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Scoprire la propria identità per rinascere una seconda volta. “Una notte a Nuuk”, l’esordio di Niviaq Korneliussen, una delle più importanti voci della letteratura groenlandese

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Una notte a Nuuk
di Niviaq Korneliussen
Iperborea, 2 luglio 2025

Traduzione di Francesca Turri

pp. 224
€ 18,00 (cartaceo)


Chi ha amato La valle dei fiori di Niviaq Korneliussen come me, non può non leggere il suo esordio letterario, finalmente tradotto in italiano da Francesca Turri per Iperborea. Già in questo primo romanzo, l’autrice traccia le coordinate del suo universo narrativo: al centro ci sono sempre giovani disorientati,  in crisi di identità, sia dal punto di vista etnico-culturale sia di genere.
Il romanzo segue le voci intrecciate di cinque protagonisti – Fia, Inuk, Arnaq, Ivik e Sara –, tutti alle prese con la ricerca del sé in una società isolata, che non offre modelli e che non perdona le differenze, nonostante la sua impronta moderna. Fia, la prima voce che leggiamo, è stanca della sua relazione con Peter, un uomo che la ama, che ha fatto progetti per il futuro insieme, ma che non la rende felice. Fia si scopre lesbica quando incontra Sara: è un amore a prima vista:
Per un po’ ci scambiamo occhiate furtive mentre sorridiamo e chiacchieriamo con altri. Io parlo con Arnaq, ma non ho idea di cosa stiamo dicendo, i miei pensieri sono da tutt’altra parte. Non capisco niente di quello che Arnaq sta raccontando e lancio uno sguardo alla donna più bella del mondo. Lei lo ricambia e io vorrei urlare, saltare e gettarle le braccia al collo. […] Argh, voglio baciarla. Voglio dirle che voglio baciarla. Non avrò pace se non lo faccio. Wh…WHAT. Sono turbata dai miei stessi pensieri. No che non voglio baciarla! Ma cosa vado a pensare? Conosco i miei limiti. Il mio limite è lì. (p. 30)

Sara però ha già una fidanzata, Ivik, che però non vuole farsi toccare quando sono insieme. Anche il fratello di Fia, Inuk, a cui è legata da un affetto viscerale, è gay, fuggito in Danimarca, ma perseguitato da un trauma profondo. Ecco l’identikit del groenlandese scritto in una lettera a sua sorella, in cui si evince rabbia, tristezza, smarrimento.

Cosa implica realmente essere groenlandese:
Sei groenlandese se sei un alcolizzato.
Sei groenlandese se picchi il tuo partner.
Sei groenlandese se maltratti i bambini.
Sei groenlandese se sei stato trascurato da bambino.
Sei groenlandese se ti autocommiseri.
Sei groenlandese se hai poca autostima.
Sei groenlandese se sei pieno di rabbia.
Sei groenlandese se dici bugie.
Sei groenlandese se hai un’alta opinione di te stesso.
Sei groenlandese se sei stupido.
Sei groenlandese se sei cattivo.
Sei groenlandese se sei frocio. (pp. 74-75)

Arnaq, amica di Fia, da bambina è stata abusata dal padre, e passa da un letto all’altro, sia con uomini che con donne, e da una bottiglia di alcool all’altra.

Mi sono sempre chiesta come si possa essere così infelici e autodistruttivi, se si ha sopra la testa la magia delle aurore boreali, il ghiaccio cristallino, l’aria purissima?! Noi che viviamo al Sud dell’Europa rimaniamo sempre spiazzati quando ci mettono davanti il tasso di suicidi di uomini e donne, triste primato di quella terra, e ci viene naturale chiederci: come si può soffrire in un posto tanto bello, luogo d’elezione delle fiabe? 
In Una notte a Nuuk la morte è assente, ma la sofferenza e il disagio dei cinque protagonisti che devono fare i conti con la propria identità dominano le pagine. A rendere ancora più critico questo malessere è la situazione della Groenlandia che porta i segni del colonialismo culturale che ancora pesa. Essere groenlandesi e queer significa vivere in uno spazio doppiamente marginale, sentirsi fuori posto, ma, allo stesso tempo, ecco il potente messaggio di Korneliussen, significa avere il potere di scoprire sé stessi e rinascere una seconda volta.
Il sole mi illumina gli occhi che per lungo tempo hanno visto solo nero. Sento il profumo della terra gelata che si sta sciogliendo. La brezza calda risuona come una canzone. Se ascolto il mio corpo, sento che la mia anima ha trovato pace. Il corpo ha avuto la sua risposta e l’anima non è più in dubbio.
Sono nato per la seconda volta quando avevo 23 anni. (p. 168)

Già dal suo esordio si intravede lo stile che Korneliussen porterà a maturazione ne La valle dei fiori: una scrittura sperimentale che rompe gli schemi tradizionali e si apre a molteplici registri: la scrittura alterna le parti narrative a quelle dialogate, inserisce testi di email, messaggi whatsapp, monologhi. Le voci narranti sono quelle dei protagonisti e delle protagoniste che permettono al lettore di entrare direttamente nelle loro vite. Una prosa asciutta che è insieme cruda e tenera è la cifra di questa scrittrice. La sua penna sapeva sin dall’inizio che strada intraprendere, nonostante qualche sbavatura legata più che altro allo slittamento brusco dei piani temporali che possono disorientare anche chi è abituato a una narrazione non lineare. A romanzo finito, mi rendo conto che avrei desiderato una caratterizzazione più approfondita dei personaggi. La struttura corale, con cinque voci principali, è certamente una scelta interessante, ma in uno spazio narrativo limitato, non tutti i protagonisti riescono a emergere con la stessa forza o complessità. Alcuni restano più sfocati (come il fratello di Fia, ad esempio), sono quasi tenuti ai margini, e questo, almeno per me, ha reso più difficile creare un legame emotivo con ognuno di loro. Forse è una scelta voluta, coerente con la visione di un’identità frammentata in continua transizione.

Trovati una casa se hai nostalgia di casa.
Non arrenderti se non trovi la strada.
Guardati allo specchio se stai per arrenderti.
Trova te stesso quando ti guardi allo specchio.
Trovi la tua casa quando trovi te stesso. (p. 85)
Marianna Inserra