Vera passa il tempo «preparandosi a essere intelligente per “farsi strada nel mondo”» (p. 19): a dieci anni, ha iniziato a frequentare una scuola prestigiosa che un giorno dovrebbe aprirle tante strade e portarla a essere la scienziata di fama internazionale che vorrebbe diventare. Per ora le sta solo facendo odiare ogni ora passata in classe con quei compagni che la deridono per tutto, a cominciare dal suo linguaggio considerato un po' troppo forbito. E soprattutto lei ha ben altri problemi con cui fare i conti: innanzitutto, deve capire come gestire l'ansia, che è la sua miglior compagnia; poi deve provare a tenere insieme la sua famiglia; quindi fare i conti con la sua identità di bambina per metà russa e per metà coreana che vive negli Stati Uniti. E poi, diciamocelo, è estremamente sola: non sappiamo fino a che punto se ne accorga lei, ma noi lettori lo capiamo benissimo.
Inizia con queste premesse Vera, o la verità, e fin dalle prime pagine riconosciamo l'ironia, la brillantezza e la potenza sopra le righe dello stile di Gary Sheyngart. Non c'è tema troppo serio che l'autore non sappia trattare con un sorriso, portando i lettori e le lettrici a empatizzare con personaggi perfetti così, con le loro imperfezioni.
«Essere una bambina era uno schifo» (p. 25), e Vera sa bene come farci capire quanta ansia può provocare un mondo intero che va in pezzi. Mamma Anne non è mamma mamma, ovvero la sua madre naturale coreana (che l'ha abbandonata quando Vera era piccolissima per ragioni a lei sconosciute), ma è sempre stata al suo fianco. Papà Igor, di origine russa, è un intellettuale di sinistra che sa fare ben poco il padre: è più che altro occupato in fitte reti di relazioni, dirige una rivista e conduce una vita irregolare, tra viaggi improvvisi e discorsi che mai dovrebbe fare ai figli. Con loro vive anche Dylan, il fratellino di Vera, forse l'unico che non ha mai avuto un attacco d'ansia in vita sua, biondo e bello come un cherubino, ma con qualche problema nella gestione della socialità e con un bassissimo senso del pudore.
Non temete: non inizierò qui a fare chissà quale elenco di personaggi, perché all'inizio ce ne sono molti altri. Vera è essenzialmente molto sola: mentre i suoi genitori litigano, lei osserva, spesso suo malgrado, cercando di fare chiarezza in tutte quelle dinamiche adulte. Tenere un Diario delle cose che devo ancora capire è solo una delle sue pratiche quotidiane, così come giocare con un Giocatore di scacchi virtuale, Kaspie, una sorta di intelligenza artificiale molto progredita, che non si limita a muovere pezzi su una scacchiera, ma dialoga con Vera. E, triste ma necessario dirlo, è anche il suo unico amico. Spesso le dà consigli che sembrano umani e lei si fida di Kaspie in un modo così tenero da farci sperare che prima o poi incontri un'amica o un amico in carne e ossa.
Se Shteyngart prepara per la sua protagonista parecchi colpi di scena, molte scoperte portano cambiamenti nei rapporti in famiglia, a scuola e introducono nella narrazione persone (ancora) estranee.
L'apprendistato di Vera – che, più che decenne, qui e là pare una protagonista senza età, per poi riportarci teneramente al suo ignorare il significato di parole come “mestruo” o “propagandistici” – passa soprattutto attraverso la gestione delle relazioni. Trovare un'amica non è semplice, eppure è possibile, così come fare chiarezza sulle sue origini o decifrare pian piano ciò che sente per i suoi genitori.
Delicato e al tempo stesso divertente, satirico e dolce, realistico e altrove fiabesco, scartavetrante e confortante, Vera, o la verità è un romanzo che ci fa muovere tra poli opposti e sperimentare un vivace e imprevedibile gioco di disequilibri. Divertente senza mai diventare sciocco, complesso per la fantasia spinta dell'autore, non c'è mai una pausa in questa narrazione: è tutto spinto, colorato, istrionico, ma non per questo meno verosimile.
GMGhioni
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