di Robert Lowry
Readerforblind, marzo 2024
Traduzione di Erika Silvestri
€ 19 (cartaceo)
Credo che la maggior parte dei soldati di ieri e di oggi abbia solo un pensiero fisso: quello di tornare a casa, ritrovare i propri cari e riprendere in mano la propria vita. Cosa accade, però, quando una volta tornati, la casa e la famiglia non sembrano gli stessi? È forse da questa domanda, più che fondamentale, che inizia Mi troverai nel fuoco di Robert Lowry.
Quando Jim Miller torna nel piccolo paese di Doanville, spera di ritrovare se stesso dopo aver combattuto in Italia e in Francia; anni difficili, durante i quali non solo ha sacrificato gran parte della sua gioventù (era ancora uno studente quando si arruolò), ma ci ha rimesso pure la gamba destra. Eppure, quando arriva e ritrova quello che prima amava di più, sembra che niente sia rimasto uguale. Quel senso di famigliarità, di casa e di affetto sembra svanito: è vero che tutti si ricordano di lui da ragazzo e di quando frequentava il liceo, ma nessuno sembra prendersi carico del bagaglio emotivo di Jim che si trova a vagare per le vie della piccola cittadina dell’Ohio senza sapere lui stesso che cosa stia cercando, diventando quasi un fenomeno da baraccone, tanto attira gli sguardi degli abitanti che lo credevano morto.
“E ora guardati!”. In quel momento si ricordò: era morto. Arny Beggs lo aveva creduto morto, tutta la città lo aveva creduto morto. Non c’era da stupirsi che la gente per la strada lo guardasse incredula. Doanville non poteva accettare un morto. Non erano affatto convinto di averlo visto, e non lo era neanche lui [...]. (p. 34)
Ormai, per gli abitanti di Doaneville è una persona da ammirare ma senza entrarci troppo in contatto, non rischiando dunque che possa rivangare gli anni della Seconda Guerra Mondiale, ancora recenti. Tra tutti sembra che faccia eccezione la quindicenne Petey che sogna da sempre di fuggire dalla cittadina dove è nata per andare all’Università di Chicago; infatti, sarà proprio lei a dare una possibilità al giovane soldato, avvicinandosi a lui. Entrambi, infatti, sono in cerca di qualcosa di indefinito, incerti su quale strada (metaforica e reale) prendere: andarsene? Rimanere? E se tutti a Doanville hanno le idee chiare su cosa sia giusto ( frequentemente sbagliando) e su cosa non lo sia; Joe e Petey sembrano, almeno agli occhi degli cittadina, sbagliati e inappropriati. D’altronde, gli abitanti di Doanville sono soliti giudicare in questo modo chi non si conforma alla regola e alla prevedibilità e, non solo Joe e Petey sono sotto lo sguardo attento della cittadina, ma anche la bibliotecaria di Doneville, Genevieve, di origine ebrea, che è l’unica forse a infrangere le regole (non scritte) della comunità, facendosi carico di un ragazzino afroamericano, Lee, che incamera la segregazione razziale, dando sfogo a tutta la sua rabbia e sentendosi, dunque, «recluso dal mondo» (p. 291).
Joe, Petey, Genevieve e Lee sono persone diverse con un vissuto opposto ma che rimangano incastrate nelle vie di Doanville che, più che un piccolo paese, si dimostra una trappola: nessuno di loro riesce a oltrepassare (soprattutto psicologicamente) quelle dinamiche che sembrano così radicate nel paese, tanto da sentirsi soffocare e perdere la spinta per cambiare in primis se stessi ma non smettendo, però, di combattere. È proprio in virtù di questo che, nel corso della lettura, il titolo, Mi troverai nel fuoco, assume un ulteriore significato, oltre quello letterale (saranno infatti le azioni di ognuno a innescare un reale incendio). Il fuoco, però, è anche metaforico, perché tutti e quattro sembrano ardere dentro dalla voglia di amore, di indipendenza e di accettazione, ma nessuno riesce a trovare un modo efficace per incanalare quella voglia così profonda tanto da cadere nell’illegalità. E allora: c’è la possibilità per ognuno di loro di sentirsi finalmente a casa?
Mi troverai nel fuoco è una storia che scandaglia il senso di perdita, di perdizione e di soffocamento. Doanville è lo specchio di un’America senza idealismi, una realtà cruda nemmeno tanto distante dai nostri tempi. D’altronde, non si può ignorare come Robert Lowry, nell’arco di trecento pagine, riesca perfettamente a coinvolgere il lettore, che si trova ad assistere a scene di razzismo e di violenza. Certo è che l’autore non minimizza tali dinamiche ma nemmeno calca la mano, tanto bastano quegli accenni narrativi a rendere perfettamente consci delle sensazioni dei quattro protagonisti (ognuna infatti è voce narrante). Un romanzo da cui tutti sembrano uscirne sconfitti o perlomeno rassegnati all’insoddisfazione: Mi troverai nel fuoco parla delle occasioni perdute e delle speranze disilluse e questo, forse, gli rende un’universalità solo delle grandi Storie, quelle che riescono ad attraversare le epoche, non perdendo mai la loro attualità. D’altronde, non è un caso che Ernest Hemingway abbia eletto Robert Lowry tra i migliori scrittori d’America.
Come una guerra [...]. Tutti temono l’idea, ma una volta iniziata sono tutti sadicamente assetati di ogni dettaglio. I giornali devono annunciare che almeno un migliaio di soldati sono stati uccisi e non uno solo, altrimenti non li leggono. Singole case non bastano: città intere devono essere ridotte a un inferno di rovine, nazioni intere rase al suolo. (p. 207)
Giada Marzocchi
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