Prepararsi - Il libro delle apparenze
di Sara Marzullo
66thand2nd, ottobre 2025
pp. 216
€ 18 (cartaceo)
€ 12,99 (ebook)
Perché era ovvio, no? Ogni volta che si parla di apparenze, di prepararsi, di presentazione di sé, la domanda centrale che sorge spontanea è: chi ce lo fa fare di perdere tutto quel tempo e quelle energie per mostrarci al mondo? Non andiamo già bene così come siamo, non siamo già sempre e comunque pronte? È per questo che ho voluto partire dall'idea che i vestiti, la moda e il tempo che dedichiamo a noi abbiano sempre e in ogni circostanza un valore espressivo - che si può declinare anche solo come tentativo di conformarsi alle richieste sociali, certo. Abbiamo visto come, non potendo noi non comunicare, questi elementi prendono parte alla manifestazione della nostra persona e possono essere utilizzati in un progetto di coincidenza con noi stessi. (p. 111)
Di Sara Marzullo, autrice 66thand2nd, avevo già letto il suo bel saggio Sad girl - La ragazza come teoria, uscito nel gennaio 2024, che mi era tanto piaciuto, sia per come il tema della "ragazza triste" contemporanea era esposto, sia perché probabilmente mi riconoscevo in quella figura.
Ora è tornata in libreria con un secondo saggio, scritto altrettanto bene, su un argomento che pare coinvolgere tutti, in cui possiamo riconoscerci: le apparenze e il significato della parola "prepararsi", soprattutto in relazione all'universo socialmente definito femminile.
L'autrice usa un tono che apprezzo nei saggi di questo tipo, né troppo accademico né troppo informale, introducendo l'argomento per poi esaminarlo da ogni prospettiva: in questo caso, il focus è sul termine che dà il titolo al testo. Cosa vuol dire prepararsi? Per chi ci prepariamo? Davvero è una nostra scelta libera passare un determinato tempo - che può essere anche molto lungo - davanti allo specchio o è un gesto automatizzato che compiamo per presentarci al nostro meglio, per farci apprezzare, per non restare esclusi?
Prepararsi è un gesto di negoziazione tra forze diverse, tra ciò che desideriamo esprimere e il modo in cui pensiamo di dover apparire (p. 82)
Il saggio affronta l'argomento sia citando filosofi e filosofe, scrittori e scrittrici, sia svincolando su un lato più pop (un po' come era già successo con Sad girl), prendendo in esame film, serie tv, romanzi, vite di donne celebri, di successo o meno, ripercorrendo momenti della storia del costume e della moda, raccontando cosa gli abiti e gli accessori - come espressioni tangibili dell'apparenza - rappresentino in termini di ciò che comunichiamo di noi stessi al mondo. L'approccio è chiaramente femminista, ma l'autrice non si dimentica di dedicare parte della sua analisi anche al mondo maschile, perché se è vero che, forse, gli uomini si preparano meno, forse non è altrettanto vero che ci pensino meno.
Quello che ho apprezzato inoltre è l'invito del testo a rispondere a delle domande, sia in modo esplicito, chiedendo direttamente al chi legge di riflettere attivamente, sia in modo più sottile, attraverso la messa in discussione di alcuni assunti culturali e sociali che pensiamo siano dogmi.
Mi riferisco piuttosto alla preparazione vista come calvario, come processo lungo e dispendioso in tutti i sensi, ma presentato allo stesso tempo come necessario e naturale, al fatto che, in primis, ci si aspetta che «la preparazione» prenda tanto tempo o che coinvolga ogni parte del corpo. Alle donne insomma viene detto - dalla società, dalla moda, dall'industria dei cosmetici, dai proverbi come «chi bella vuole apparire, mille pene deve soffrire», dalle fiabe e dai film - che per poter abbracciare la propria femminilità devono imparare ad amare questo gesto, trasformarlo in un rito, in un tempo per sé, magari rivendicarlo anche come un gesto femminista. (p. 55)
Cosa vuol dire stare bene nella propria pelle? Si tratta di una "scelta" (termine che viene messo parecchio in discussione nel testo) o di sottostare a regole consumistiche che ti dicono di aver bisogno di mille prodotti, palestra, abiti firmati e un determinato stile di vita per poter essere in pace o finalmente soddisfatto/a? Si tratta di omologazione o di emancipazione?
Ecco, il saggio semina vari quesiti di questo tipo e nel frattempo ci racconta come si è evoluto nel corso del tempo il cosiddetto assunto contemporaneo "sii te stesso" o "costruisciti da solo". In un'epoca in cui l'autodeterminismo si è trasformato da invito a fardello - perché chi non ce la fa diventa automaticamente un fallito che non ha saputo sfruttare le innumerevoli possibilità di successo a sua disposizione (ma quali, in fondo?) - il gesto di decidere di presentarsi in una certa maniera, o di non presentarsi affatto, nasconde molti inganni su cui, ci dice l'autrice, vale la pena interrogarsi.
È attraverso questa prospettiva che ti propongo di indagare le tue collusioni e complicità, di analizzare dove il tuo giudizio nei confronti degli altri si fa inflessibile e dove invece hai la tendenza a soprassedere, quando ti pieghi alle richieste e alle aspettative consapevolmente e quando invece ritieni che sia solo «normale». Questo ci permetterà di comprendere quali forze sociali sono in gioco, chi detta le regole, perché cediamo e in quali casi condanniamo questa resa. Per fare un primo esempio: perché le donne sono tacciate di vanità? Perché nel caso di Eliza Doolittle siamo spinti ad apprezzare il makeover a cui si sottopone? Perché invece deridiamo chi eccede nell'uso della chirurgia plastica? (p. 99)
Vengono presi in esame gli abiti, gli accessori, gli specchi, la chirurgia plastica, il nostro rapporto con le norme sociali, l'equazione tra competenza e femminilità, i compromessi che dobbiamo accettare per riuscire a far quadrare i conti della nostra apparenza, il modo in cui una donna (o un uomo) si approccia al mondo del lavoro in termini di professionalità legata a come si presenta - a come si prepara prima. Il testo non pretende di fornire risposte, ma di sollevare dubbi, e lo fa benissimo.
Il saggio è denso, compatto e perfettamente inserito nelle discussioni attuali circa il femminismo e le sue crisi, l'obbligo della performance - nella vita e sui social, altro tema ben trattato - e il culto dell'individualismo, forse un po' noioso ormai.
Salvo che l'autenticità è solo un effetto. Lo era, in un certo senso, per Portmann, dove è tutto ciò che sta all'interno del corpo che lavora per produrre l'apparenza, anche se poi non la vede nessuno. Per apparire come noi stessi, insomma, dobbiamo metterci d'impegno. Eppure, come abbiamo visto, le cose si fanno difficili quando entriamo in rapporto con gli altri e con le norme sociali; perché esistono regole a cui obbedire antitetiche a quello che consideriamo il nostro carattere, a volte impossibili da comprendere in autonomia, come per Eliza Doolittle; ma anche quando queste regole smettono di essere evidenti e si fanno tacite, anche quando la regola è «essere te stessa», solo alcuni sé vanno bene. (p. 150)
Deborah D'Addetta

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