Dio della polvere
Con la forza dirompente di un uragano, animata da un fortissimo spirito di giustizia, Chiara si abbatte sulla vita tranquilla del vescovado di una non meglio precisata «città del nordovest ricco, ottuso e pettegolo» (p. 132).
Ha una causa da perorare, un’innocente da difendere: Luna, una delle sue pazienti – Chiara è fisioterapista ed è assolutamente empatica nei confronti dei suoi assistiti – è stata vittima di pesanti abusi da parte di un prete («il porco») e le conseguenze psicofisiche di queste violenze la stanno lentamente uccidendo.
«Ma perché lei si è presa questa incombenza?» chiese il vescovo riaccomodandosi sulla poltroncina. «Qualche volta sono le cose a prenderci. Ci obbligano.» «Le cose?» «Le circostanze. Le persone. Ci troviamo lì e non possiamo sottrarci». (pp. 29-30)
Supportata da una logica ferrea, da argomentazioni stringenti e da una vis polemica provocatoriamente diretta, Chiara si scaglia contro il vescovo, nella cui diocesi ha operato il prete mostruoso, non lasciandogli quasi possibilità di replica e investendolo, incontro dopo incontro, con una serie di interventi mirati a destabilizzarne le sicurezze psicologiche e morali:
«No. Non la scuso. Lei è colto, ricco. È solo colpa sua se non capisce che la sua responsabilità va oltre quello che ha fatto o non fatto personalmente. Che siamo tutti responsabili di tutto. Se il male è stato commesso, la colpa e i suoi effetti incombono su tutti, perché non lo avete previsto e fermato». (p. 68)
Dio della polvere, il nuovo romanzo di Mariapia Veladiano, è un libro-denuncia costruito su una trama essenziale, animato da pochissimi personaggi, ambientato tutto tra le mura del vescovado e strutturato quasi per intero sui dialoghi tra la protagonista e il suo mortificato interlocutore. Un testo di grande spessore intellettuale, in quanto si presenta come una raffinata e corposa requisitoria non certamente rivolta contro la fede o la religione cristiana, ma contro la bassezza morale di molti uomini di Chiesa, che per secoli hanno praticato abusi e violenze di ogni tipo, insabbiandoli poi accuratamente, grazie all'omertà generale dei loro ‘colleghi’ e alla connivenza dei loro superiori.
«Gli abusi sono anche altrove, perché quelli della Chiesa dovrebbero essere più importanti?» chiese il vescovo alla fine. «Cielobenedetto. Ma si rende conto di quel che ha detto? Tutte le violenze sono importanti, ma voi pretendete di incarnare l’amore di Dio! La violenza che viene dalla posizione di potere è intollerabile. Quella che avviene in nome di Dio è una morte anticipata perché, se ci tradisce anche Lui, Signore da chi andremo?» (p. 34)
Il lungo atto d’accusa della protagonista è scandito e calibrato in modo tale da svelare a poco a poco i dettagli della vicenda, garantendo così una tensione narrativa costante, degna di un libro giallo. Benché la conclusione del romanzo non risulti affatto negativa, la lettura trasmette l’immagine di un mondo marcio, incancrenito, ‘impolverato’, le cui nefandezze risultano impossibili da arginare del tutto e che neanche nell’ultima pagina Chiara rinuncia a condannare:
«Sulla pedofilia la Chiesa forse è irredimibile. Può solo confidare in Dio. Spero che Dio non perdoni». (p. 179)
Elide Stagnetti
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