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Tra Santiago di Compostela e la Bosnia. Un viaggio per risolvere i nodi del passato: "Il cammino" di Anya Niewierra

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Niewierra-Il-cammino


Il cammino
di Anya Niewierra
Neri Pozza, novembre 2024

Traduzione di David Santoro

pp. 402
€ 20,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Sai, ce lo portiamo sempre appresso (il passato, ndr), anche quando ce lo siamo ormai lasciato dietro le spalle. E quanto più è oscuro, tanto più pesante è il fardello. Il mio è un passato nerissimo (p. 63)

Finalmente un romanzo per cui valga la pena di fare le ore piccole! Il cammino della scrittrice olandese Anya Niewierra è un lungo viaggio che porta il lettore lontano nello spazio e nel tempo. Dai sentieri che conducono i viandanti a Santiago de Compostela fino alle selve della Bosnia del 1992, martoriate dalla guerra. Ed è, a suo modo, un thriller perché è in grado di creare il giusto filo di tensione che supporta la narrazione e che invoglia a proseguire la lettura.

Lotte Bonnet ha quarantaquattro anni, due figli, un laboratorio di pasticceria ben avviato in Olanda. E un grosso problema. Il marito, Emil Jukić, si è suicidato, tagliandosi la gola, lungo il cammino di Compostela, un viaggio che aveva deciso di intraprendere, da solo, dopo essere guarito da una brutta forma di tumore. Era felice Emil di aver terminato le cure e di esser stato dichiarato guarito. Mai Lotte avrebbe immaginato un suicidio così improvviso e truculento. Anche perché fino alla sera prima i messaggini che il marito le aveva inviato erano pieni d'amore, di meraviglia per quanto stava vedendo e di gioia. Che cosa mai sarà accaduto? Chi avrà visto? Cosa lo può avere spinto a togliersi la vita? Ma non sono  queste le uniche domande che attanagliano la mente di Lotte e le tagliano il respiro, giorno dopo giorno. Andando a disperdere le ceneri di Emil in Bosnia, terra natale del marito, la donna scopre che Emil Jukić, il vero Emil Jukić, è morto nel 1995, ucciso barbaramente dalle milizie serbo-bosniache durante la terribile guerra dei Balcani. Ma chi era allora suo marito? Chi era il padre dei suoi figli? Che passato aveva? Che cosa nascondeva? E perché l'ha tenuta all'oscuro della sua vera identità per tutti quegli anni? Interrogativi questi che le battono in testa come un martello. Non è possibile fare punto e a capo, non le è consentito di lasciarsi andare al dolore della vedovanza. Rabbia, stupore, indignazione, incredulità, un mix di sentimenti che costringono Lotte a ripercorrere la storia ventennale del suo matrimonio e a cercare, nelle pieghe del passato, qualche crepa, qualche segnale che avrebbe dovuto metterla in allarme. Macché... Emil era un marito innamorato, un padre perfetto, buono, paziente, affidabile. Certo, lei sapeva che aveva avuto un passato tormentato, che era scappato dalle zone di guerra. Ma una volta accolto in Olanda, la sua vita era serena. Certo, Emil non parlava mai degli anni in Bosnia, diceva che era troppo doloroso. E, in fondo, nemmeno Lotte se la sentiva di fargli troppe domande, consapevole di quanta devastazione porti una guerra nella vita di un uomo. Ma adesso non può fare a meno di chiedersi in continuazione: chi era Emil? 

Per provare a dare una risposta a queste domande, e per cercare di ridare un senso alla sua vita divenuta improvvisamente finta, Lotte decide di ripercorrere il cammino di Santiago facendo le stesse tappe che aveva fatto Emil, dormendo negli stessi luoghi, camminando sugli stessi sentieri, cercando le persone che potevano averlo incontrato. Non può sbagliare, Emil le mandava ogni giorno foto e resoconti dettagliati di quel pellegrinaggio che lo stava rendendo così felice. Forse solo così Lotte  potrà scoprire il motivo del suicidio ... e forse potrà sapere qualcosa di più su quell'uomo che, di punto in bianco, si è trasformato in un estraneo. Ed è proprio sul sentiero di Santiago che prende corpo la narrazione, virando sulle tinte del thriller. Fin dalle prime pagine il lettore scopre che Lotte non è sola, come lei crede, a percorrere il cammino, un'ombra la segue. Con un obiettivo preciso, eliminarla, sa troppe cose. Un paradosso... proprio lei che si è messa in cammino perché si è accorta di sapere pochissimo di quel marito. Ma quel pochissimo rappresenta un rischio che l'ombra non è disposta a correre

E quindi si parte, insieme a Lotte, da Le-Puy-en-Velay, fino a Conques, là dove il viaggio di Emil si è interrotto tragicamente. Passo dopo passo, sentiamo su di noi tutta la fisicità del camminare, il peso dello zaino, il sudore sulla fronte, le vesciche sotto ai piedi, l'umidità della nebbia mattutina, il fradicio della pioggia che, battente, s'infila sotto il k-way, nelle calze, nelle scarpe. Sono belle le pagine di descrizione del Cammino di Santiago, viaggiamo con Lotte guardando il paesaggio con i suoi occhi, ma, nel contempo, leggendo i suoi pensieri sempre rivolti a quel mistero che non le dà pace. Chi era Emil davvero? Nel frattempo, conosce un pellegrino che, inaspettatamente torna a farle battere il cuore, un masso la sfiora, una mandria di mucche impazzite sta per travolgerla e altri avvenimenti, sospetti, alla fine la mettono in apprensione. E mentre la tensione cresce, piano piano ci si avvia alla fine del cammino e alla scoperta del segreto.

Il romanzo, narrato in prima persona è il racconto di come si possa fare i conti con il proprio passato quando questo è completamente diverso da ciò che si crede di aver vissuto. Lotte è costretta a fare un bilancio del suo matrimonio, della sua vita con Emil e a chiedersi il senso della sua esistenza. Nella vita ci sono momenti di svolta e Lotte si trova di fronte a uno stravolgimento imprevisto. Il cammino è una magnifica metafora del cambiamento ed è con questo spirito che la protagonista lo mette in pratica. Riavvicinandosi a se stessa, ai propri bisogni primari, fame, sete, freddo, caldo, stanchezza, dolore fisico. Dando alla mente il giusto tempo di tornare a quel groviglio di pensieri per districarli.

Il tema della guerra, purtroppo ancora e sempre così attuale, è fondamentale nel libro. Si torna a quella tragedia che, negli anni 90, ha sconvolto un territorio così vicino a noi, che ha riportato scene cruente e atrocità nel nostro Continente. Una guerra che l'Europa ha un po' guardato da lontano, girandosi dall'altra parte. Mentre Sarajevo moriva e mentre le persone, fino a poco prima, amici e vicini, si massacravano. Molto forte, nel romanzo, è il tema di questa incredulità, ragazzi che erano amici inseparabili, diventano nemici capaci di uccidersi. "Volevo scrivere di che cosa la guerra è in grado di fare alle persone, quando uomini di potere si arrogano il diritto di manipolarle", ha detto Anya Niewierra, quando l'ho incontrata al Salone del Libro di Torino. "Il paragone che mi viene in mente è quello di uno stormo di uccelli che, finché volano insieme, sono un tutt'uno, una massa compatta che si comporta allo stesso modo, seguendo il primo, senza sgarrare. Quando poi gli uccelli si posano a terra, ognuno torna a essere un singolo. Nella guerra dell'ex Jugoslavia è capitato proprio questo: una volta terminata la guerra, ognuno si è fatto domande, sono nati sensi di colpa, ci si è chiesti il perché di tanto odio nei confronti degli amici di un tempo". Il senso del romanzo, e la scoperta del segreto che ne costituisce l'ossatura, ha molto a che fare con queste dinamiche.

Comunque, sebbene nessuno di noi tre credesse nel suo Dio, potevamo tuttavia dire con precisione chi in paese apparteneva a un determinato gruppo etnico. I nonni e le nonne sapevano tutto a riguardo. Potevamo indicare le case dei croati cattolici, dei serbi ortodossi e dei bosniaci musulmani. Ma la religione dei nostri vicini in quegli anni non aveva importanza. Almeno così credevo (p. 93)

Nonostante qualche imprecisione, il romanzo di Niewierra è ben strutturato nella sua alternanza di presente e passato, nella sua lucida ricostruzione dei complicati anni di guerra balcanica, affidata alle pagine in corsivo di una lunga, lunghissima lettera d'addio che Lotte non aveva mai ricevuto, alternata alle pagine più leggere del Cammino. Le imprecisioni? O almeno, quelle che a me sono apparse tali? Una storica, quando dice che in passato il padre di Milan (l'amico serbo di Emil) era stato un ustascia fascista, ma gli ustascia erano i membri del partito nazionalista e fascista croato, fortemente antiserbo, che anzi massacrò i serbi... un serbo non avrebbe mai potuto essere un ustascia (una svista probabilmente sfuggita alla revisione, visto che nel prosieguo del romanzo la dicitura torna a essere corretta). E una narrativa con la quale ho cercato, per tutta la lettura, di venire a patti, ma non ci sono riuscita: perché Lotte, una volta in Bosnia per disperdere le ceneri di Emil, dà mandato a un avvocato di scoprire chi era davvero il marito quando non aveva nessun motivo per farlo? In quel momento non aveva ancora alcun sospetto che il marito fosse una persona diversa. C'è, a mio parere, un problema di disallineamento temporale, un avvenimento (chiedere all'avvocato di scoprire chi è Emil) non può precedere l'altro (la scoperta della falsa identità del marito, che le viene data proprio dall'avvocato). 

A parte questi due piccoli appunti, il romanzo ha il pregio di avere un impianto storico e narrativo molto ben fatto e risulta davvero piacevole alla lettura.

Sabrina Miglio