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«Come tante certezze del mondo prima che mia madre se ne andasse, si rivelò tutto ingannevole»: gli echi letterari, la perdita, il folklore. "Pearl", l'esordio alla narrativa del poeta Siân Hughes

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Pearl
di Siân Hughes
Atlantide, dicembre 2023

Traduzione di Clara Nobile

pp. 240
€ 24 (cartaceo)

Il passato è ripiegato su se stesso come un rotolo di pasta sfoglia, e mia madre capirebbe – e sarebbe l’unica – quanto io sia rimasta avvolta negli strati del passato, tanto da non uscirne più. (p. 49)
Marianne ha otto anni quando sua madre esce di casa e non fa più ritorno. A nulla varranno le ricerche concitate di quelle prime ore e giorni, le indagini della polizia che sondano tutte le verità possibili, la scomparsa della madre resta un mistero irrisolto. E si porta dietro sentimenti complessi, definendo la donna adulta che Marianne diventerà, perfino l’essere madre a sua volta. Un’assenza che segna profondamente ogni cosa e proprio intorno all’impatto della perdita è costruito questo particolare, lirico, romanzo del poeta irlandese Siân Hughes alla sua prima prova nella narrativa. Scritto in prima persona, Pearl – e sul titolo torneremo – è un testo curioso pubblicato in Italia da Atlantide edizioni, casa editrice che si caratterizza proprio per la selezione accurata dei titoli proposti. 
Nel romanzo di Hughes l’ordine della narrazione non segue un filo cronologico lineare, anche se questo talvolta si traduce in anticipazioni sulla trama; lo stile mantenuto dalla traduzione accorta di Clara Nubile riecheggia della vocazione lirica dell’autrice pur essendo saldamente improntato alla prosa. Anche le tradizionali etichette di genere sembrano poco adatte a questa narrazione: romanzo, certo, ma con molti elementi in comune con il memoir immaginario, cui si intrecciano nel finale interessanti spunti sulla scrittura, in un intrigante gioco meta letterario.

Notevole, poi, l’eco letteraria che attraversa la storia: le tradizioni popolari, il folklore, l’elemento magico, le canzoni popolari, il paganesimo del Cheshire, in Inghilterra, sono radicati in una storia che già dal titolo ha una forte connotazione letteraria. Pearl, infatti, è l’omonimo poema contenuto in Sir Gawain e il cavaliere verde di cui resta più di un’ eco della simbologia medievale. Il folklore e la tradizione, l’ambiente rurale, fungono da legame con il mondo invisibile e contribuiscono al mistero e all’inquietudine che attraversano il romanzo, a tratti colorato perfino di tinte goticheggianti. Alle tradizioni popolari e a una spiccata sensibilità per l'irrazionale si intrecciano di contro la realtà e il mondo contemporaneo: attraverso la misteriosa scomparsa della madre della protagonista e la portata del trauma e le sue conseguenze, Hughes tratteggia una storia che affronta tematiche come la depressione post partum, la malattia mentale, le dipendenze, l’autolesionismo, i disturbi alimentari.
L’ostetrica mi chiese se nella nostra famiglia c’erano stati episodi di psicosi post-partum. No, risposi. Soltanto di dolore. C’è una storia famigliare di dolore. Un dolore che si tramanda. Come gli anticorpi nel latte. Come una canzone. (p. 10)
È questo dolore famigliare, questa eredità che si tramanda di madre in figlia, che Hughes indaga una pagina dopo l’altra, mentre davanti a noi si dispiega la storia di una figlia e del buco nero lasciato dalla perdita inspiegabile della madre. Di che cosa significa per una bambina convivere con un senso di colpa inspiegabile e irrazionale, ma anche in costante stato di allerta per un legame genetico con la malattia mentale.
Quando avevo otto anni, pensavo che scrutassero il mio viso per trovare il motivo della sparizione di mia madre. Cosa ci doveva essere di tanto terribile e sbagliato in me da spingere mia madre a uscire di casa e non tornare più? Quando diventai grande, conclusi che cercavano una somiglianza, un segnale del pericolo che potessi compiere lo stesso gesto. (p. 11)
Quella di Marianne è una storia di dolore e cicatrici visibili e non, di segreti la cui deflagrazione avrà conseguenze profonde, che ci spinge a confrontarci con tematiche complesse, spingendoci un po’ oltre la nostra comfort zone. È questo che dovrebbe fare la letteratura: non confermare le nostre certezze ma metterci nella posizione di considerare altre vie, altre risposte, spostare il nostro sguardo su quello che non conosciamo o non vogliamo riconoscere, farci abbandonare i panni comodi e consueti per esplorare altre possibilità e, soprattutto, metterci alla prova, sfidarci. Hughes lo fa attraverso la narrazione in prima persona di Marianne, la sua conoscenza soggettiva e parziale delle cose, il filtro del dolore e della memoria fallevole, lo sguardo circoscritto sui fatti.

C’è una storia sotterranea in Pearl, di cui conosceremo i contorni alla fine, in quell’epilogo che svela parte del mistero: è la storia di una madre scomparsa e dei segreti che si è portata dietro, è quella di un marito che ha perso ogni cosa e dei sacrifici fatti in silenzio per tenere insieme i pezzi di quello che resta, è, anche, quella di un fratello che non ha memoria di quei giorni né della madre e diventa un adulto tutto nuovo, e di una ragazza, Marianne, che non sa come essere felice.
E poi me lo disse. Mi raccontò la storia che i miei genitori mi avevano tenuto nascosta. (p. 115)
Attraverso la verità, forse, trovare un modo per rimettere insieme quello che resta, di se stessi, della famiglia. Ci sono diverse etichette che potremmo appiccicare al libro di Hughes: romanzo, favola, memoir immaginario, perfino mistery, ma ognuna di queste è in qualche modo manchevole, portata via dal fiume e dal fango di questa storia. Quello che resta invece è un esordio di rara potenza, struggente, forse a tratti solo un po’ indebolito da una certa sovrabbondanza di temi, spunti, ambizioni e artificiosità di taluni dialoghi. Ma resta, si diceva, un testo notevole, in cui storia e modo di raccontarla sono intrinsecamente intrecciate. Dove la memoria è malleabile e il tempo cambia la percezione di molte cose. Intriso di passato e dei suoi fantasmi.

Debora Lambruschini