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La preparazione della svolta: le Lezioni 1932-1935 di Wittgenstein

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Lezioni 1932-1935
di Ludwig Wittgenstein
a cura di Pasquale Frascolla
Adelphi, 2025

pp. 321
€ 38,00 (cartaceo)



Alla domanda, che chi si occupa di Wittgenstein si sente rivolgere spesso, se davvero siano esistiti un primo e un secondo Wittgenstein (intendendo cioè una cesura netta tra la fase del Tractatus logico-philosophicus e quella delle Ricerche filosofiche), si può rispondere che forse è esistito anche un "terzo" Wittgenstein. Con "terzo" intendo la fase di passaggio dalla concezione della logica pura e formale al linguaggio come forma di vita, che caratterizzerà gli anni del Wittgenstein maturo. Gli appunti raccolti da Alice Ambrose  e Margaret Macdonald, ora editi in Italia con il titolo Lezioni 1932-1935, documentano (insieme a testi già conosciuti quali la Grammatica filosofica, il Libro blu e il Libro marrone, le Osservazioni filosofiche e le Lezioni sui fondamenti della matematica), il periodo di transizione, il travaglio di un pensatore che comprese il fallimento del riduzionismo del linguaggio al formalismo logico ipotizzato da Russell, Frege, Peano e al cui fascino aveva ceduto anche lui in età giovanile. 
Nelle Lezioni si avverte il "cambio climatico" del pensiero wittgensteiniano, la sua virata dall'algido atomismo logico alla complessità del pragmatismo e alla multiformità del "mondo della vita".
Russell e io ci aspettavamo entrambi di trovare gli elementi  primi, o «individui», e quindi le possibili proposizioni atomiche, attraverso l'analisi logica. Russell pensava che le proposizioni soggetto-predicato e le relazioni a 2 termini, per esempio, sarebbero state il risultato di un'analisi finale. Ciò rivela un'idea sbagliata dell'analisi logica: l'analisi logica è considerata alla stregua dell'analisi chimica. E noi avevamo il torto di non fornire nessun esempio di proposizione atomica, o di individuo. Entrambi, in modi diversi, accantonavamo il problema degli esempi. (p. 25)

Una delle virtù del testo è quello di offrire uno spaccato vivo di quali fossero il metodo e l'atmosfera respirata durante le lezioni universitarie del professor Wittgenstein. Un metodo che farà scuola: quello di analizzare l'uso di una parola, la sua grammatica, per  smascherarne il significato improprio che scienze quali la matematica, la psicologia ma soprattutto la metafisica hanno dato di un termine. Wittgenstein comincia ad applicare questo metodo, che avrà tanto peso ed eredità nella filosofia analitica, con il termine «Ragione», che ha due sensi: ragione e causa.

Noi qui parliamo delle parole «ragione» e «causa»: in quali casi diciamo che abbiamo  fornito una ragione per fare una certa cosa, e in quali una causa? [...] Le cause possono essere scoperte con gli esperimenti, ma gli esperimenti non producono ragioni. La parola «ragione» non è usata in relazione al fare esperimenti. Dire che si trova una ragione sperimentalmente non ha senso. (p. 18)

Emerge chiaramente in queste lezioni la nuova declinazione che Wittgenstein dà della parola «filosofia», cioè un ambito di domande a cui non risponde l'esperienza. I problemi filosofici, infatti, «non si risolvono mediante l'esperienza, poiché ciò di cui si parla in filosofia non sono fatti, ma cose per cui i fatti sono utili» (p. 15). Sul ruolo della filosofia e sul suo rapporto con gli altri saperi, Wittgenstein manterrà una coerenza teoretica nelle varie fasi del suo pensiero, sebbene tale ruolo si esplicherà con metodi diversi. Il ruolo della filosofia è quello di «segnalare errori nel linguaggio» (p. 47). Proprio per questo metodo, Wittgenstein è considerato a ragione uno dei padri della moderna filosofia del linguaggio. 

Ampia parte delle lezioni è infatti dedicata al problema del significato. Tematica centrale nella semiotica, nella semiologia, nelle scienze cognitive, il «significato» viene spesso pensato, spiega Wittgenstein in queste lezioni, in maniera obsoleta. Il modo errato di pensare al significato è quello di associarlo all'ostensione o ad un'idea. In queste lezioni, Wittgenstein si libera di qualsiasi concezione mentalistica del significato, affermando che il significato di una parola è il modo in cui essa è  usata. Questa visione aprirà la strada al "terreno scabro" su cui egli farà incedere la sua filosofia nelle Ricerche filosofiche. Per operare questa svolta è essenziale un altro concetto chiave nella fase di transizione wittgensteiniana: grammatica. La "grammatica filosofica" non si riferisce solo alle regole formali di una lingua, ma, appunto, descrive le regole che governano l'uso del linguaggio nelle applicazioni nella vita quotidiana. Il linguaggio è un fenomeno complesso:

Il nostro linguaggio ordinario è in un flusso spaventoso, cosicché risulta difficile operare delle distinzioni. [...] Il trattare il linguaggio come abbiamo fatto noi qui porta con sé il rompicapo: cosa ne è della rigidità della logica? Abbiamo l'impressione che la logica sia una cosa che sfugge al nostro controllo. Sembra esserci un modo per spiegare perché non lo è, pensando che i logici costruiscono un linguaggio ideale a cui i nostri linguaggi normali si avvicinano soltanto. Una volta ho detto che la logica descrive l'uso del linguaggio nel vuoto. (pp. 139-140)

La svolta wittgensteiniana vuole riportare nel "pieno" il linguaggio, ossia nelle forme di vita, nella complessità e vivacità della cultura, delle forme simboliche. Non a caso il suo sarà un metodo molto amato anche dagli antropologi. Quindi «tutte le difficoltà filosofiche sorgono dall'eccessiva semplificazione di un sistema di regole» (pp. 73-74) e continuare a usare la logica formale per comprendere il nostro linguaggio non può che condannarci ai grattacapi filosofici che hanno fatto naufragare l'atomismo logico.

Il testo edito da Adelphi consente agli studiosi di approfondire la  rielaborazione critica che Wittgenstein fece del Tractatus e di apprezzare la coerenza di un filosofo che, proprio nel momento in cui era stato considerato dal Circolo di Vienna un modello per una nuova filosofia, e in cui era stato glorificato da Bertrand Russell come un genio filosofico, ebbe il coraggio di abbandonare le proprie posizioni e anche la filosofia. Le Lezioni 1932-1935 segnano infatti anche il ritorno di Wittgenstein alla filosofia, dopo il lungo silenzio che si era autoimposto e la decisione di fare il maestro elementare, l'architetto, il giardiniere, pur di non tornare ad occuparsi di logica.

In queste pagine troviamo i punti nevralgici della svolta: il concetto di gioco linguistico, l'uso delle regole, la critica al significato, la critica alla concezione russelliana e fregeana di matematica.

La seconda parte di questo testo, infatti, è dedicata proprio a un ripensamento dei fondamenti della matematica, che servirà a portare Wittgenstein alla conclusione che di fondamenti non ve ne sono, perché anche la matematica è radicata nella prassi.

Deborah Donato