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«Tirare fuori la storia da te stessa e metterla sulla pagina è difficilissimo»: intervista esclusiva a Tracy Chevalier

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Nel suo nuovo romanzo,
La maestra del vetro, Tracy Chevalier attraversa cinque secoli di storia della Serenissima scegliendo un interessante espediente narrativo. Con La maestra del vetro dà forma a un'altra figura femminile forte e controcorrente e restituisce al lettore lo splendore e la decadenza di Venezia e di Murano, osservando da vicino il mondo dei vetrai e lo spazio che le donne tenacemente si sono ritagliate. In occasione del Salone del libro di Torino ho dialogato con l'autrice. 

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Vorrei partire da quello che è stata prima di diventare scrittrice, ossia un'editor. Ha influenzato il suo modo di scrivere, soprattutto romanzi storici?

Sì, credo di sì, perché ero redattrice di enciclopedie sugli scrittori. Quindi ho imparato a essere molto precisa, il più precisa possibile quando raccoglievo e ricercavo informazioni. Perché quando componi un'enciclopedia, ogni errore che fai verrà ripetuto in altre enciclopedie, nei compiti degli studenti che la usano per imparare. Quindi dovevo cercare di essere il più chiara possibile. Usavo molto le biblioteche. Andavo spesso alla British Library. E penso che quel lavoro mi abbia dato il senso dell'importanza delle informazioni fattuali. Ma poi, quando sono diventata scrittrice di narrativa, ho dovuto imparare a intrecciare fatti e finzione.

Che tipo di lettrice è?

Leggo soprattutto romanzi. Devo costringermi a leggere saggistica, perché siamo circondati dalla realtà. Ma immagino che trovi i romanzi più divertenti, più fantasiosi. Penso che lo scrittore crei un mondo per me, e io poi ricreo quel mondo nella mia mente e questo non mi succede tanto con la saggistica. Con la saggistica impari delle cose, assimili informazioni, ma non crei un mondo.

Scrivere narrativa storica, come la sua, mi sembra molto difficile. Affascinante, ma difficile. Ma penso anche alla gioia della ricerca, alla gioia di scrivere di un altro paese, un altro tempo. Cosa ne pensa, dopo tanti romanzi, tanti anni?

La maestra del vetro
di Tracy Chevalier
Neri Pozza, settembre 2024

Traduzione di Massimo Ortelio

pp. 400
€ 20 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

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È difficile. E penso di esserci entrata un po’ ingenuamente, senza pensare che sarebbe stato complicato. Il mio primo romanzo era metà contemporaneo e metà storico. E ho capito che mi piaceva di più scrivere la parte storica, perché mi permetteva di lasciarmi alle spalle me stessa. Inoltre, fare ricerca mi dava idee per le storie e mi stimolava, cosa che scrivere del mondo contemporaneo non fa allo stesso modo. Quindi è difficile, ma alla fine molto gratificante e mi dà l’opportunità di creare un ponte: sento che il passato è sempre più importante e forse non gli diamo abbastanza peso. E così cerco di costruire un ponte tra passato e presente, per comprendere meglio il presente.

Ogni volta, ogni libro, un’altra epoca, un altro luogo. E ora, Venezia. No, non Venezia, la Serenissima. Perché? 

Conosco Venezia da tanto tempo come turista. Ci sono stata in luna di miele trent'anni fa e vado alla Biennale d’Arte ogni due anni. Ma l’ho sempre conosciuta come visitatrice, e ho pensato che mi sarebbe piaciuto conoscerla meglio, più profondamente. E volevo trovare un'angolazione diversa... così tante persone hanno scritto su Venezia, volevo un approccio diverso.

È un posto perfetto per uno scrittore.

Sì, è un posto meraviglioso per scrivere. Ma così tanto è già stato scritto, ma non altrettanto sul vetro. E mi piace scrivere di persone che creano cose e ho pensato che forse quello poteva essere l’ingresso. Ho scoperto che le donne non potevano lavorare nell’industria del vetro ma potevano realizzare perle di vetro e ho pensato che mi sarei concentrata su quello e su come è cambiato nel tempo per le donne.

Le donne sono spesso al centro delle sue storie. Come fa a scrivere personaggi femminili così vividi? 

Credo... sono una donna, quindi sono naturalmente più attratta dalle storie femminili. Le donne hanno avuto poco potere nella storia e quindi, se volevano qualcosa, dovevano trovare un modo. È più drammatico, in un certo senso, rispetto alle vite degli uomini. Quindi lo trovo più interessante. E in questo libro mi affascina il punto di vista femminile nel corso degli anni.

Può dirmi qualcosa su questo punto di vista atipico nella Venezia di allora? Intendo la particolare trattazione del tempo che fa in questo romanzo.

Fin dall’inizio sapevo che volevo coprire un lungo periodo della storia veneziana, perché era un centro commerciale molto ricco nel Rinascimento e ora è una meta turistica. Come è successo? E mi sono resa conto che, pur essendo stata tante volte — forse dieci o dodici — non conoscevo davvero la risposta. Quindi ho iniziato a fare ricerche sulla storia di Venezia e volevo raccontare tutto quel periodo. Seguendo una famiglia. Ma non volevo che tutti morissero e poi dovermi interessare ai discendenti. Cercavo un modo per risolvere il problema e poi ho pensato: forse Venezia funziona su un orologio diverso dal resto del mondo. E non mi sembrava una follia: perché se ci sei stato, sai che ha un suo mondo. È un mondo a parte. Va a un ritmo diverso. È magica in questo. E quindi ho pensato: non li farò morire, salteranno nel tempo. E non mi sembrava folle all’epoca. Ma forse lo era, perché tutti mi chiedono di questo. Ma è stata una scelta molto deliberata e ho cercato di farlo nel modo più semplice possibile, così che il lettore non si preoccupasse e non pensasse che fosse realismo magico o fantascienza. Non è così. È una follia, ma perfetta per Venezia. Forse non funzionerebbe altrove, ma per Venezia sì.

Cosa pensa di un romanzo come questo, ambientato a Venezia, letto da un pubblico italiano?

Ero molto nervosa su come i lettori italiani avrebbero accolto il libro.

Dopo tanti libri e tanti lettori?

Ma è diverso, perché è il vostro paese. E penso che il miglior complimento che ho ricevuto finora, in qualsiasi paese, è stato da una lettrice italiana che mi ha detto: “Di solito non mi piacciono i romanzi scritti da stranieri sull’Italia, perché sbagliano sempre, ma tu non hai sbagliato. Hai capito bene.” Ero così felice quando me l’ha detto. Ma era un grande rischio. Potevo cadere nel cliché, negli stereotipi. Non ho vissuto nella cultura. Ci sono stata spesso, ma non ci ho vissuto. E non parlo la lingua, quindi ho avuto bisogno di molto aiuto.

Ha fatto molti studi, non solo su Burano, Murano, il Rinascimento, la storia del luogo? Ha parlato con la gente?

Sì, tantissimi studi, letture, parlare con la gente e, ovviamente, visitare.  Ho passato molto tempo a Murano, ho conosciuto vetrai e li ho osservati. Ho provato io stessa a fare perle, sia a Murano sia a Londra. Tantissima ricerca. Ho fatto molte più ricerche di quanto si veda nel libro. Dovevo arrivare al punto in cui conoscevo abbastanza da poterti convincere che ci avevo vissuto, anche se non era vero. Non è facile, ma richiede tempo. Per questo ci ho messo quattro anni a scrivere questo libro. Anche la pandemia ha rallentato tutto. Volevo stare a Venezia un paio di mesi per un’immersione linguistica. Poi è arrivata la pandemia ed è stato impossibile.

Preferisce il tempo della scrittura o quello della revisione?

C’è la ricerca, la scrittura e la revisione. Amo la ricerca. La scrittura è davvero dura e la revisione è ancora più dura, ma molto soddisfacente. La parte più difficile è l’inizio, la pagina bianca. Tirare fuori la storia da te stessa e metterla sulla pagina è difficilissimo. Una volta che c’è qualcosa, anche se non è buono, è più facile modificarlo. Ma il passaggio dalla prima alla seconda stesura è stato molto difficile. La mia editor ha detto: “Non capisco questa cosa del tempo.” Nella prima stesura non spiegavo nulla. Non c’era nessuna indicazione storica, né l’età dei personaggi. E lei ha detto: “Devi aiutare il lettore, altrimenti si perde.” Ho dovuto tornare indietro e modellarlo con attenzione. Ci è voluto parecchio. E poi ha detto: “Tracy, non puoi scrivere quel finale, non funziona.” Ho cambiato il finale, era la cosa giusta da fare. 

Perché proprio questa storia? La storia del vetro, delle donne nel mondo del vetro?

Mi affascina vedere persone che creano bellezza, soprattutto donne. Ho scritto di cucito, tessitura, pittura. E il vetro è un materiale insolito. È duro ma fragile.

Come la scrittura.

Sì, come la scrittura, proprio così. E penso che fosse anche un modo per esplorare Venezia e le donne a Venezia. Sembrava che tutto si incastrasse perfettamente.

Intervista esclusiva a cura di Debora Lambruschini

Ringraziamo l'autrice, la casa editrice e l'ufficio stampa