Nascere sotto una buona o una cattiva stella: pensate che abbia una qualche veridicità questa convinzione degli antichi? Dalia, la protagonista di Tu vivi, esordio narrativo di Giada Messina Cuti, nasce quasi per miracolo da una madre tossicodipendente, che la partorisce da sola, in un luogo sporco e ben poco adatto a una bambina. E ancora un miracolo o perlomeno un gesto di enorme bontà si verifica quando Felice, un uomo del paese che assiste la puerpera decide di prendersi cura di quella donna e promette di pensare anche a quella neonata. Ci vuole poco tempo perché la donna, in astinenza, esca dall'ospedale dove era stata ricoverata insieme alla bambina e venga ritrovata morta dopo un'overdose. E ci vuole ancora meno perché Felice capisca di voler adottare la piccola Dalia, complice il fatto che lui e sua moglie Franca non possono avere figli.
E fin qui, la piccola Dalia sembrerebbe avere avuto una grande fortuna. Poi, qualcosa si incrina: fin dalla sua infanzia, è definita da mamma Franca come "strana". Inquieta, lontana dalle regole più comuni, Dalia fatica ad adattarsi al mondo. E soprattutto non riesce mai a sognare sé stessa, ma sogna le vite degli altri. Non sa come mai le accada, né che valore possa avere, ma capisce presto che questo suo potere (o maledizione?) la rende diversa dai suoi coetanei e che le persone possono emarginarla per questo. Soprattutto quando la famiglia si trasferisce dal paesino siciliano di Golfo Gifone, dove tutti la conoscono e la proteggono, a Mestre.
Allora Dalia sceglie a volte i silenzi, diventando incomprensibile persino per suo padre Felice, da sempre affettuoso e presente. Franca, al contrario, è una madre più sanzionatoria che legata a Dalia, non può fare a meno di pensare: «è una cara bambina [...], ma non si può dimenticare che viene da una madre tossica e da un padre chissà, tunisino o egiziano – certo, niente contro i tunisini e gli egiziani, però. Però. E non è agevole portarla in pubblico, chiacchiera a raffica; e meno conosce qualcuno più lo tartassa di domande» (p. 36). Insomma, a marchiare Dalia ci sono le origini e la sua «personalità primitiva» (p. 38), ovvero il comportamento non allineato – due elementi di cui lei non ha colpa.
L'infanzia di Dalia passa così, con il peso di una madre che non ha mai conosciuto, se non negli otto mesi di gravidanza prima di venire al mondo prematuramente, e la presenza di una madre acquisita che non la ama con calore. Papà Felice fa quello che può, e così fanno nonna Brigida e le amiche d'infanzia. Chi riesce di più a superare la cortina di silenzio di Dalia è un cane, Straccio, vero compagno delle ore più belle dell'adolescenza.
Se l'infanzia e l'adolescenza trascorrono così, è una Dalia ventenne quella che decide di provare a prendere in mano la situazione, ovvero i suoi incubi, il suo miracolo-maledizione di sognare gli altri (tra scampoli di vita vissuta, a lei prima ignoti, e addirittura predizioni), andando a Londra con una scusa. Mentre il suo mondo familiare è in crisi, Dalia vuole capire cosa le stia succedendo, e una sperimentazione sul sonno potrebbe aiutarla a capire qualcosa di sé e, chissà?!, forse aiutarla a sognare per una volta sé stessa e non solo gli altri.
Inizia così una seconda parte del romanzo affascinante, che ci strappa dal nucleo familiare e lascia Dalia ad ambientarsi – a fatica – a casa di Gemma, un'anziana e burbera siciliana trasferitasi a Londra anni prima, che ha bisogno di una "dama" di compagnia. Quasi compaesane, Dalia e Gemma condividono anche altro, ma lo scopriranno – e lo scopriremo noi lettori – dopo parecchie pagine, battibecchi, rappacificazioni, discorsi che si fanno ora più taglienti ora decisamente comprensivi ed empatici.
Se la prima parte di Tu vivi è fortemente realistica e intreccia romanzo familiare e di formazione, nella seconda parte affiorano elementi difficilmente spiegabili razionalmente, eppure verosimili, perché ben raccontati e calati in una narrazione convincente. Giada Messina Cuti trasmette l'importanza del fare chiarezza sulle proprie radici per trovare il proprio posto nel mondo, ma lo fa sottolineando i traumi di tutto ciò che la memoria rimodella, rimuove, lascia in sospeso tra chi eravamo e chi siamo. Se può sembrare un po' criptica quest'ultima riflessione, si faccia conto che saranno le ultime cinquanta pagine del romanzo a offrire una soluzione suggestiva, in un crescendo di pathos. E tu vivi è un refrain che diventa esortazione, preghiera, ma anche progressiva presa di coscienza di un proprio voler appartenere al mondo. Per quanto imperfetta, "strana" forse, di sicuro segnata prima ancora di nascere, Dalia non rinuncia a sé, né a diventare finalmente artefice del proprio destino.
GMGhioni
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