di Franco Buffoni
Con Aureole e tigri dal mondo queer, Franco Buffoni aggiunge un nuovo tassello al suo lungo percorso di scrittore e studioso impegnato a restituire dignità letteraria alle esistenze LGBTQ+ oscurate dalla storia ufficiale. Questa nuova edizione, pubblicata da Il ramo e la foglia edizioni, non è soltanto una raccolta di racconti, ma una vera e propria geografia sentimentale del mondo queer, che attraversa secoli, lingue e latitudini, ricomposta con la precisione del filologo e la sensibilità del poeta.
Ma cosa intende Buffoni per altra letteratura? Non una nicchia identitaria né un sottogenere tematico, ma una trama parallela di biografie, desideri e censure, rimasta per troppo tempo ai margini del canone. Il libro attraversa figure note e meno note, episodi celebri e documenti rimossi, mettendo in scena la tensione costante tra rappresentazione e cancellazione.
Ogni racconto si configura come un’operazione consapevole di contro-storia, che lavora per sottrazione e riemersione: recuperare ciò che la morale, le istituzioni, la medicina o persino la filologia hanno normalizzato, travisato o espunto dal discorso culturale dominante.
Un esempio emblematico è il capitolo dedicato alle lettere di Fryderyk Chopin. Buffoni ricorda come, per decenni, le traduzioni abbiano femminilizzato o epurato i riferimenti omoerotici del musicista:
«Scritte in polacco, protette dunque da una lingua agli stranieri non comprensibile nell’originale, le lettere di Chopin […] sono state tradotte volgendo al femminile le espressioni amorose originariamente declinate al maschile, e mistificando, o addirittura omettendo altre più crude espressioni di ricerca di partner in luoghi volgari di battuage.» (p. 80)
Qui Buffoni lavora come un archeologo della lingua, rivelando come la traduzione, lungi dall’essere un atto neutro, possa diventare uno strumento di censura. La pagina mostra perfettamente la sua doppia natura: la freddezza analitica dello studioso e il dolore trattenuto di chi sa che, dietro ogni omissione, c’è una vita privata negata.
La stessa lucidità si ritrova nel ritratto di Pasolini, affrontato non come icona culturale ma come reazione chimica di luogo, corpo e desiderio. Buffoni scrive:
«Il coraggio sfrontato di Pasolini ruppe ogni consolidato schema, permettendo al costume italiano di compiere un formidabile salto di qualità, solo perché si verificò una reazione chimica altrimenti irripetibile.» (p. 98)
La prosa di Buffoni, qui, si fa quasi saggistica: non racconta soltanto Pasolini, ma il modo in cui Pasolini ha scardinato un sistema culturale. Il riferimento alla “reazione chimica” non è metafora estetica, bensì categoria critica: l’identità queer come catalizzatore, come elemento che obbliga la società a riformulare il proprio equilibrio.
Il capitolo successivo ribadisce questo concetto, questa volta legandolo al tema dei luoghi e dell’identità artistica:
«L’importanza del cambiamento di luogo, dunque, anche per imprimere svolte decisive alla poetica di un autore.» (p. 99)
Buffoni non parla solo di geografia: parla del movimento come possibilità queer, della fuga come spazio di reinvenzione, del margine come luogo fertile.
Nell’analisi di autori diversi: da Byron ai compositori polacchi, emerge la stessa dinamica: il desiderio, quando non può esprimersi, si muove, cambia città, cambia lingua, cambia forma. È questa mobilità che genera opere nuove, nuove sintassi, nuove estetiche.
L’intero libro è percorso da una domanda che Buffoni non formula mai esplicitamente, ma che aleggia in ogni pagina: cosa sarebbe la storia della letteratura se smettessimo di leggere la queerness come deviazione, e iniziassimo a riconoscerla come motore creativo?
Buffoni risponde attraverso le vite stesse dei protagonisti, attraverso le omissioni dei traduttori, attraverso le ipocrisie dei critici e dei filologi. Ed è questa capacità di unire il documento all’interpretazione, la microstoria all’analisi letteraria, che rende Aureole e tigri dal mondo queer un’opera unica nel panorama italiano contemporaneo.
Il libro, pur nella sua brevità, è densissimo. Ogni capitolo è una riapertura del caso, un modo per rimettere in circolazione desideri e verità che per decenni sono stati filtrati dalla morale dominante. Lo stile di Buffoni è limpido, asciutto, rigoroso; non indulge mai nel vittimismo o nell’enfasi, ma lascia che siano le fonti, lettere, biografie, documenti, opere, a parlare.
Eppure, nel rigore c’è spazio per una delicatezza tutta sua. Quando parlando del proprio impegno scrive di voler offrire «motivo di orgoglio e rinnovata dignità», il lettore avverte la parte più intima di questo libro: la convinzione che recuperare queste storie non sia un lavoro accademico, ma un atto di restituzione. Aureole e tigri dal mondo queer è un libro necessario.
Necessario per chi studia la letteratura, perché mostra come interi sistemi interpretativi siano stati costruiti sul rifiuto del desiderio. Necessario per chi vive il proprio orientamento come storia da inventare ogni giorno. Necessario per chi crede che la verità, anche quella scomoda, non distrugga la bellezza, ma la illumini.
Franco Buffoni ci ricorda che leggere il mondo con occhi queer non significa restringere lo sguardo: significa ampliarlo, restituendo a ogni testo la sua complessità e, finalmente, la sua verità.
Alessia Alfonsi
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