di Magdaléna Platzová
Traduzione di Letizia Kostner
€ 8,49 (ebook)
Egregio signor Canetti, ho letto il suo libro su Franz Kafka e mia madre Felice, da nubile Bauer. Avrei preferito che non mi fosse mai capitato tra le mani. Purtroppo però si trova sempre un "amico" che si affretta a informarmi dell'ultimissima voce nella letteratura kafkologica (o kafkografica?), la quale - almeno a giudicare dal numero di titoli - dev'essere un business assai redditizio (p. 7)
Il primo narratore è Joachim M., il figlio di Felice Bauer (il cui nome in realtà era Henry). Subito dopo, il capitolo successivo ci porta indietro nel 1935 a Ginevra e un narratore esterno ci racconta dell'inizio del lungo esilio di Felice, che con la sua famiglia, infatti, scappa dalla Berlino di Hitler. Come in tutte le fughe, si lascia tutto... o quasi. Felice porta con sé le lettere che Kafka le aveva inviato durante la loro relazione. Il romanzo tesse intorno a queste lettere la sua trama, la vicenda legata alla loro vendita. Ma al centro del libro non c'è Franz Kafka, ma Felice.
Perché mai scrivere di Felice? A chi interessa una donna come Felice? Qui non trovo nessuna grande storia, solo coraggio quotidiano che si manifesta soprattutto nella perseveranza. Chiusa, laboriosa, poco letteraria. È così che me la immagino. Una donna con la capacità di organizzare e sistemare il mondo che ha intorno, di prendersene cura. (pp. 65-66)
È l'autrice che stavolta prende la parola per narrare ai suoi lettori com'è nata l'idea di scrivere su Felice Bauer, in quali circostanze lei si avvicinò a questa donna proprio perché gli studiosi di Kafka non l'hanno mai degnata di uno studio indipendente. Felice Bauer le apparve come l'istanza pratica, laboriosa che aveva tenuto a bada, per breve tempo, l'inquieto genio di Kafka. Ma «chi si nascondeva dietro l'aspetto equilibrato e la risata cordiale di cui esistono testimonianze?» (p. 69). Per ricostruire questa storia Magdaléna Platzová è andata a cercare prima la nipote e poi il figlio di Felice, a rivolgere loro delle domande. Ne viene fuori un romanzo polifonico, che mescola l'accurata documentazione con l'immaginazione, personaggi inventati e realmente esistiti, quali Grete Bloch, amica di Felice, Max Brod, lo scrittore Ernst Weiss, l’editore Schocken. Un romanzo di certo originale, che chiede molto al suo lettore. Molta attenzione, capacità di tenere fermo il punto nei continui cambi di focalizzazione, ma che proprio per questo punta a essere un romanzo stilisticamente "alto". All'interno si trovano anche frammenti delle vere lettere che Kafka scrisse a Felice:
Io ti amo, Felice, con tutto ciò che ho di umanamente buono, con tutto quel valore che mi consente di aggirarmi tra i vivi. Se è poco, sono poco io. (p. 141)
Lettere da cui Felice non si separò: dalla Svizzera all'Italia, agli Stati Uniti, viaggiarono con lei. La trama si infittisce quando, nel 1955 a Los Angeles appare il figlio di Franz Kafka e Grete Bloch, presentandosi a Joachim. In conclusione del romanzo i due si saluteranno così:
Ma per concludere la storia di Kafka. Lui in quella lettera del 1913 scrive a sua madre che in effetti la cosa più importante è rimanere interiormente collegato. A qualcosa di infinitamente alto o profondo. Avere un rapporto con l'infinito. È quel rapporto che conta, nient'altro. È espresso con grande precisione, non crede? (p. 253)
L'autrice alterna il vero, il verosimile, il possibile e l'immaginifico, per narrare di un legame sottile, che profuma di infinito, che è quello che la letteratura sa creare.
Deborah Donato
La vita dopo Kafka è stato uno dei "libri da tenere d'occhio" consigliati durante la prima puntata del nostro podcast. Ecco qui:
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