bell hooks, Fatima Ouassak, Brigitte Vasallo - perché ci interessa che questi strumenti possano essere maneggiati, riletti e interpretati fuori dall’ambito dell’accademia e che contribuiscano a formare le giovani generazioni. Si tratta di un lavoro non facile, in un periodo storico complicato, in cui questi temi rischiano di essere fraintesi o ancor peggio depoliticizzati, come accade quando diventano branded content da social network o finiscono per nutrire istanze individualiste e non di trasformazione collettiva. In una società della conoscenza che sempre più favorisce l’acquisizione di un pensiero rapido e semplice, ciò che facciamo nelle nostre scelte editoriali e nel lavoro quotidiano che lo anima è di non sottrarci alle contraddizioni, offrendo degli strumenti per complessificare la realtà. Alle narrazioni a senso unico che subiamo nella vita politica e culturale di questo paese, proviamo dunque a non opporre altre narrazioni speculari e opposte, che spesso sfiorano il moralismo, ma a porre e porci in continuazione domande, per riflettere insieme su queste contraddizioni.
Il vostro catalogo è da un lato politico, ma dall’altro anche poetico nel modo in cui intreccia le voci: come costruite un equilibrio tra impegno e scrittura letteraria?
Abbiamo iniziato la nostra attività di casa editrice pubblicando per Tamu Edizioni soprattutto un tipo di saggistica agile (esordendo con Elogio del margine/Scrivere al buio di bell hooks e Maria Nadotti), che già in sé forse racchiude questo equilibrio tra teoria e pratica quotidiana, utilizzando uno stile di scrittura scevro di tecnicismi accademici che di poetico hanno ben poco. Questo sodalizio tra impegno e scrittura letteraria appare in tutti i testi di bell hooks, inclusa l’intima conversazione tra hooks e Stuart Hall in Improvvisazioni funk. Un dialogo contemplativo, in cui i due conversano su temi filosofici ed esistenziali con una poetica e semplicità disarmanti. Non è facile curare un catalogo che mantenga questo equilibrio, e difatti non abbiamo potuto fare a meno di pubblicare anche libri più “accademici” che pure ci sembrava importante portare in Italia. Proviamo a mantenere questo equilibrio, al contrario, di scrittura letteraria che sia pure una scrittura politica, anche nella narrativa - pensiamo ad Arabeschi di Anton Shammas, ma anche a Vicoli della memoria della scrittrice afrobrasiliana Conceiçao Evaristo o Uno di questi due paesi è immaginario della scrittrice anglo-guyanese Pauline Melville, e uno degli obiettivi futuri è certamente ampliare la sezione narrativa del nostro catalogo.
L’ibridazione sembra essere un concetto chiave per voi — culturale, linguistica, geografica. Quanto è importante questa prospettiva nel dialogo con autori e lettori?
L’ibridazione per noi è un concetto centrale perché nessuna esperienza culturale, nessuna identità, può dirsi “pura” o isolata. Viviamo in un mondo di contaminazioni continue, e riconoscere questa realtà significa aprirsi a nuove forme di dialogo. Con gli autori, l’ibridazione è un terreno di confronto, non solo dal punto di vista concettuale ma anche da quello narrativo. Ibridi nella forma sono due degli ultimi testi che abbiamo pubblicato, Contro la politica delle briciole di filo sottile e Napoli balla di Gennaro Ascione, che apre la nuova collana Scritture meridiane. In generale, sia con i libri inediti che con quelli in traduzione ci confrontiamo con autor* e traduttor* sul linguaggio, sulle esperienze, per generare nuove prospettive narrative o tradurre al contesto italiano quelle provenienti da altrove. Con chi legge l’ibridazione è un invito a leggere la complessità del presente, a riconoscersi nelle differenze e a scoprire affinità inattese.
Per noi è un allenamento a pensare la cultura in termini di scambi continui - di saperi, pratiche, ma anche sul piano storico, linguistico, geografico. In questo senso l’attività editoriale ha come utilità quella di creare spazi nuovi in cui le identità possono trasformarsi, incontrarsi e riconoscersi..png)
Nei prossimi mesi i libri usciranno con il doppio marchio Tamu Edizioni/Tangerin: che tipo di reazioni vi aspettate dai vostri lettori e collaboratori abituali di fronte a questa transizione?
In generale ci auguriamo che ci sia molta curiosità rispetto a questa metamorfosi e ai tanti nuovi progetti in cantiere. Molti nostri collaboratori e collaboratrici sono già al corrente  di questa transizione e sono le prime persone a sostenere in maniera entusiasta questo rinnovamento. Saranno i libri che pubblicheremo e i nuovi progetti che intraprenderemo a garantire la riconoscibilità del nostro progetto e, ci auguriamo, a meritarsi il supporto e la fiducia dei nostri lettori, con cui negli anni abbiamo costruito un rapporto molto forte e che ci aiuteranno sicuramente a rendere Tangerin un progetto ancora migliore.
Guardando al futuro, potete anticiparci qualcosa sulle prime uscite del nuovo marchio?
Facciamo un doppio spoiler: oltre al nuovo numero di Arabpop, che ha come tema Città, a novembre ci saranno le prime due uscite con il doppio nome. La prima è Maradona, un mito plebeo (in libreria dal 21 novembre), una raccolta di scritti politici e sentimentali sul pibe de oro, a cura di Antonio Gomez Villar, a cui teniamo molto perché lega il nostro sud, Napoli in particolare, a quello del mondo, per cui il campione argentino è stato un’icona globale. Una raccolta di saggi che ci permette dunque di parlare di sud, classe, razza e femminismo, senza alcuna presunzione di autorità morale, così come nelle corde del nostro progetto. 
Il 28 novembre invece sarà il turno di Controdizionario del confine. Parole alla deriva nel Mediterraneo centrale di Equipaggio della Tanimar, un lavoro antropologico che offre un punto di vista radicalmente nuovo sulle migrazioni. Un controdizionario che rivela il lessico ibrido elaborato da chi viaggia lungo la rotta centrale del Mediterraneo per raggiungere l’Europa, ed è costantemente criminalizzato dalle nostre società. Parole nuove che raccontano dal basso un mondo fatto non solo di ostacoli e pericoli ma anche di solidarietà transnazionale.
Vogliamo anticipare infine la prima uscita con marchio Tangerin, prevista per Aprile: una nuova edizione italiana (con una nuovissima traduzione di Emanuele Giammarco) de I giacobini neri di C.L.R. James - una pietra miliare del pensiero anticoloniale - la prima riuscita rivolta contro l’uomo bianco e il suo dominio coloniale, a cui guarderanno i movimenti di liberazione nazionale del XIX e XX secolo contro gli imperi coloniali. Ora basta però, per conoscere tutto il resto continuate a seguirci!
Lo faremo senz'altro! La curiosità è tanta e resteremo aggiornati anche grazie al vostro canale Instagram!
Intervista a cura di Gloria M. Ghioni
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