Stato di sogno
Il complesso meccanismo delle passioni e delle relazioni umane è al centro di Stato di sogno, il romanzo di Eric Puchner, che tanto successo sta riscuotendo negli Stati Uniti e che il «The Boston Globe» ha definito «cinematografico fin dall’inizio».
La passione per eccellenza, va da sé, è l’amore, e infatti la vicenda ruota intorno al triangolo che, tra rimpianti, rimorsi, risentimenti reciproci e segreti vecchi e nuovi, coinvolge per quasi tutta la vita i protagonisti Cece, Garrett e Charlie: un complicato e contraddittorio rapporto a tre, in cui si mescolano da un lato affetto e amicizia, dall’altro tradimenti e sensi di colpa e che cambia (in parte) i suoi connotati solo al sopraggiungere della vecchiaia e del declino psicofisico dei personaggi; una favola moderna, in cui i ruoli si invertono e si scambiano di continuo, dando vita a una narrazione sfaccettata e dagli esiti a volte imprevedibili.
Ciò è evidente sin dall’attacco, che si apre nel 2004 con la descrizione dei preparativi delle nozze tra gli innamoratissimi Cece e Charlie. La location prescelta è la casa, nello stato del Montana, in cui la famiglia di Charlie trascorre le vacanze: una proprietà che Cece adora («Cece amava quella casa più di qualsiasi altro posto al mondo», pp. 15-16) e che farà da scenario a tanti altri episodi nel corso del racconto: un «mondo predigitale» che fa sentire la ragazza «come il personaggio di un romanzo russo» (p. 16).
Ma il colpo di scena è proprio dietro l’angolo: la promessa sposa conosce Garrett, amico del fidanzato sin dai tempi del college, e tra loro nasce un sentimento nuovo, indefinibile, tra l’altro impensabile e improbabile fino a qualche giorno prima.
Ecco infatti come, nelle pagine iniziali, Cece descrive Garrett, per il quale sembra provare un’istintiva antipatia:
Già solo a vederlo, Garrett faceva l’effetto di una brutta notizia. Come se la sua presenza risucchiasse via la luce dal cielo (p. 21)
E ancora:
«L’ultima cosa di cui ho bisogno», pensò Cece, «è un filosofo da dormitorio sbucato dal passato di Charlie. Che strano, orribile uomo», si disse. (p. 22)
Le atmosfere del romanzo sono pregne di un’ironia tragicomica che l’ottima traduzione di Stefano Bortolussi riesce a restituire in pieno; l’alternanza sapiente tra i punti di vista sposta la prospettiva della narrazione dall’uno all’altro dei personaggi, consentendo al lettore di cogliere con esattezza l’evoluzione nel tempo del vincolo emotivo che li lega, e, con altrettanta precisione, le trasformazioni subite da ognuno (soprattutto quella di Garrett: una metamorfosi pressoché totale dall’inizio alla fine).
Benché l’eccessiva lentezza di alcuni passaggi e la dilatazione su pagine e pagine di episodi tutto sommato poco significativi nell’economia del libro rischino di penalizzare la complessiva scorrevolezza del racconto, tutti i difetti sembrano evaporare nel commovente finale che malinconicamente descrive la vecchiaia dei tre protagonisti e la parabola discendente intrapresa dalle loro vite intorno ai settant’anni di età, e che Cece presagisce così:
…si sentiva in lutto. L’estate era finita. E non solo quell’estate, ma anche la prossima e quella dopo. Il profumo delle ciliegie. I cieli così azzurri che sembravano fatti di piastrelle lucidate. I tuffi dal pontile e i lamponi da favola e la luce screziata del sole tra i pini. La sensazione che provava solo a guardare il lago, una sorta di libertà da casa sull’albero, come una brezza proveniente dall’infanzia… «Addio, cieli spaziosi!» (p. 325)
Un’altalena emotiva di gioie e dolori, insomma, in cui si apprezza particolarmente il flashback che costituisce l’ultimo capitolo: imprimendo un andamento circolare al romanzo, esso ci riporta indietro di anni, facendo sì che possiamo chiudere il libro non con l’immagine triste dei protagonisti ormai anziani e malandati, ma con quella, ben più divertente, di loro nuovamente giovani e pronti a tutto per amore.
Elide Stagnetti
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