Le merci dell'India cominciarono a fluire in Europa in quantità impressionanti, mai viste prima, proprio quando l'impero romano si trovava all'apice del suo splendore, subito dopo la conquista dell'Egitto. Siamo quindi nel 30 a.C. Non si trattava solo di tessuti, gioielli e spezie ma di un flusso che riscriveva gusti, desideri e gerarchie sociali. Storicamente si osservava questo flusso con preoccupazione, con la convinzione che oro e argento venissero come inghiottiti dall'India a un ritmo inquietante. L'impero, rischiava di soccombere a causa di frivolezze come oli e stoffe. L'impero rischiava di prosciugarsi per soddisfare unicamente i capricci femminili. In realtà le importazioni in Egitto superarono di gran lunga ogni previsione e i musei indiani infatti oggi conservano una quantità di monete romane che ben testimoniano quell'incredibile traffico. C'era la convinzione maschilista che le matrone romane, trascinassero l'economia verso il declino, unicamente per il piacere di indossare gioielli, cospargersi di incensi e ricoprirsi di morbidi tessuti. Ma dietro questa disapprovazione, si nascondeva una scomoda realtà: questo fenomeno di caccia ai tessuti pregiati, ai cotoni finissimi, e alle sete più delicate era ormai globale. Ma c'era alla base un grande errore di giudizio: questo desiderio non era dettato dalla vanità, ma dalla fascinazione verso un qualcosa di sconosciuto e non facilmente accessibile. Gli stessi soldati ad esempio, desideravano il pepe indiano per ravvivare i loro pasti altrimenti insipidi.
In tutto ciò, molto prima della Via della Seta, l'India aveva già tracciato la propria rotta: una Via dell'oro che univa l'Occidente romano all'estremo Oriente. Per oltre mille anni, dunque, le merci indiane dominarono l'intera Indosfera: i mercanti infatti percorrevano delle distanze immense, portandosi dietro non solo spezie e tessuti, ma anche filosofie, conoscenze, religioni e simboli, che trasformavano le culture che incontravano.
In quel periodo, l'India fu una super potenza religiosa e filosofica. Il Buddhismo, passò dall'essere una religione marginale, a divenire fondamento delle culture asiatiche (soprattutto di quelle cinese, coreana e giapponese). La cultura hindu e sanscrita, con la sua autorevolezza, conquistò i sovrani del sud-est asiatico, influenzando lingue, rituali e strutture sociali. Ad esempio, basti pensare che i templi più grandiosi del mondo non si trovano in India, ma in Indonesia e Cambogia.
Nel 624 d.C., a un mercante di legnami delle montagne del Sichuan, nel Sud-Ovest della Cina, nacque una bambina. In casa la chiamavano affettuosamente Huagu, ossia «Ragazza in fiore ».Così come la mitologia greca attribuiva a Elena di Troia un'origine divina per giustificarne la straordinaria bellezza, le leggende del Sichuan incorporarono elementi soprannaturali nel racconto del concepimento di Huagu, al fine di spiegare l'aura unica e incomparabile che avrebbe circondato Wu Zetian - l'unica donna, in tremila anni di storia cinese, a fregiarsi del titolo di « imperatore» della Cina anziché di semplice « imperatrice » consorte. Stando alle storie che ancora oggi si tramandano sulle montagne intorno a Lizhou, la madre di Wu Zetian, la dama Yang (579-670 d.C.), stava navigando sul fiume fialing quando un drago nero emerse improvvisamente dalle acque. Yang perse i sensi e, rinvenuta, raccontò di aver avuto una visione in cui faceva ardentemente l'amore con il drago. Nove mesi dopo, diede alla luce una semidea: la figlia di un drago celeste disceso sulla terra. La futura imperatrice non soltanto approvò questa versione mitica della sua nascita, ma si adoperò per diffonderla. (p. 167)
In egual misura, parallelamente, l'India sviluppò strumenti matematici e scientifici che sono tutt'oggi fondamentali e oggetto di studio. Come ad esempio il sistema decimale, l'algebra, la trigonometria e perfino il gioco degli scacchi che si diffusero sino alle culture europee più arretrate.
In Europa, l'uso sempre più ampio dei numeri indiani (o indo-arabi) favorì lo sviluppo della contabilità e dell'attività bancaria, inizialmente in Italia, sotto dinastie come i Medici, e successivamente nel resto del continente. Queste innovazioni contribuirono a innescare la rivoluzione commerciale e bancaria che finanziò il Rinascimento e, con la loro progressiva diffusione, alimentarono l'ascesa dell'Europa. (p. 359)
La Via dell'oro pertanto non fu soltanto un commercio di beni rari, ma un corridoio di pensieri, arte e religione tra due mondi. Le immagini dei templi nascosti tra foreste e montagne, le pitture murarie e così via, ci restituiscono la percezione di un universo interconnesso, in un'epoca in cui le ideologie indiane ridefinirono l'immaginario globale.
Ciò che sorprende con la lettura di La Via dell'oro di William Dalrymple è che questa realtà non appartiene solo al passato, ma leggerla oggi vuol dire riconoscere come le reti di scambio culturale possano cambiare il mondo. L'India non ha mai smesso di ispirare e di insegnare, e la vera ricchezza in realtà non è nei metalli preziosi o nei tessuti leggeri, ma nella capacità di attraversare confini, contaminare menti e lasciare un segno duraturo nella storia della civiltà.
Dalrymple ci offre uno scorcio brillante sul commercio che rese l'India un crocevia di ricchezze. Il suo libro ripercorre con precisione questi mutamenti economici già menzionati, ma in realtà la sua ambizione o meglio il suo intento è quello di mostrarne l'egemonia intellettuale. È impressionante pensare quanto l'influenza spirituale e filosofica abbia influito sulla società occidentale, lasciando tracce che ancora oggi persistono.
Al ritorno presso la corte pallava, Dandin compose il Karyadarsha, «Lo specchio della poesia», una summa della critica letteraria sanscrita, ritenuto una delle opere più influenti del suo genere, secondo soltanto alla Poetica di Aristotele. Scrisse anche uno dei più apprezzati poemi sanscriti, La bella di Avanti. Entrambe queste opere furono lette non solo in tutta l'India, ma, col tempo, anche nel Sud-Est asiatico e in Cina, in quel nuovo mondo parzialmente indianizzato che il mercantilismo dei Pallava stava gradualmente dischiudendo. (p. 207)
Il volume si suddivide in tantissime sezioni: dapprima l'autore ci illustra la vastità dell'Indosfera, poi passa alla diffusione del Buddhismo, portando esempi, miti e leggende che ci facciano immergere con criticità in questa lettura, per poi infine dedicarsi ai capitoli finali, incentrati sulla matematica e sulla filosofia. In appendice il romanzo offre al lettore la possibilità di approfondire la propria bibliografia e di consultare le innumerevoli note alle immagini e ai riferimenti di cui è interamente costellato l'intero testo. Utilissime anche le mappe (spesso) presenti a inizio capitolo, perché offrono al lettore la possibilità di scoprire visivamente i traffici economici che hanno contraddistinto tale periodo storico. Nei ringraziamenti finali, l'autore ci svela anche come abbia iniziato a scrivere questo libro sulle rive del Lago di Como, dove a causa della pandemia, vi rimase per mesi anziché per poche settimane (come da programma).
Dalrymple, di cui avevo già letto il bellissimo In India (Rizzoli, 2006), è un comunicatore sempre magnifico, perché è capace di raccontare eventi storici con tanta precisione quanta passione. Le sue opere sono infatti il frutto di letture e di studi di aggiornamento continui, e propongono sempre un'interessante prospettiva molto attenta ai dettagli rivelatori. Questo libro, si riconferma ancora una volta come una dedica slanciata verso l'amore della sua vita: l'India. In conclusione quindi, la Via dell'oro non è soltanto un saggio storico, ma è un riconoscimento sentito ad un mondo perduto, fatto di scambi e intrecci, in cui le idee indiane seppero cambiare le sorti del mondo intero.
Carlotta Lini

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