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Scrittori alla terza prova: "L'era dell'acquario" di Fabio Bacà

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L’era dell’acquario
di Fabio Bacà
Adelphi, settembre 2025 

pp. 357
€ 19 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook) 

La cosa strana è che non voglio diventare atea. Essere atea mi priverebbe di una consolazione alla quale voglio aggrapparmi fino all’ultimo giorno di vita. Se fossi atea non potrei continuare a odiare Dio per tutto quello che mi ha fatto. Odiarlo per tutte le cose orribili che ci sono al mondo. (p. 167)

Nel lontano 2022, parlando a proposito di Nova, il secondo romanzo di Fabio Bacà dopo il fulminante esordio Benevolenza cosmica, ci ritrovavamo a sospendere il giudizio in attesa di un terzo libro. La scrittura dell’autore marchigiano confermava la sinuosità e l’eleganza degli esordi, tuttavia una trama non proprio convincente spingeva a chiedersi quale fosse la cifra a cui stava mirando.

Oggi questo terzo romanzo è stato pubblicato, sempre per Adelphi, e forse qualche risposta la si può dare. O quantomeno si possono abbozzare delle considerazioni.

L’era dell’acquario sembra in prima battuta affrontare un tema singolare, che da lettori cominciamo a vedere sempre più spesso fra i libri pubblicati anche dalle major: la carriera di una ragazza bellissima e seducente, il cui nome d’arte è Chloe, la quale dai social come Instagram sbarca su OnlyFans, diventando all’improvviso ricchissima grazie a video e performance dedicate nei quali riproduce atti sessuali neanche troppo espliciti. La prima parte del libro è tutta dedicata a Chloe e al modo in cui la sua vita è cambiata quando ha deciso di diventare una sex influencer, come lei stessa e le sue amiche si definiscono. In queste pagine, pur corpose (arriviamo fino a pagina 127 di 357, praticamente un terzo), è tutto un fiorire di brand, appuntamenti glamour, locali alla moda, chiacchiere fra persone del settore e lunghi flashback sulla prima giovinezza di Chloe, ma anche di dettagli sui video e sul rapporto con i clienti più affezionati. Lo stile di Bacà, sempre preciso nei termini, sempre elegante nella composizione delle frasi – quel che si diceva a proposito di Nova non cambia: a tratti si sfiora il manierismo, ma stavolta la sensazione è più lieve –, si scontra con i dialoghi e le riflessioni dei personaggi, quasi tutti femminili, che emergono dalle pagine per la loro naturalezza («“Di solito si ride quando non si prende sul serio ciò che si fa” le aveva spiegato. “A te succedeva perché eri convinta che filmarti mentre succhiavi un cazzo di gomma fosse poco serio, nel senso di moralmente indecoroso.”», p. 33). Il punto però è un altro: salvo l’incipit, che mostra una scena molto diversa da ciò che viene dopo e ci prepara a un altro tipo di testo, questa prima parte sembra improntare il romanzo sul tema del sex working, delle attività online, dei social ecc. Il dubbio che tutto questo venga affrontato solo per concedere a Chloe uno stile di vita benestante sfiora appena il lettore, che viene però catturato da ciò che sta leggendo, perché tutti i personaggi sono credibilissimi.

Dalla seconda parte, però, tutto cambia. Ci ritroviamo con altri personaggi e altre situazioni che spostano il focus altrove, e cioè verso i problemi adolescenziali di Samuel – un ragazzo disabile – e di suo padre Paolo. Quando i destini di questi tre personaggi – Chloe, Samuel, Paolo – si incrociano, ecco che infine la trama del libro si sposta sul binario giusto e anche l’incipit assume il ruolo che ci si aspettava.

Si potrà dire: certo, è così che viene costruito un romanzo: tramite il montaggio di parti che a volte, per scelta autoriale, sembrano lontane anni luce l’una dalle altre. È indubbio che questa sia una tecnica narrativa, e anche fra le più famose.

Ciò che lascia perplessi è però in che modo le singole parti sono state montate, o meglio ancora perché si è data così tanta importanza a determinati aspetti. Un esempio fra tutti, che poi è la domanda principale che ci siamo posti quando siamo arrivati a circa tre quarti della lettura: se il tema del romanzo è legato a quell’incipit (come leggiamo nella bandella di sinistra: «[Chloe ha costruito la sua vita] per tentare di sfuggire alle ombre di un passato di cui non parla con nessuno […] e nel fondo del quale ci sono una donna morta in un bosco, sotto una valanga di neve, e un uomo che, scampato alla morte in modo misterioso, sostiene di aver intravisto l’aldilà»), e se ciò che nell’incipit leggiamo è parte fondante della vita di Chloe e di Paolo (ma anche di Samuel) al punto da condurre tutta la narrazione verso un punto ben preciso (ossia: il finale), in che modo tutto questo richiede la costruzione di un personaggio altamente sui generis, con un lavoro peculiarissimo (da intendersi: peculiarissimo per il modo in cui viene trattato da Bacà; basti pensare al fatto che Chloe investe tanta parte delle proprie energie, almeno all’inizio della carriera, per celare la propria identità personale)? E in che modo, soprattutto, la descrizione della vita di Chloe e del suo mestiere arrivano a occupare un terzo del romanzo se poi il focus è tutt’altro e quasi nulla c’entra con quanto si legge nella prima parte al punto da far risultare la carriera di Chloe quasi un MacGuffin?

Beninteso: non stiamo dicendo qui che il personaggio di Chloe è fuorviante o in contrasto con quanto avviene nel prosieguo della narrazione. Stiamo dicendo che quasi tutto ciò che contraddistingue Chloe, a cominciare dal suo lavoro al quale si dà così tanta importanza, risulta poco rilevante quando poi si giunge al nodo del romanzo. Persino la scelta di intraprendere quel lavoro sembra così slegata da ciò che si scopre andando avanti nella lettura (quando poi si comprende in che modo la protagonista è legata a quella donna morta nel bosco e a quell’uomo scampato alla valanga) da chiedersi se la decisione di affrontare un tema come il sex working/sex influencing non sia stato dovuto alla mera volontà di attirare l’attenzione su una trama che, altrimenti, sarebbe risultata meno accattivante. È innegabile, infatti, che avviare un romanzo con un personaggio femminile che lavora su OnlyFans sia più intrigante di avviare lo stesso romanzo con un personaggio femminile che di mestiere fa l’impiegata, la dottoressa, l’avvocata.

Quando si arriva a sciogliere i nodi, ci è affezionati a Paolo e ai suoi problemi familiari, a Samuel e al suo modo complesso di vedere il mondo (e, soprattutto, a quel suo amore acerbo e romanticissimo), e tuttavia gli eventi sono di per sé dimenticabili. Il senso di mistero con cui si avvia la narrazione, e che sembra essere il focus dell’ultima parte del romanzo, lascia un poco insoddisfatti.

La scrittura di Fabio Bacà è sempre brillante. I suoi romanzi si leggono volentieri, vuoi per la bellezza delle frasi, che rendono onore alla nostra lingua senza mai (quasi mai) sembrare forzate, vuoi per la capacità che hanno di coniugare ordinarietà e straordinarietà, elevatezza spirituale e mondanità animale (è innegabile che ci voglia una grande maestria per coniugare nello stesso paragrafo i “cazzi di gomma” e le considerazioni morali sul divino). E tuttavia, a fine lettura (anche a fine lettura di questa terza prova), resta qualcosa di sospeso, non nel senso di incompiuto (che poi alla fine tutto torna, e torna anche bene) quanto piuttosto nel senso di lasciare perplessi. Ci si chiede, a fine lettura, se non ci è persi un passaggio, qualcosa che avrebbe potuto indicare come interpretare determinati aspetti del romanzo.

Detto questo, in conclusione, resta da dire soltanto: avercene più autori che sappiano padroneggiare la lingua e lo stile come Fabio Bacà.

David Valentini