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Storie di ordinaria violenza: "La radice del male" di Adam Rapp

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La radice del male 
di Adam Rapp 
NNeditore, giugno 2025

Traduzione di Michele Martino 
 
pp. 496 
€ 20,90 (cartaceo) 
€ 9,99 (ebook) 


La radice del male è un romanzo di ampio respiro spazio-temporale e tematico, nel quale, attraverso le vicissitudini della famiglia Larkin, Adam Rapp dipinge un affresco vivido e non edulcorato della provincia americana, dalla metà del XX all’inizio del XXI secolo. 
L’effetto realistico è accentuato dallo stile asciutto ed essenziale, che pure acquisisce note di colore nelle similitudini e nei riferimenti a elementi naturali, e dall’uso del presente storico (la cui resa in italiano non deve essere stata semplice per l’ottimo traduttore Michele Martino). 

Il racconto, si diceva, mentre pone sullo sfondo l’eco della Grande Storia (la fine del secondo conflitto mondiale, la guerra del Vietnam, le presidenze Reagan, Bush e Obama, …), segue nel dettaglio le sorti dei membri di una famiglia originaria di Elmira, nello stato di New York, mettendo in evidenza, in misura narrativamente diversa, le vite parallele dei figli di Ava e Donald Larkin. In particolare, l’intreccio prende in considerazione le vicende biografiche della sorella maggiore Myra, a sua volta madre di Ronan, protagonista, più avanti, di una buona parte del romanzo; e dell’unico maschio in vita, Alec, che, all’interno del clan, si configura come l’irrecuperabile pecora nera (nerissima). 

Povero Alec. Ho l’impressione che lo abbiamo irrimediabilmente perduto. Ha qualcosa di molle al suo centro. Non tanto perché è un ladro e un bugiardo; è più sottile di così. […] Non so da dove sia venuto, Myra. Forse sono gli occhi scuri e la pelle olivastra. A volte mi chiedo se mamma non l’abbia trovato in un parcheggio e abbia finto di avere una terza gravidanza. (pp. 161-162) 

Una sorta di forza centrifuga allontana tutti i figli, anche i più ‘buoni’, dal luogo in cui sono nati e al quale tendono a tornare poco e malvolentieri, come se l’autore volesse sottolineare i limiti del perbenismo e della rigidità di un certo modello educativo, quello severamente cattolico e restrittivo di metà ‘900, che Ava impone, con esiti diversi, a tutti i suoi ragazzi. 

«Quindi adesso che farai?», gli chiede Duke. «Te ne torni a Elmira?». «Piuttosto all’inferno» dice Alec. (pp. 54-55) 

Nonostante le distanze fisiche e psicologiche che li dividono, i Larkin si riconoscono in alcuni oggetti identificativi, i ‘pezzi’ di quella mitologia domestica che, nel bene e nel male, ogni famiglia possiede. Il grande sicomoro del giardino, il ritratto di Gesù appeso nel salotto, la figurina cartonata di Mickey Mantle, le trapunte di Ava, le diverse edizioni de Il giovane Holden, sono elementi ricorrenti e resistenti allo scorrere del tempo, che tendono a configurarsi come punti di riferimento fissi sia per i personaggi, sia per i lettori. 

Nella famiglia Larkin, quando Ava ti regala una delle sue trapunte significa che ce l’hai fatta. Myra ne ha una, e anche Lexy, che l’ha ricevuta l’autunno scorso quando è partita per Vassar. (p. 122) 

L’antico sicomoro – l’albero intorno al quale Lexy e i fratelli si sono radunati per anni, per arrampicarsi, correre o leggere all’ombra dei suoi rami – è ormai esile e cadente. Sembra sopravvissuto a un bombardamento. (p. 81) 

Eppure, nella relativa normalità di casa Larkin, nella quale si intersecano vita e morte, malattia e disabilità, contrasti generazionali e incomunicabilità, affetti e incomprensioni, l’elemento più ricorrente è costituito dall’elevato tasso di violenza che si insinua nel narrato sin dalle prime pagine. Il triplice omicidio dei vicini, che chiude il capitolo iniziale, è solo il primo di una lunga serie di episodi che, come in un crescendo, coinvolgono in diverso grado i protagonisti, a volte semplicemente sfiorandoli, altre volte investendoli in pieno come vittime o addirittura come carnefici: Alec, che nell’infanzia è stato vittima di abusi da parte dei preti della Chiesa che la madre lo costringeva a frequentare, ripaga con la stessa moneta quanto ha subito; il marito amatissimo di Myra soffre di una psicosi potenzialmente pericolosissima per i suoi cari. 
Presenza oscura e inquietante che permea e contamina la società tutta, la violenza finisce insomma per diventare parte integrante della storia, quasi fosse un membro aggiunto della famiglia Larkin: la radice di un male che si annida fuori e nei pressi, ma anche all’interno della stessa. 

Elide Stagnetti