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Con Valeria Gallina e la sua "La fabbrica dei desideri": una storia di famiglia tra ricordi e cioccolato nella Torino dei primi del Novecento

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La fabbrica dei desideri
di Valeria Gallina
Piemme, ottobre 2025

pp. 448
€18,90 (cartaceo)
€12,96 (ebook)

La fabbrica dei desideri
di Valeria Gallina
Piemme, 2025

pp. 448
€ 18,90 (cartaceo)
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Venerdì 17 ottobre ho avuto l'immenso piacere di conoscere una storia di vita vera, quella di Giulia, di Giuseppe, di Caterina e di tutti i personaggi che incontriamo nel bellissimo romanzo di Valeria Gallina, La fabbrica dei desideri (Piemme, ottobre 2025). Questo romanzo corale infatti narra la storia della bisnonna dell'autrice e di tutto il mondo legato a questa fabbrica di cioccolato. L'intero svolgimento dell'opera è ambientato nella Torino di inizio Novecento, per la precisione dal 1910 al 1922. 

La storia, sebbene romanzata, narra le vicende di Giulia, una quindicenne che si trasferisce a Torino con la madre e i due fratelli, Angelo e Franco. Qui, il suo destino s'incrocia con quello di Giuseppe e della sua famiglia, i nuovi vicini di casa. Al centro dell'intera narrazione c'è la storica e rinomata fabbrica di cioccolato Moriondo e Gariglio, in cui Giulia inizierà a lavorare, abbandonando la vita da lavandaia e iniziando un percorso di vita che la porterà ben più lontano delle sue aspettative. 

Partecipare in prima fila a questo incontro ha significato per me immergermi in un mondo che, se già mi aveva affascinata sulla carta nelle sue oltre quattrocento pagine, dal vivo e per voce dell'autrice mi ha fatta innamorare ancor di più della preziosità di questa storia. Infatti l'intera vicenda intreccia fatti di vita reale, come gli scioperi e la guerra, a elementi di fantasia, traportando il lettore nella Torino sabauda ai tempi in cui le donne dovevano ancora conquistare non soltanto moltissimi diritti, ma anche il privilegio stesso di sperare in un futuro migliore per se stesse. 

Questo romanzo però non è unicamente incentrato sulle voci femminili, ma anzi ha il potere perfettamente equilibrato di dar voce e spazio a tutti, uomini e donne, senza mai rappresentare stereotipi, ma anzi mantenendo ognuno perfettamente intatta la propria caratterizzazione. Ed è proprio questo l'elemento di realtà che Valeria Gallina ha messo nel suo racconto: i caratteri dei personaggi, attraverso i suoi ricordi d'infanzia, hanno preso vita tra le pagine. L'autrice si racconta molto, tra emozione e simpatia, e ci spiega come è nata l'idea di scrivere questo romanzo, una sorta di avventura partita dal Covid e finita con la voglia di raccontare le memorie della sua mamma e della sua nonna. E aggiungerei, per fortuna che ha avuto questa bella idea. 



Il titolo La fabbrica dei desideri ha una sua duplicità: da un lato rappresenta sicuramente i desideri di Giulia, una ragazza con una famiglia di umili origini che, nonostante la sua condizione, capisce di voler andare oltre, e così inizia a studiare. Dall'altro l'intera fabbrica rappresenta tutta una generazione di donne che capiscono che finalmente hanno una possibilità di volere qualcosa di più dalla loro vita, sia in quanto donne sia in quanto lavoratrici. 

La città di Torino poi è parte attiva e centrale della storia: non è soltanto cornice alla vicende dei protagonisti ma agisce proprio come un personaggio. La scrittrice, che si definisce "sabauda nell'anima", ha poi raccontato di quanto si sia documentata per la realizzazione di quest'opera e di quanto abbia studiato per restituire al lettore un'immagine autentica della città in quei tempi. Il suo intento era proprio di solleticarne la curiosità, divertendolo con aneddoti sul cinema, sulla Bella Époque e sulle descrizioni a piazze e vie senza mai nominarle, invitando i sabaudi come lei, a riscoprire i luoghi da lei narrati.

Un altro tema che è emerso dal dialogo con la scrittrice è quello dell'asocialità condominiale attuale, ben diversa dal rapporto condominiale che c'era nei primi del Novecento. Basti pensare che la madre di Giulia lasciava il suo bimbo più piccolo in custodia a un ragazzino di tredici anni, o che tra due personaggi femminili di stato sociale molto differente, nascesse una bellissima amicizia tanto da organizzare degli appuntamenti fissi con cadenza settimanale unicamente per il piacere di cenare l'una in compagnia dell'altra.

Un aspetto che ho ammirato moltissimo della narrazione è stato non soltanto la sua scorrevolezza e fluidità, ma il fatto che la storia fosse raccontata dalla parte di chi resta. Mi spiego: questo non è un romanzo sulla guerra, ma è un opera incentrata su chi resta, in questo caso a Torino. L'autrice a tal proposito ci ha letto un breve estratto dal suo libro: 

 La guerra era un animale feroce che aveva sempre fame: di uomini, animali, fucili, pallottole, divise, gavette, cibo. Le grandi fabbriche di Torino furono riconvertite alla produzione bellica, e quando gli uomini partirono per il fronte, le donne presero il loro posto. (p. 232)

Tra le domande del pubblico viene anche chiesto a Valeria Gallina cosa avesse scoperto di sé scrivendo il libro, e l'autrice ha risposto spiegando che le avevano fatto notare il diverso approccio nel rapporto madre-figlia e madre-figlio. Da questa analisi esterna è emerso che se nel binomio con il figlio, la madre è più protettiva, nel binomio con la figlia invece il rapporto è meno protettivo e molto più paritario. Le sue prime lettrici sono state le sue amiche, amiche che riporta anche nei ringraziamenti e che danno origine (inconsapevolmente) alla caratterizzazione di alcuni personaggi che ruotano attorno a Giulia. Questo perché dentro ogni singolo personaggio ci sono pezzi della scrittrice. È sempre bello vedere quando un pubblico è partecipe, soprattutto se attivamente, e con richiesta di domande e curiosità.




Al termine dell'evento, dopo il firmacopie, l'autrice mi ha anche concesso un'intervista esclusiva. 
Di seguito l'intervista:


Nel romanzo si intrecciano storie famigliari con eventi sociali e globali come la guerra. Qual è stata la tua strategia narrativa per integrare questi due livelli e quali difficoltà hai integrato?

«Conoscere bene i caratteri dei protagonisti mi ha permesso di raccontare prima la loro storia e poi inserirla nel contesto, anche perché i personaggi devono essere in linea con l'ambiente da cui provengono. La storia infatti è per lo più ambientata nel quartiere di Borgo Po e circondario, pertanto era necessario che i personaggi fossero credibili anche nella loro area».

Quale messaggio vuoi trasmettere ai lettori? Cosa speri che resti con chi chiude il libro, in termini emotivi?

«La cosa che sicuramente vorrei che provassero è il piacere stesso di leggerlo e di conseguenza vorrei che si divertissero nel leggerlo».

Pensi che questo momento specifico dell'editoria in cui c'è una predominanza di storie di generazioni femminili, ti abbia dato una maggiore possibilità di successo rispetto anche solo dieci anni fa? Pensi che sarebbe stato meno apprezzato?

«Penso che essendo un romanzo corale, fatto di voci sia maschili che femminili non lo si possa definire un romanzo di e per sole donne, ma sicuramente questo specifico periodo potrebbe essere più favorevole».

Carlotta Lini