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Non è uno scherzo avere dieci anni. Poesia e memoria nel nuovo romanzo di Jón Kalman Stefánsson "Varie cose sulle sequoie e sul tempo"

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Varie cose sulle sequoie e sul tempo
di Jón Kalman Stefánsson
Iperborea, novembre 2025

Traduzione di Silvia Cosimini

pp. 304
€ 19,50 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)


Ha ben ventiquattro anni Varie cose sulle sequoie e sul tempo, ma solo a novembre grazie alla traduzione di Silvia Cosimini per Iperborea, abbiamo la fortuna di leggere questo gioiello della produzione di Jón Kalman Stefánsson. 
La trama è molto semplice: parla della crescita di un ragazzino (l'io narrante) che dall’Islanda arriva a Stavanger, in Norvegia per trascorrere l’estate coi nonni. Sono proprio loro, i nonni, le sequoie incrollabili. La nonna, ruvida e di poche parole, il nonno dall'animo poetico e dalla fantasia sconfinata, con cui il giovane protagonista condivide segreti e discussioni sui grandi perché della vita. Ciò che rende prezioso il romanzo di Stefánsson è innanzitutto la lingua, poetica, densa, duttile a esprimere lo stupore di un animo fanciullo; e poi l'intreccio, che si dipana in piccoli capitoletti, anticipazioni e flashback, storie vissute e immaginate, con un flusso di coscienza garbata, sognante, cantato.
Ci imbarchiamo con il protagonista, di cui non viene mai detto il nome, nel suo volo verso la Norvegia.

L'imminente viaggio all'estero non ha modificato però dei dati di fatto indiscutibili, ovvero che sono piccolo per la mia età, che ho i capelli ricci di un colore rosso fuoco, e che ci sono più lentiggini sulla mia faccia che stelle nel cielo. Per questo il mio amore non è corrisposto. (p. 23)

Nel capitolo successivo, l'io narrante sarà quarantenne, solo una breve apparizione dell'adulto che è diventato, della morte della nonna, per poi rivolgere ai lettori la domanda: Allora muore tutto, tranne il tempo? 

In seguito, purtroppo, mi toccherà acquisire varie conoscenze superflue, tra cui quella del tempo. Scoprirò che il tempo probabilmente rovina ogni cosa, la vita intera; i nonni e le nonne, i re e i netturbini, perfino i bambini. Il sole si dilaterà, poi si contrarrà e si raffredderà diventando roccia in un universo troppo vasto, tenebroso e gelido, dove tutti sono morti tranne il tempo. Ma mentre me ne sto lì seduto, coi capelli rossi a soli dieci anni, la nonna mi sorride dal sedile davanti e il nonno sotto il cappello guarda la strada, ecco, in quel momento il tempo non esiste affatto, c'è solo l'infanzia, quando tutto può succedere, oppure tutto succede. (p. 27)

Tutto succede e succedono quelle cose piccole, eppure immense, di quando si è preadolescenti e il mondo si disvela nella sua realtà ancora avvolto dalle numi della magia. Succede tutto alla presenza di due amici immaginari, Tarzan e Piè Veloce, del nuovo amico Helge, che sa tutto e legge tutto, dei due fratelli che portano il protagonista in giro per i boschi. C'è una natura che viene trasfigurata in simbolo: tutto è anima, tutto risuona di corrispondenze che rendono  la geografia del mondo di Jón Kalman Stefánsson una geografia immaginaria. E poi abbiamo il ragno nero, che appare nelle notti, appare negli incubi, ossessiva presenza che rimanda alla morte, l'ospite muto che inghiotte tutto. La promessa che il ragazzino dai capelli rossi e i suoi due amici si fanno è quella di non diventare mai grandi, di «non diventare mai degli adulti con la cravatta e la faccia seria» (p. 108).  

Varie cose sulle sequoie e sul tempo ci mostra quanta distanza può intercorrere tra l'infanzia e il mondo adulto, così distanti che servirebbe una navicella spaziale uscita da un romanzo di fantascienza per passare dall'uno all'altra, dice il narratore. Credo che questa navicella spaziale possa essere la letteratura. Con una prosa ricca di rimandi ed un uso della lingua affine a quello poetico, Stefánsson riesce a farci recuperare lo sguardo pieno di meraviglia dell’infanzia su tutto, narra con la semplice poeticità dei bambini, la cui fantasia trasfigura ogni oggetto.

Non è uno scherzo avere dieci anni con un compito da portare avanti, quindi non sto esagerando. Chi ha dieci anni ha le spalle esili, non dovrebbe conoscere il peso che il destino mi ha imposto quando l'estate era norvegese, quando mancavano circa trent'anni alla fine del XX secolo e tutti confidavano nei libri di testo delle Edizioni statali. (p. 287)

Non è uno scherzo avere dieci anni, ne siamo consapevoli. Forse non si è mai stati così filosofi e poeti come lo si era a dieci anni. E il libro di Stefánsson è davvero la gioia del tempo ritrovato.

Deborah Donato