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Il calcio come antidoto alla nostalgia: "Season" di George Harrison per Atlantide

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Season
di George Harrison
Blu Atlantide, ottobre 2025

Traduzione di Enrico Terrinoni

pp. 256
€ 19,50 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)

Due profonde forme di nostalgia s'intrecciano in Season di George Harrison, tradotto da Enrico Terrinoni per Atlantide. Sono nostalgie diverse: quella di chi si trova nella fase della vita in cui tutto sembra sottrarsi, e quella di chi è soffocato dalla desolazione di una cittadina anonima. È dunque la nostalgia di ciò che è stato, contrapposta a quella di ciò che non sarà mai.

Distanti per età e prospettiva, i due protagonisti sono uniti dal Norwich, dal calcio di provincia e dalla lotta nei bassifondi della Premier League. Partita dopo partita, nasce tra loro un’amicizia autentica, compressa nello spazio sospeso dello stadio e alimentata da una speranza comune: la sopravvivenza della squadra. La salvezza del Norwich diventa così il simbolo del loro stare a galla. 

Erano soltanto compagni del sabato pomeriggio; le loro vite si intersecavano solo allo stadio e solo nei giorni in cui si giocava in casa, ed era soltanto in queste occasioni che si scambiavano commenti sul tempo e sul calcio. (p. 75) 

I due si ritrovano infatti seduti accanto sugli spalti del Carrow Road. Il giovane ha preso il posto appartenuto per anni alla moglie del vecchio, costretta dalla salute cagionevole a mettere da parte la passione per i Canaries

Ne aveva viste tante in vita sua, il Vecchio, e la moglie aveva visto quasi tutto pure lei, con lui. Non ci aveva pensato troppo nel decidere di rinnovare l'abbonamento e affrontare di nuovo tutto anche quest'anno, ricominciando come sempre da zero. Ma adesso, per la prima volta capiva cosa significava fare tutto da solo. (p. 11) 

Se l’anziano è scosso dai malanni della moglie, il giovane si misura invece con le turbolenze di una ragazza conosciuta da poco: il loro è un legame incerto, disordinato, a cui si sommano le preoccupazioni per un rapporto claudicante con la famiglia e un lavoro monotono.

Per il Giovane era difficile immaginare la propria vita senza la sua squadra. Il calcio era una presenza a cui ancorarsi; lo teneva distratto. (p. 197) 

È la solitudine, in fondo, il trampolino di questa relazione insolita. E il calcio, forse, l’unico antidoto possibile.

Parlare significava dar voce a quella solitudine che, come il caldo, si depositava da ogni lato fino a restarti attaccata addosso, se glielo consentivi. (p. 34) 

Ma il calcio è cambiato. Si tratta di un football diverso, di diritti televisivi che decidono il palinsesto e fondi che determinano la portata delle campagne acquisti; di VAR e highlights, merchandising, sceicchi. E questo cambiamento è irreversibile.

Il calcio d'inizio era stato ancora una volta spostato per via dei diritti televisivi. I sapientoni della TV sbavavano per la lotta per la retrocessione. Tutto ciò significava che il Giovane avrebbe dovuto prendersi mezza giornata libera e affrontare il lungo viaggio in pullman il venerdì pomeriggio. (p. 171) 

Eppure, anche se spogliato della sua poesia, il calcio resta il calcio, e scandisce i ritmi di esistenze che, proprio attraverso il calcio, ritrovano vigore, passione o almeno un barlume di speranza. 

In una città con una squadra di calcio, il sabato pomeriggio, nessuno che avesse fede poteva mai sentirsi solo. (p. 47) 

Basta la fede condivisa a unire due sconosciuti? Solo in parte. Serve anche un collante. E in loro soccorso arriva il Grande Finn: centravanti storico, capitano di tante battaglie sportive, punto d’incontro tra generazioni. In lui si concentrano non solo i simboli del Norwich – ostinazione, resilienza – ma anche quelli dei due tifosi. Nonostante infortuni e acciacchi, Finn resta saldo al suo posto: guida e leader capace di tenere unita la squadra.  

Due tipi si spostarono per fargli posto. Uno con un berretto di lana parlava forte del Grande Finn - soprattutto della sua caviglia. Disse che ora, in età avanzata, era soggetto a infortuni e che la fragilità era una debolezza per un giocatore il cui ruolo praticamente quello di un talismano. (p.13) 

In un testo che fa del calcio materiale amalgamante, la narrazione non si concentra soltanto su ciò che accade in campo ma anche su ciò che il calcio provoca, come attesa o come conseguenza, negli spettatori.

In Season si deve poi tenere conto di due fattori importanti: il tempo, che è tiranno, sfugge e priva. 

E il ritmo. Non ci si deve aspettare un racconto frenetico, coerente con ciò che accade durante i novanta minuti della partita. Infatti, la senilità dell’anziano sembra imprimere alla storia un passo ragionato, a tratti lento, così come i lunghi viaggi in autobus del giovane, che segue la squadra in trasferta. Le sferzate arrivano di conseguenza dai sussulti della squadra in campo, spesso affidati a un funambolico argentico che minaccia di lasciare quel posto per squadre migliori e più importanti.

Tentando invece un confronto con quello che, probabilmente, rappresenta il più noto e fortunato romanzo su sfondo calcistico, Febbre a 90' di Nick Hornby (in Italia pubblicato da Guanda nel 1997), dove la vita di un docente di filosofia rischia di crollare a causa della sua ossessione per l'Arsenal, va detto come, a differenza del romanzo di Hornby, qui il calcio rappresenta una fonte motivante per i protagonisti o quantomeno una valvola di sfogo piuttosto che una minaccia. 

Erano persone, queste, i cui ritmi durante l'anno venivano scanditi non da sistemi meteorologici o astrologici; no, i loro giorni appartenevano al calendario calcistico una stagione dalle caratteristiche tutte sue. (p. 7) 

I protagonisti di Season affidano al calcio una parte significativa della propria felicità, restando fedeli a un libro romantico, profondo, a tratti disincantato ma mai rassegnato.

Era questo il calcio, una protesta contro l'atomizzazione della società, un debole strumento per contrattaccare, però funzionava e spesso bene, per novanta minuti alla volta. (p. 250) 

Al termine di questa tenera storia d'amicizia, ogni tifoso non potrà sottrarsi a una domanda insidiosa: ne vale la pena? A conti fatti, il tifo comporta spese (lo stadio è costoso, così come le trasferte e gli abbonamenti tv), esige tempo, non dà garanzia di ritorno. Molte squadre sono penalizzate da un meccanismo che rende le superpotenze ancora più ricche e impoverisce le altre, ridimensiona le leghe, rende lo spettacolo in campo spesso frustrante. L'amore offerto alla squadra è quasi sempre non ripagato e difficilmente può essere giustificato dai non appassionati. Emblematico, a questo proposito, è lo striscione dedicato al tecnico Luciano Spalletti dai suoi ex sostenitori, recante la scritta: neanche tu hai capito tutto il nostro amore. Si tratta di amore, per l'appunto, e come tale sfugge a ogni logica. 

Daniele Scalese