di Silvia Montemurro
Edizioni E/O, ottobre 2025
pp. 264
€ 19 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)
Silvia Montemurro ha abituato il lettore all’indagine dell’infanzia, dell’adolescenza e, al contempo, della femminilità; d’altronde sono questi i temi chiave de La piccinina e de Le cicogne della Scala. Non mancano infatti nemmeno nell’ultimo romanzo, La mondina, ma qui sono approfonditi in modo diverso perché le protagoniste di questa storia sembrano faticare ad affermarsi e a ignorare le convenzioni sociali che hanno costretto le donne a determinati (e precisi) ruoli.
Ai primi del Novecento, le campagne torinesi erano disseminate di risaie, dove lavoravano principalmente le giovani ragazze, come accade alla prima protagonista di La Mondina. Lena è una bambina quando inizia a raccogliere il riso, un lavoro che le permette di sopravvivere dopo la perdita prematura della madre. Nelle risaie si trovano prevalentemente donne: le più anziane che hanno il compito di organizzare e dirigere il lavoro e quelle più giovani (come Lena o la sua amica Teresa) che invece devono immergersi nell’acqua per estrarre ogni chicco di riso. È una vita umile, senza grandi scossoni, se non le emozioni dei primi amori, fin quando, durante una festa contadina, non arrivano i “padroni”: Grazia della Rovere e suo marito Ferdinando. Se da una parte «la signora Grazia» (p. 47) si dimostra fin da subito molto interessata alla ragazza, dall’altra, Lena rimane sorpresa dalla sua curiosità poiché non comprende fino in fondo i motivi di quell’interessamento. La risposta sarà tanto semplice quanto spiazzante: Grazia vuole portare Lena a Torino per regalarle, almeno in apparenza, una vita piena di agi. In un primo momento la giovane tentenna di fronte alla richiesta di Grazia; alla fine, considerate anche le opportunità, non può fare a meno di accettare.
«Non avere paura, e non sentirti costretta. Vedila come una vacanza, va bene? Sei mai andata in vacanza?». Non so perché, ma quelle parole mi innervosiscono. Non so cosa significhi andare in vacanza, non so nemmeno perché me lo chieda. Vorrei ringhiare, ma scuoto il capo. Le lascio la mano e corro via. (p. 50)
Fin dal suo arrivo nella lussuosa casa, però, qualcosa non quadra: Lena avverte subito un clima di tensione non indifferente soprattutto tra Grazia e il marito che però non rimane limitato alla coppia ma che è perfino avvertito dalla servitù. I motivi di frizione sono molti: Ferdinando è un uomo dedito al gioco e all’alcol che si è adattato ben poco alla vita coniugale, ma quello che incrina di più l’equilibrio è la mancata maternità di Grazia. La donna si sente terribilmente in colpa per non riuscire a portare a compimento uno dei suoi compiti principali: quello di diventare madre. Ed è da qui che la vita di Lena si trasforma in una “prigione dorata”. Leggendo La mondina, viene da chiedersi quante donne, nel corso della Storia, abbiano ceduto alle pressioni sociali e quante abbiano sacrificato se stesse per ottenere qualcosa in più. Queste domande valgono anche per Grazia e Lena: entrambe soffocate da un clima che le vede ai margini della società incastrate negli stessi pregiudizi, nonostante siano due classi sociali diverse.
Senza un figlio, Fernando e io non eravamo una famiglia. Ci eravamo sposati, avevamo fatto le cose per bene, ma agli occhi degli altri eravamo una coppia vuota, senza senso [...]. (p. 110)
La Mondina di Silvia Montemurro parla di femminilità, di lavoro e di aspettative, ma anche di sacrifici e illusioni che sembrano colpire entrambe le protagoniste di questo romanzo (sia Grazia sia Lena sono voci narranti). Due donne con vissuto e provenienza diversa, ma entrambe schiacciate da illusioni e da una corsa verso qualcosa che, alla fine dei fatti, ha un costo altissimo. E se da una parte l’autrice ricalca temi cari alla sua produzione; dall’altra mostra anche come quei tentativi di emancipazione femminile sia stati tutt’altro che semplici e non sempre riusciti. Tra la paura di non “essere quello che gli altri vogliono” e “trovare se stessa”, Silvia Montemurro traccia due personaggi inventati ma verosimili nel contesto storico dei primi del Novecento (e non solo), dimostrando quanto coraggio ci voglia per intraprendere la propria strada, soprattutto quando questa è lontana da tutto e da tutti. La Mondina è un romanzo sulla femminilità – si diceva–, quella fragile, che ha bisogno di essere indagata e raccontata tanto quella forte e coraggiosa.
C’è una stanza chiusa in ciascuno di noi. Vi riponiamo scampoli di vergogna, ammucchiamo pile di non detti, impiliamo per bene le nostre colpe, nascondendole dietro lo scaffale più grande, per non vederle più. Se non facciamo pulizia, ogni tanto la stanza finisce per riempirsi troppo e traboccare di ricordi dolori. (p. 211)
Giada Marzocchi
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