di Paolo Di Stefano
Feltrinelli, agosto 2025
pp. 208
€ 18 (cartaceo)
C’è qualcosa di scandaloso nella normalità, e Paolo Di Stefano lo sa bene. Nel suo nuovo romanzo, Una giornata meravigliosa (Feltrinelli, 2025), l’autore siciliano – già giornalista – decide di sabotare il tempo, di trasformare ventiquattr’ore comuni in un dispositivo narrativo esplosivo, ticchettio compreso. Le ore sono segnate in grassetto, la narrazione è frammentata – anche graficamente – accentuando la sensazione che qualcosa, da un momento all’altro debba succedere. Eppure, non succede nulla, di fatto. Per questo motivo si fa prima a parlare di chi compare, immaginandoli pronti a sfilare su un immenso tappeto rosso della quotidianità: un muratore che sogna l’amore di una cantante, una donna che registra un video prima di sparire, un ragazzino che trova un portafoglio e non sa se restituirlo o tenerselo, un uomo che ha appena vinto al Superenalotto ma ha paura di essere felice. Ultimo, ma non per importanza, un misterioso passante invisibile, dagli occhi stralunati e l’orecchio finissimo, che ha la “presunzione” di suggerirci come osservare.
I suggerimenti sono ben accetti, se si considera che Di
Stefano scrive come se fosse un regista con una cinepresa impazzita: zooma su
un dettaglio irrilevante, poi taglia, cambia punto di vista, spia dal buco
della serratura della realtà, dilata e restringe i minuti, manipola le singole
percezioni e ribadisce più volte pensieri casuali. Una scelta dettata –
probabilmente – anche dal suo occhio di giornalista, abituato a guardare il
mondo in una maniera tutta sua, che vuole condividere volentieri.
Di pari passo, la sua lingua non consola, ma scava. È
precisa, eppure piena di scarti, impura come una città al tramonto. Le voci dei
personaggi si intrecciano in un rumore collettivo che sa di semafori,
televisori accesi, speranze sbriciolate come crostini in una minestra che
difficilmente migliorerà. Scelte stilistiche difficili da progettare e
sostenere a lungo, ma Di Stefano ci riesce perfettamente, mantenendo l’impatto
sul lettore dalla prima all’ultima pagina, raggiungendo in alcune parti –
soprattutto quelle dell’osservatore misterioso – picchi di poeticità, a tal
punto da far venire voglia di una seconda rilettura.
Tra le varie suggestioni suscitate e i richiami ad altri
grandi nomi della letteratura, i suoi personaggi fanno pensare un po’ ai
microcosmi di Benni, a quel modo di dipingere le persone per reazioni,
piuttosto che per caratteristiche, garantendo loro un posto fisso nel cuore dei
lettori.
Non è una lettura facile per chi ama trame snelle e
risoluzioni nette, ma chi avverte il richiamo delle voci miste, chi accoglie il
disordine della vita, chi accetta che “meraviglioso” sia una posizione dello
sguardo — troverà in questo libro suggestione, tristezza e, soprattutto, uno
specchio potente del nostro presente. Il rischio era altissimo: raccontare
tutto senza raccontare niente. Ma Di Stefano riesce a far esplodere la forma
stessa del romanzo, smontandola pezzo per pezzo, grazie al dispositivo
narrativo di cui prima, che, dopo tanto ticchettare, agisce senza farsi
annunciare.
Non ci sono capitoli, ma respiri. Non c’è una morale, ma una
domanda: quante vite passano accanto a noi in una sola giornata, senza che le
vediamo davvero? Utilizzando la meraviglia come inganno, l’autore riesce dove
molti falliscono: restituire dignità all’insignificante.
È, di fatto, un romanzo contro il romanzo, se si considera
il suo rifiuto di intrattenere, costringendoci a guardare — e a riconoscerci —
nel caos discreto del quotidiano.
Da un punto di vista tecnico, il romanzo è costruito con
notevole rigore: la scansione oraria conferisce coerenza, le transizioni sono
fluide, la coralità resta leggibile e si percepisce anche un sottile tensione
narrativa, che fa voltare le pagine senza accorgersene.
Il rischio, semmai, è che la molteplicità di voci finisca
per disperdere l’attenzione o che alcune storie restino troppo abbozzate,
alimentando la curiosità del lettore, che spera nel passante invisibile, nelle
sue parole, sempre misurate.
Ma è una scelta consapevole: la vita, come il giorno, non
concede chiusure perfette.
In cambio, il lettore riceve un’esperienza di immersione
totale, dove la narrazione si trasforma in sguardo condiviso, in una seduta
spiritica collettiva del presente. E alla fine della giornata — meravigliosa,
certo — resta solo una consapevolezza: la vita non si racconta, si intercetta.
I lettori in cerca di trama lo odieranno. Chi, invece, è
alla ricerca di una verità, una qualsiasi, lo adorerà.
Giovanna Scalzo
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