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“Crisalide” di Anna Metcalfe: un trittico che somiglia più a una casa degli specchi – che racchiude la protagonista ma anche noi

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Crisalide
di Anna Metcalfe
NN Editore, 2024

Traduzione di Ada Arduini

pp. 272 
€ 19 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

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La collana Fuggitive di NN ci mette sempre di fronte a soggettività femminili particolari, ormai questo è chiaro; era il caso di Rachel e Miriam di Affamata, due ragazze imperscrutabili ma allo stesso tempo presenti e indimenticabili, estremamente dettagliate nella loro complementarità. Ma qui la collana fa un passo avanti, come in una spirale che ci conduce sempre di più al punto di fuga, presentandoci una protagonista quantomai illeggibile, incomprensibile – sfuggente, appunto.

La protagonista di Crisalide non ci rivolge mai la parola; chiusa nel suo mutismo, non la udiamo mai parlare, e di lei non sappiamo nemmeno il nome. In un dichiarato omaggio a La vegetariana di Han Kang, l’autrice decide di presentarci questa personalità sfuggente da tre punti di vista diversi, localizzati ciascuno a un’angolazione diversa intorno a lei: un amante, la madre, un’amica. Anche loro, come noi, hanno subito il mutismo della protagonista di Crisalide, che ha deciso di abbandonare ogni contatto con la società per creare dei video di meditazione in cui, con una prestanza fisica incredibile, la protagonista resta immobile per ore in posizioni molto complicate. Video che lei chiama “nature morte”, ironicamente accennando, forse, alla propria assenza di vitalità, al proprio immobilismo che, per quanto volontariamente scelto, la posiziona lontano dal flusso vitale del mondo che la circonda: troppo mobile, troppo rumoroso. Troppo vivo.

Per un po' si era preoccupata per me e mi aveva dato dei consigli, ma adesso non mi faceva mai domande. «È vero ha osservato con freddezza. «Una volta parlavamo sempre». Ne è seguita una spiegazione lunghissima su come i ritmi del nostro rapporto erano completamente cambiati. Su questo non ha fatto nessun tentativo di consolarmi. Voleva soltanto essere perfettamente chiara. Il suo ragionamento era questo: dal momento che mi voleva tanto bene, io le risucchiavo un sacco di energia. Aveva imparato a pensare alla sua energia come a qualcosa di prezioso e significativo, e su questo le davo ragione. «Brava ho detto. Ha continuato, dicendo che non era sano. Adesso doveva investire su se stessa. Non poteva sprecare il proprio talento per il prossimo.

Il mistero di questa scelta così radicale, che inizia con la scoperta della meditazione prima e dell’allenamento poi, e che diventa poi uno stile di vita completamente dedicato al benessere di corpo e mente, è all’inizio estremamente affascinante. Come questa misteriosa ragazza, vorremmo anche noi abbandonare il peso dell’opinione altrui, del compromesso, delle persone tossiche e della pesantezza del lavoro quotidiano in favore di cibo sano, di lunghi allenamenti e di buone abitudini – specie se ci caliamo nella narrazione dei tre complicatissimi narratori, ciascuno caratterizzato dalle proprie angosce, dalle proprie quotidianità tremendamente insalubri, dai propri egoismi. Da una parte li comprendiamo, ma dall’altra vorremmo allontanarci da loro, da tutte le parti di noi che ci ricordano. Sono tre narrazioni molto egoriferite, sebbene sempre orientate verso il disvelamento dell'eponima crisalide; ma allo stesso tempo sono tre narrazioni che non solo non sanno descriverci bene la protagonista senza nome, ma non riescono nemmeno a dirci consapevolmente nulla su di colui o colei che narra. Costruendo un andamento narrativo pieno di verbi d’azione, sanno semplicemente dirci cosa fanno, in che modo hanno percepito i propri incontri concreti con lei, al punto che anche pensare, credere, ritenere diventano azioni performative, qualcosa che si fa ma che non riesce a scalfire la corazza dell’essere – un buco nero di significazione che rimane inconoscibile fino alla fine del romanzo.

Perché alla fine è questo che il romanzo vuole fare: riflettere non tanto sull’opacità dei rapporti umani, sulla scarsa visibilità di ciascuna e ciascuno di noi, costantemente fuggitive di fronte allo sguardo altrui, ma anche e soprattutto arrivare a mettere in crisi il concetto di “essere” qualcosa tout court. Se nella nostra cultura andare verso l’interno di ciascuno di noi sembra il comandamento definitivo per chi vuole stare bene, tra psicologia spicciola da social che ci spinge ad abbandonare le persone tossiche e a dedicarci alla cura di noi, che sia tramite lo yoga, la meditazione, la skin care o la psicoterapia, il romanzo vuole invece farci dubitare di questo andamento centripeto, di questo affossarci dentro l’ego. Per arrivare tramite eliminazione alla conclusione che, se anche il rapporto con gli altri è sempre insufficiente, fallace, mai abbastanza, alla fine è lì che possiamo davvero diventare qualcosa o qualcuno. Dopotutto, per evitare di restare crisalidi, l'unica scelta è diventare. 

Marta Olivi