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Un'Irlanda distopica nell'ultimo lavoro di Paul Lynch, "Il canto del profeta"

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Il canto del profeta (Prophet Song, 2023)
di Paul Lynch
66th and 2nd

Traduzione di Riccardo Duranti
 
pp. 288
€ 17,10 (cartaceo)
€ 12,99 (ebook)

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"La storia è una cronaca muta di gente che non ha colto il momento giusto per partire".

C'è un Paese, racconta Paul Lynch nel suo ultimo romanzo, in cui si instaura un governo autoritario e retrogrado che in poco tempo cede il passo a una vera e propria dittatura militare di stampo fascista, dove i diritti civili vengono progressivamente cancellati, dove la polizia massacra i manifestanti, dove anche solo per un sospetto scattano arresti, torture e sparizioni, dove l’apparato statale si richiude su se stesso attraverso una burocrazia ramificata e incomprensibile usata come sbarramento contro qualsiasi tentativo di trovare risposte, notizie, informazioni. Mentre la maggioranza della popolazione è succube e accondiscendente, vi è una parte sempre meno esigua che non accetta il regime apertamente criminale e organizza una resistenza armata: in breve tempo il Paese sprofonda nell’abisso della guerra civile, con scontri urbani, vittime civili e addirittura bombardamenti aerei che provocano l’esodo di centinaia di disperati che cercano di salvarsi la vita, unico bene rimasto.

Il Paese in cui questo Canto del Profeta è ambientato è un’Irlanda surreale e distopica, dove accade l’impensabile, dove ogni certezza cessa di esistere e la vita stessa perde ogni valore. Se ne rende conto ben presto Eilish Stack, quando improvvisamente il marito, dirigente sindacale, viene convocato presso i servizi di sicurezza per un accertamento di sapore kafkiano e finisce risucchiato in un buco nero: di lui, come di tutti coloro che vengono “attenzionati” dall’efficientissimo apparato repressivo, si perderà ogni traccia.

Cerco di non svelare molto della trama di questo romanzo potentissimo, piuttosto credo sia importante fare una riflessione sulla prospettiva utilizzata da Lynch, che non segue il mero svolgersi degli eventi ma incardina il narrato sulla figura di Eilish, come a rappresentare il punto di vista di chi, in una situazione estremamente problematica, pericolosa e alienante come una guerra (perché di questo stiamo parlando), deve suo malgrado continuare a garantire la quotidianità, perché in ogni caso la vita possa proseguire. Eilish deve barcamenarsi nella gestione di quattro figli, fra cui uno di pochi mesi, con tutto ciò che questo comporta: Mark, il figlio maggiore, ormai adolescente, rischia l’arruolamento coatto nelle forze di sicurezza; ai figli più giovani, Molly e Bailey, Eilish deve cercare di spiegare i motivi della sparizione del padre, nel tentativo di rassicurarli. Nulla da fare, perché Molly cade preda della depressione e Bailey incolpa Eilish per la sparizione del padre, pensando si tratti di una separazione.

In più, la quotidianità della donna è appesantita dal progressivo scivolamento del padre di lei nella demenza, dalle necessità quotidiane, soprattutto relative al figlio più piccolo, dalla perdita del lavoro in quanto moglie di un “sovversivo”, dall’affrontare i momenti di terrore dei figli quando la casa viene assaltata da una squadra di hooligan filogovernativi, che imbrattano i muri con scritte ingiuriose e distruggono l’auto della donna, approfittando della connivenza della polizia e della conseguente impunità.

Eilish dovrà sopravvivere in una Dublino devastata dalla guerra civile, con settori della città sigillati da posti di blocco e invalicabili, con l’impossibilità di procurarsi il necessario per vivere, con i cecchini che mirano ai civili come accadeva a Mostar o Sarajevo, con masse di persone che hanno perso tutto e si affidano ai trafficanti per raggiungere l’Ulster o l’Inghilterra. La donna si arrenderà all’inevitabile quando il prezzo pagato dalla famiglia Stack raggiungerà un punto di non ritorno e l’unica opzione sarà quella di salvare quel poco che rimane.

Un romanzo meraviglioso, sconvolgente e lucidissimo nell’analisi delle dinamiche sociali, nella capacità di trasferire eventi e situazioni da un mondo che ci appare lontano fino ad arrivare a noi, ricordandoci magari che nulla deve essere dato per scontato: la guerra è guerra a Rafah come a Dublino, un barcone è un barcone nel Mediterraneo o nel Mare d’Irlanda, i civili sono vittime a qualsiasi latitudine. La narrazione sofferta, dolente, a tratti claustrofobica spinge la drammaticità a livelli altissimi, lasciandoci esterrefatti dinanzi a vicende che solo con un'estrema fatica - almeno per il momento - possiamo immaginare nella nostra realtà, nelle nostre vite magari complicate ma infinitamente più sicure rispetto a chi nasce nel posto sbagliato.

Ma l’aspetto più interessante del romanzo ritengo sia proprio la scelta di filtrare il narrato attraverso gli occhi di Eilish, che ben poco ha a che fare con entrambe le fazioni in lotta eppure si trova costretta a lottare con le unghie e con i denti per assicurare non già una vita decente ma la mera sopravvivenza a chi dipende da lei.

Il canto del profeta, ultima fatica di un grande scrittore ben noto ai lettori di CriticaLetteraria (per i precedenti Cielo rosso al mattino, Neve nera e Oltremare), è una storia di eroi loro malgrado, di eroi silenziosi come Eilish, che si trovano soverchiati dagli eventi e cercano disperatamente di salvare non solo il salvabile, ma anche e soprattutto i salvabili. Una categoria di persone da aggiungere a quelle che, secondo Borges, pur relegate nell’oblio stanno salvando il mondo.

Stefano Crivelli