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Resistere a ogni tentativo di distruzione e cancellazione con la parola e la letteratura: il messaggio politico de “il libraio di Gaza” di Rachid Benzine

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Il libraio di Gaza
di Rachid Benzine
Corbaccio, 30 settembre 2025

Traduzione di Lucia Corradini Caspani

pp. 144
€ 14,00 (cartaceo)
€ 8,99 (eBook)

È più facile parlare degli orrori del mondo che della bellezza delle cose. (p. 113)

La bellezza, non è scontato dirlo, è spesso più difficile da nominare dell’orrore. Il libraio di Gaza di Rachid Benzine è un romanzo che non cede alla retorica del dolore, perché nasce con l’intento di decostruire la narrazione dominante tesa a ridurre il popolo palestinese a una dicotomia semplicistica: o sono tutti terroristi o tutte vittime. Al contrario, Benzine ci restituisce una dimensione plurale, umana e storica. La sovraesposizione mediatica delle immagini di Gaza ha infatti prodotto un duplice effetto: da un lato l’anestetizzazione emotiva dello spettatore, dall’altro la depoliticizzazione della comprensione della realtà. Il libraio di Gaza si propone così come contro-discorso, una forma di resistenza narrativa di fronte a ciò che sta accadendo in quelle terre.

L’autore, islamologo e saggista franco-marocchino, da anni molto attivo nel mondo del giornalismo arabo francofono e nel dialogo interreligioso, vuole creare una narrazione capace di superare le generalizzazioni offerte dai media e porre l’accento sulla multiformità di quella cultura radicata nella terra delle tre grandi religioni monoteistiche. In questa pluralità spirituale e umana, Benzine ritrova la possibilità di restituire dignità e complessità a un popolo spesso disumanizzato, e di mostrare come la bellezza possa ancora sopravvivere, anche tra le macerie. 

La voce narrante è quella del fotografo francese Julien Desmanges, inviato dalla propria testata giornalistica a scattare foto sensazionalistiche a Gaza dietro permessi speciali: «Il tuo capo invece preferisce i bambini in lacrime in mezzo alle macerie, i soldati feriti vicino a un carro armato, gli edifici squarciati dai razzi. La vita banale non piace ai giornali» (p. 10).  Le prime battute ci scaraventano in una Gaza distrutta dai bombardamenti, una specie di «cimitero dove sembrano perdersi anche le ombre» (p. 13), un pezzo di inferno sputato sulla terra, dove qualche famiglia siede davanti ai resti della propria abitazione cercando di vivere un po’ dell’antica normalità: il tè, il caffè, un tavolino con una gamba in meno, qualche cuscino. Julien si guarda attorno completamente stravolto e all’improvviso una immagine lo colpisce: 

La vetrina circondata da centinaia di libri, la porta aperta su migliaia d’altri. E altre centinaia posate direttamente sul marciapiede, su un telone moribondo. Lui è seduto, addossato al muro della facciata, come se facesse parte del luogo. Immerso in un libro, sembra un relitto dimenticato in un angolo della via. Potrebbe avere una sessantina d’anni, settanta al massimo. La sua figura è snella, fragile, erosa dal tempo, scolpita negli anni. […] Il mondo sembra sospeso attorno a lui. Lunghe e magre, quasi contorte, le sue dita toccano la carta come se coccolassero le parole, e hanno quella sorta di patina che si forma voltando pagine da sempre. (pp. 16-17)

Nabil accetta di essere ritratto, ma a una condizione: vuole prima raccontare la sua storia. «Non crede che un ritratto fotografico riesca meglio se si conosce ciò che è nascosto?» (p. 19).  Da questo scambio nasce la struttura del romanzo: un dialogo tra chi guarda e chi viene guardato, tra chi porta l’obiettivo e chi offre la parola. Il libraio, circondato dai suoi libri in una città devastata, non è una figura concreta, è un uomo che custodisce, in mezzo al disordine, ciò che resta della memoria collettiva. Attraverso il suo racconto, la vita quotidiana di Gaza si sottrae all’immagine stereotipata del conflitto e torna a essere spazio di relazioni, pensieri, passioni e letture. Nabil racconta di essere nato il primo gennaio 1948 nei pressi di Haifa, proprio nel bel mezzo della Nakba, l’inizio dell’esodo palestinese. Suo padre è cristiano e sua madre musulmana: questa doppia radice religiosa gli conferisce un’apertura diversa sul mondo e sulla fede:

Capivo le sure ma capivo anche le parabole. Conoscevo i nomi dei profeti e dei santi, come conoscevo quelli delle storie che mi leggeva mio fratello: D’Artagnan, Athos, Porthos, Aramis. Sapevo recitare i versetti del Corano e i brani del Vangelo. A volte, quando ero solo, mescolavo tutto per vedere cosa poteva succedere. Per vedere se Dio se la prendeva con me. Per vedere se il cielo si oscurava. Recitavo un salmo inframmezzato da una sura. Parlavo con Dio e Allah, con Gesù e con Maometto nella stessa preghiera, e invocavo Milady. (pp. 56-57)

Ogni capitolo del romanzo, che narra la storia del libraio, porta il titolo di un’opera fondamentale della letteratura di tutti i tempi, a cui, in qualche modo, la storia di Nabil si collega: Se questo è un uomo, Cent’anni di solitudine, finanche Il libro di Giobbe. In uno dei passaggi più intensi del romanzo, l’autore richiama la figura di Giobbe, simbolo universale della sofferenza e della fede messa alla prova. Questa scelta non è casuale: Giobbe, presente anche nel Corano, diventa il ponte tra culture e religioni diverse, un terreno di dialogo che resiste alla distruzione e alla semplificazione. Attraverso questa immagine, Benzine ci invita a guardare alla Palestina non solo come a un luogo di dolore, ma come a una terra di pensiero, di parola, di memoria condivisa.

Il riferimento a Giobbe, insieme alle altre allusioni letterarie, come quella a Shakespeare e al suo “essere o non essere”, mostra come la letteratura possa diventare una forma di resistenza, un modo per affermare la dignità dell’uomo anche di fronte all’orrore.

Giobbe non era soltanto una figura biblica, un personaggio.no, era di più, era un riflesso della mia vita, del dolore interminabile della nostra condizione, dell’indigenza senza fine, del ritrovarci gettati qui senza motivo, con la desolazione come unica compagna. Giobbe non comprendeva perché Dio lo lasciasse marcire nella polvere. E anch’io non capivo che cosa ci facessimo qui, a soffrire. E a soffrire ancora. La nostra maledizione. Ingiusta. […] Mi riconobbi in Giobbe. Nei suoi dubbi, nel suo desiderio di comprendere, di cogliere il motivo, la spiegazione. Per capire se c’è una logica in questo caos. (pp.84-85)

Il libraio di Gaza di Rachid Benzine è un romanzo breve ma denso, una sorta di istantanea letteraria in cui scorrono le fasi fondamentali della vita di Nabil: dalla Nakba alla maturità, tra guerra e resistenza culturale, tra tragedia e umanità. In sole 144 pagine, Benzine costruisce una narrazione intensa che evita la retorica del dolore e ridà umanità e complessità a un popolo spesso ridotto a stereotipi. La brevità del romanzo non è un limite: al contrario, ogni capitolo funziona come uno scatto fotografico, un fermo-immagine in cui vita, memoria e cultura si condensano. La voce narrante del fotografo Julien Desmanges guida il lettore attraverso gli scorci di Gaza, mentre Nabil, circondato dai suoi libri, diventa custode della memoria collettiva. 

Lo stile di Benzine è essenziale ma ricco di dettagli evocativi: le immagini della vita quotidiana, la semplicità e la sicurezza con cui prende i libri che vuole consigliare a Julien da quella pila disordinata e impolverata,  le sue letture preferite,  le citazioni dal suo taccuino consunto zeppo di annotazioni. 

Il romanzo riesce così a restituire la densità di una vita intera senza appesantire la lettura, facendo della brevità e della precisione narrativa uno strumento potente di resistenza e di bellezza. 

«Un lavoro empirico e di ricerca storica è sicuramente importante, ma non può cambiare la situazione, è insufficiente. Bisogna cercare altri modi, altri spazi per incidere sull’immaginario collettivo.Ho scelto di parlare di Palestina e di palestinesi attraverso un uomo, un libraio, un uomo vero non musulmano come quasi tutti i Palestinesi. Ho scelto un uomo figlio della Nakba, ho voluto una storia intima e personale per uscire da quello che vediamo della Palestina da dopo il 7 ottobre 2023, per evitare l’omologazione», afferma Benzine in un incontro tenutosi presso le Libreria Nuova Europa qualche settimana fa: di fronte a ogni tentativo di cancellazione e di disumanizzazione di un popolo scrivere un romanzo come Il libraio di Gaza è un atto politico.

Marianna Inserra