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Come un taglio di Fontana: squarci che non si aprono ne “I vulnerabili” di Sigrid Nunez

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I vulnerabili
di Sigrid Nunez
Garzanti, 7 ottobre 2025
 
Traduzione di Valeria Bastia
 
pp. 208
€ 18,00 (cartaceo)
 9,99 (ebook) 
 
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A farsi notare nell’ultimo romanzo dell’autrice statunitense Sigrid Nunez, uscito nel 2023 e ora disponibile per Garzanti in traduzione italiana, è anzitutto il titolo: I vulnerabiliComplice un debole cronico per le etimologie, l'aggettivo "vulnerabile" indica la condizione di chi, scoprendo il petto di fronte all’altro, può essere ferito. Può, non deve. E tuttavia il rischio potenziale di quella ferita porta con sé qualcosa di indicibile. È in questo crocevia che uno scrittore diventa necessario: scava nelle sue piaghe incrostate per trarne qualcosa di universale e, insieme, trova le parole per chi, pur abitando lo stesso dolore, non riesce a raccontarselo, né a esprimerlo agli altri.

Si giunge così a una combinazione promettente: un libro che pare rivolgersi alla fitta anticipatoria dell’esporsi e per giunta firmato da una delle penne più stimate dei nostri tempi, vincitrice con L’amico fedele (Garzanti, 2019) del National Book AwardÈ quanto sembravano confermare anche le prime pagine del romanzo, dove ho trovato un passaggio così giusto e lacerante da meritare quantomeno di essere riproposto:

Sono a conoscenza di studi scientifici sui gemelli, compresi alcuni casi in cui uno dei due non è sopravvissuto alla nascita. Molti dei superstiti hanno provato un senso di perdita, di dolore, di vuoto e di rimorso che li ha accompagnati per tutta la vita. Un uomo, per esempio, raccontò di essersi sentito enormemente sollevato quando, in età adulta, gli era stato rivelato che aveva un gemello ma che era nato morto. Finalmente aveva trovato una spiegazione per la straziante sensazione di vuoto che aveva sempre avvertito e per la sofferenza che venava anche ogni momento felice della sua vita. Io non ho mai avuto un gemello, dunque perché la storia di quest’uomo tocca certe corde dentro di me? Perché mi giunge come una rivelazione? I conti non tornano. Mi sono persa qualcosa. Credo che sia per questo che scrivo. […] Voglio sapere perché mi sento come se fossi in lutto da una vita. (pp. 16-17) 

Quello che mi attendevo, dal seguito del romanzo, era un attraversamento della zona d’ombra in direzione di questo squarcio da subito rivelato in maniera tanto efficace. Invece, quella che attraversa le pagine del romanzo di Nunez è una vulnerabilità ordinaria e sorvegliata. Tenue: galleggia in superficie per non correre il rischio di affondare. Non è teatrale, non impietosisce. È dignitosa. Una scrittrice di mezza età  l'io narrante  cerca di sopravvivere alle novità angoscianti del lockdown. Nella scansione incerta delle sue giornate trovano spazio eventi quasi surreali: il trasferimento nell'appartamento di una conoscente per badare al suo pappagallo; una convivenza imprevista con un ragazzo sull'orlo di una nevrastenia; passeggiate solitarie in una New York improvvisamente svuotata. 

In una forma ibrida tra memoir e fiction, Nunez, in piena consapevolezza, non intreccia le fila di una trama vera e propria. Né sarebbe certo la prima volta, in letteratura – vengono in mente Le pieghe dei giorni di Charles Simmons, per restare in ambiente statunitense. Il problema, se così si può dire, risiede forse nell'assenza di un collante capace di mantenere saldo l'impulso a procedere con la lettura. Spaziando da un tema a un altro in un flusso di coscienza che, più che scorrere, singhiozza in digressioni letterarie e sezioni brevissime di testo, l'impressione è di non sapere se il romanzo stia realmente portando da qualche parte. Si potrebbe dire che ciò rispecchi bene la coltre di insicurezza ereditata dal lockdown, ma avrei desiderato un affondo più netto, dalla protagonista e forse anche alla scrittrice.

I vulnerabili, pertanto, è certamente un libro di spessore letterario, chiaro nello stile discorsivo, tenero nelle fragilità che qua e là zampillano tra le righe, quasi chiedendo il permesso; ma resta un'opera forse più apprezzabile da unélite di intellettuali e teorici della letteratura che dal grande pubblico. La vulnerabilità evocata con tanta efficacia nelle prime pagine – e che il titolo sembra innalzare a condizione condivisa, perfino universale – rimane a uno stato potenziale. Come in un taglio di Fontana, il vulnus c'è, si vede, se ne avverte la presenza. Tuttavia, lo si contempla da fuori, senza mai penetrare nel buio che si apre dall'altra parte.

Giulia Tardio