La disobbediente
di Mavie Da Ponte
Marsilio, settembre 2025
pp. 224
€ 18 (cartaceo)
€ 10,99
(ebook)
Figli non ne avevo; l’ho sempre saputo che sarebbe andata così. Ecco perché mi trovavo a casa di Anna, e non a casa mia; ecco perché stavo per trasferirmi altrove, ecco perché non c’erano luoghi che potessi considerare casa. O almeno non più. Avevo trentacinque anni ed ero sola. È la sorte che spetta a quelle come me. Ero una disobbediente: la solitudine me l’ero meritata. (p. 14)
La
citazione scelta, che appare alla fine del primo capitolo del secondo romanzo
di Mavie Da Ponte (il primo, Fine
di un matrimonio, sempre edito da Marsilio, è del 2023), è una frase
che ben riassume l’andamento del testo. Non a caso, la troviamo anche in quarta
di copertina. È una frase esemplare, perfetta: ci dice tutto di questo romanzo
senza anticipare nulla.
È un
peccato dunque che una frase così perfetta, così rappresentativa del romanzo,
perda di consistenza man mano che si prosegue nella lettura. Che la
protagonista del romanzo, Monda (diminutivo di Raimonda), non abbia figli e non
li voglia neanche, che questa sua scelta abbia portato alla fine della relazione
di lunga data con Delio, e che lei stessa di categorizzi come disobbediente per
questa decisione anticonvenzionale, infatti, viene ripetuto talmente tante
volte durante l’intera storia da far perdere di significato a qualcosa che,
anziché essere mostrato nelle sue conseguenze, viene spiattellato in faccia al
lettore. Frasi come “figli non ne ho voluti”, “figli non ne volevo”, “madre non
sarei mai stata” compaiono in continuazione mentre gli eventi accadono, al
punto da arrivare a domandarsi quanto la ripetizione e l’ossessione siano cifra
stilistica dell’autrice e quanto invece sarebbe stato opportuno un intervento
di editing più radicale. Perché sì, l’ossessione funziona così, è qualcosa che
ruota nella testa di chi ragiona, qualcosa che è sempre sulla punta della
lingua di chi parla, qualcosa con cui si confronta ogni istante chi agisce, e
tuttavia un autore o un’autrice hanno di certo diverse frecce al proprio arco
quando si tratta di tradurre un sentimento, un’emozione o quel che sia in
parole. Non basta ripetere la stessa frase in diversi modi per una ventina di
volte all’interno di un romanzo per far diventare quel sentimento, quell’emozione
o quel che sia il fulcro del romanzo stesso.
La vicenda
di Monda, che da quando ha lasciato la casa che condivideva con Delio sembra
vagare senza una meta precisa (e ci sta: chiunque esca da una relazione duratura
sa quanto sia difficile ritrovare una bussola anche solo morale per la propria
esistenza), si dipana nel tempo. Accadono eventi più o meno significativi, fra
i quali il frequentare un uomo sposato con due figli, ignorare le telefonate di
un’amica, ritrovarsi ingabbiati in un lavoro senza grandi aspettative; il tutto
in attesa di qualcosa che dovrà venire, qualcosa che sbloccherà questo periodo
di passaggio, questo limbo senza senso in cui la protagonista è caduta. La
disobbediente è la storia di questo limbo, di un periodo vuoto riempito
solo da eventi poco rilevanti e tentativi di giustificare la propria scelta.
E qui si
apre un punto. Chi scrive questo articolo è un maschio eterosessuale
millennial, che di certo non può comprendere appieno i problemi e le
conseguenze a cui va incontro una donna quando decide di non avere figli. Per
una questione biologica e soprattutto culturale, è complicato – forse impossibile
– mettersi nella prospettiva di chi probabilmente è cresciuto con l’aspettativa
della genitorialità a tutti i costi, dell’essere madre come uno dei principali
motivi per cui si viene al mondo. Ancora oggi, nel 2025, in un’epoca che si rivela
meno civile di quanto ci si aspettava, succede che a una persona di sesso
femminile che ammette di non volere figli vengano rivolti sguardi di riprovazione
carichi di giudizio morale. Mavie Da Ponte porta su carta un
tema fondamentale della nostra epoca e lo fa attraverso un personaggio che le è
vicino a livello anagrafico: Monda è una millennial che a trentacinque anni chiude una relazione perché non vuole avere figli. Donne che non hanno voluto essere madri sono sempre
esistite in tutte le epoche; ciò che contraddistingue, forse, la generazione
millennial è la necessità di scontrarsi con le aspettative di chi ci ha messi
al mondo, quei boomer che nella narrazione mondiale sono diventati la
generazione che ha avuto tutto nella vita tranne la possibilità di scegliere. I boomer, a leggere fra le righe, hanno vissuto il boom
economico, si sono arricchiti presto, e tuttavia hanno avuto una sola via
percorribile: crescere, lavorare, sposarsi, fare figli, invecchiare. A fronte
di questa unica via, la generazione dei millennial ha dovuto “lottare” (le
virgolette sono d’obbligo) per crearsi una propria identità: lo studio, i
lavori precari, i nuovi modelli familiari, un diverso modo di essere genitori. O,
come nel caso della protagonista del libro di Da Ponte, nessun modo di essere
genitori.
Il tema dunque è fondamentale, si diceva. Nessuna persona di sesso maschile può comprendere a cosa va incontro chi decide di non essere madre, questo è poco ma sicuro. La storia di Monda apre uno spazio di dialogo e di riflessione, e lo si capisce bene da queste righe quanto abbia aperto una riflessione su chi ha scritto questo articolo. Tuttavia, il romanzo La disobbediente avrebbe funzionato altrettanto bene nella forma racconto, sia per la brevità dei fatti che avvengono sia per l’esplorazione del tema stesso. La sensazione è di aver voluto riempire degli spazi che avrebbero potuto venire sfruttati in maniera più decisa, soprattutto nelle ultime pagine, durante le quali accadono eventi che sembrano gettati lì solo per arrivare al finale. È un gran peccato, perché la sensazione è quella di un’occasione mancata.
David Valentini
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