pp. 640
€ 20 (cartaceo)
Io ho viaggiato molto a Vicenza. Dopo averla conosciuta nelle strade coi lazzaroni e gli angeli della mia giovinezza, mi sono fermato più tardi, migliaia di volte, a gustare una veduta di case e di alberi, uno spazio aperto, col profilo della città tra le quinte del fogliame, una piazzola, un fiume, un vicolo. (p. 10)
Le ventotto storie narrate sono quasi tutte ambientate in quella che Pozza stesso definiva la sua finestra sul mondo, ovvero la città di Venezia, e si sviluppano in un arco temporale che va dal 1448 al 1585, sebbene non siano raccolte in ordine cronologico. Originariamente, inoltre, non nascevano per appartenere a un'antologia unica, ma appartenevano a tre diversi libri, pubblicati da diversi editori, tra il 1970 e il 1982.
Ciò che le accomuna è l'uso del dialetto misto a un italiano popolare: i dialettismi presenti nel testo rendono la narrazione molto realistica e il taglio e la forma stessa sono molto affini a quelli di una pièce teatrale. I personaggi ricorrenti e principali sono Zorzon (Giorgione), Tintoretto, Tiziano, il Veronese, Sansovino e tantissimi altri artisti tra cui ad esempio una speciale apparizione (come diremmo oggi) di Leonardo. Ogni storia ha una sua sorta di legenda introduttiva finalizzata a fornire al lettore un quadro storico-narrativo più completo. Ma ciò che lega indissolubilmente questi racconti sono l'amore dell'autore per l'arte e il suo immedesimarsi completamente negli artisti. Il suo anticonformismo infine è un elemento centrale per poter apprezzare la lettura di questo mondo artistico sempre in bilico tra dovere e libertà.
La prima storia s'intitola Donna della Dalmazia. Siamo nel 1510, a Venezia, negli anni in cui la peste dilagava e le misure di contenimento in città, come la quarantena nel Lazzeretto di San Servolo, il marchio sulle case degli appestati e il controllo delle imbarcazioni si facevano sempre più rigidi e scrupolosi. C'erano infatti delle regole ben precise per gestire coloro che erano colpiti dal morbo ma anche per i loro famigliari. Chi non accudiva un parente infetto, infatti, veniva punito e chi invece denunciava in segreto, premiato. Cani e gatti ammazzati senza pietà. Un zovenastro (giovanotto) leggeva ai cittadini veneziani l'avviso dei Provveditores salutis Venetiarum, ovvero le norme comportamentali da seguire per appestati e non.
Questo il provvedimento per i sani:
«Li sani» leggeva «debbano béver ogni mattina all'alba doi diti della propria orina tolta a mezzo dell'orinare, et la sera con un boccon di pane e aceto, sette cimette di rutta avanti cena, et continuar fin che dura il sospetto, e vardarsi dal còito. Per le donne sane fare il medesimo, et avendo li mestrui torne d'una altra donna sana. Li putti che non potessero bévar l'orina, darli un poco di rutta la mattina et un poco la sera». (p. 26)
e questo quello per gli infetti:
«Subito che uno si sente male, orini più che può e la beva tutta, et poi la mattina beve della sua orina due ditti, et la sera avanti cena ancora... e se sentirà dolore, e vedrà tumor overo infiamasión in alcuna parte del corpo, subito togli dalla sua malitia, o d'altri subito fatta, e metterla sopra il brusco et cambiarla ogni tre ore, et come la postiòma sarà rotta, lavarla bene con orina... e debba mangiar buoni cibi se ne ha, et beva in luoco di vino acqua de orzo». (p. 26)
Tra gli ascoltatori del zovenastro c'è anche Zorzon, ovvero il celebre pittore Giorgione (il quale in realtà morirà proprio quello stesso anno, di peste).
Con la storia La modella di Tintoretto, siamo presumibilmente nel 1565 e la fonte a cui l'autore attinge è unicamente Il ratto di Arsinoe (Museo di Dresda). Non ci sono altri documenti, lettere o riferimenti, tutto è incerto, ma la storia mette talmente a nudo i sentimenti contrastanti del pittore Tintoretto, da risultare quanto mai realistica. L'arte qui viene vista come pericolosa, perché il pittore si era servito di una modella dalle idee anti-clericali. Ricca invece di fonti è la storia che ha come protagonista il Veronese e che lo vede al centro di un processo per eresia. Siamo nel 1573. Il pittore era infatti stato accusato di aver dipinto l'ultima cena di Gesù troppo liberamente e senza attenersi alle indicazioni dategli dal convento di San Zanipol che glielo aveva commissionato. Il tribunale dell'Inquisizione lo interroga dunque sulla natura delle sue accuse. Il dialogo è memorabile perché il pittore viene accusato dall'inquisitore di aver inserito immagini assurde e irriverenti, dunque eretiche, come due tedeschi armati di lambarda, buffoni di corte, pappagalli e San Pietro che squarta un agnello per darlo agli altri apostoli che lo aspettano col piatto in mano. Segue un piccolo estratto in cui l'Inquisitore si rivolge al Veronese, chiamandolo col suo nome di battesimo, ovvero Paolo Caliari:
Paolo. Io dipingo e fazzo delle figure.
Inquisitore. Sapete la causa per cui siete stato chiamato?
Paolo. Signor no.
[...] Inquisitore. Ma che cosa rappresenta il vostro quadro?
Paolo. L'ultima cena di Gesù Cristo, con gli apostoli.
Inquisitore. In questa cena che avete fatto, che cosa significa l'uomo cui esce sangue dal naso?
Paolo. A un servo, colpito da una bòtta, è capitato questo accidente.
Inquisitore. E che cosa vogliono dire i due tedeschi armati di lambada?
Paolo. Reverendo Inquisitor, qui bisogna che dica vinti parole!
Inquisitore. Le dica.
Paolo. Noialtri pittori ci pigliamo le licenze che si pigliano i poeti e i matti. Ho fatto i due lambardieri, uno che mangia e l'altro che beve, vicino alla scala. Stanno di guardia; e mi pareva giusto che ci fossero e che un padrone grande e ricco dovesse avere tali servitori.
In tutte le storie la rivendicazione della libera espressione artistica è fortissima e l'autore, con questo volume, ne è il primo portavoce. In appendice ci fornisce anche un glossario per poter decifrare i dialettismi utilizzati. Il binomio tra finzione narrativa e ricostruzione storica è quanto mai appassionante, perché è come se Pozza avesse voluto dare una seconda occasione di riscatto ai suoi amati pittori protagonisti.
Ricorrenti sono infatti le tematiche dell'oppressione religiosa e dell'intolleranza alle leggi dell'epoca. La bellezza di quest'opera è data proprio dal fatto che non si tratti di un classico saggio accademico, ma da una sorta di rievocazione di personaggi e ambientazioni studiati in Storia e in Storia dell'arte. Pozza vuole principalmente dar voce ai pittori veneti, considerati meno famosi di quelli fiorentini. In realtà, con questi racconti, vuole liberare attraverso la scrittura, l'artista che è sempre stato nella sua natura, portando una forte sensibilità estetica dell'eterno conflitto tra arte e civiltà.
Queste storie non si rivolgono soltanto agli amanti dell'arte o della storia, ma sono un inno alla celebrazione dell'arte stessa come fondamento della nostra cultura, nella speranza che il sentimento artistico e i valori umani non vengano mai più soppressi in nome di un credo religioso.
Carlotta Lini

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