di Judith Koelemeijer
Traduzione di Claudia Di Palermo, Francesco Panzeri e Davide Trovò
pp. 610
€ 32 (cartaceo)
€ 16,99 (ebook)
Ho conosciuto Etty Hillesum da Eugenio Borgna. In un saggio intitolato In ascolto del silenzio (Einaudi, 2024), lo psichiatra piemontese trascriveva alcune pagine del diario e delle lettere della scrittrice olandese, morta ad Auschwitz nel 1943 a ventinove anni. A tal punto mi avevano impressionato le parole di Hillesum che ero stata presa da una strana esigenza: ricopiarle per filo e per segno, a mano, su un quaderno. Alcuni mesi dopo avrei scoperto che anche Etty aveva l’abitudine di annotare su un taccuino frasi di scrittori o filosofi a lei affini. Ne sono venuta a conoscenza leggendo questa coinvolgente e accurata biografia curata da Judith Koelemeijer, scrittrice e giornalista olandese, pubblicata ad Amsterdam nel 2022 e disponibile ora in italiano per Adelphi. Il titolo è Etty Hillesum. Il racconto della sua vita.
Adelphi ha avuto un’intuizione pubblicando quest’opera, che si affianca alle precedenti edizioni del Diario e delle Lettere. Il saggio è strutturato, concepito e scritto con grande maestria. La divisione generale in tre parti scandisce diacronicamente la vicenda di Etty, con titoli accattivanti e d’impatto, che invitano alla lettura. La storia collettiva degli ebrei olandesi negli anni del nazifascismo si intreccia coerentemente con le vicissitudini interiori della giovane donna, mentre la prosa scorre fluida. Koelemeijer racconta la storia di Etty attraverso le sue parole, integrandone i silenzi, laddove necessario, con uno stile che nulla ha da invidiare a un solido romanzo. L’impressione è che si sia immersa nel mondo della scrittrice con religioso rispetto, senza per questo venir meno al rigore scientifico che costituisce il fondamento del saggio – interviste a conoscenti e amici di Etty, materiale di archivio, collaborazioni con studiosi precedenti.
È impossibile leggere questa biografia senza essere travolti dalla personalità della protagonista, su cui è forse opportuno spendere qualche parola, anche solo per incentivare la lettura della sua vita. Esther Hillesum (1914-1943) era una giovane donna dall’universo interiore magmatico e tenero, cui non era capace di dare ordine. Con Rilke e L’idiota di Dostoevskij sul comodino, Etty oscillava tra un’insicurezza che la ancorava alla terra della sua fragilità e un’incontenibile anima poetica, desiderosa di levitare e parlare al mondo.
Per Etty le parole erano indispensabili come l’acqua…e in segreto sognava di diventare scrittrice. Sentiva l’impellenza di attribuire un significato a tutto ciò che si agitava in lei. Talvolta il bisogno di scrivere diventava quasi doloroso, come il desiderio di un amante irraggiungibile. Tuttavia non aveva ancora messo nero su bianco una sola lettera: a bloccarla erano scarsa disciplina, indole troppo nevrotica, forte irrequietezza e insicurezza interiore. (p. 19)
Il 3 febbraio 1941 arriva la svolta. Etty si reca da Julius Spier, psicochirologo e amico di Jung, abile nella lettura della mano. Iniziando con Spier un'intensa relazione terapeutica – e in parte sentimentale – viene da lui esortata a tenere un diario per domare i suoi vortici interiori. Il 9 marzo 1941 Etty annota le prime parole: «Avanti, allora!». Procedendo sulla strada tracciata dalla penna, riuscirà così a dare forma, oltre che al proprio sé, alla sua identità di scrittrice.
Per quanto Etty rivendicasse l’importanza della sua realtà interiore, già un anno dopo l’inizio della sua terapia approda a una dimensione più universale, consapevole di essere parte di un comune destino ebraico – Jüdisches Schicksal – di fronte al quale non si tira indietro. Testimone sensibile del progressivo inasprimento delle misure contro gli ebrei olandesi, Etty rifiuta categoricamente di fuggire, lavorando per il Consiglio ebraico prima ad Amsterdam e poi direttamente nel campo di transito di Westerbork, dove sorregge, come può, la disperazione di chi la circonda. Il 7 settembre 1943 è costretta a partire, assieme alla famiglia, con un convoglio di 987 persone. Direzione: Auschwitz. A questo Etty era pronta da tempo. Prima di partire, aveva affidato il suo diario nel caso non fosse più tornata, dando istruzioni nella speranza di una pubblicazione: era finalmente consapevole di essere una scrittrice.
Molte sono le cose che colpiscono della storia di Etty. Tra tutte, primeggia il profondo amore per il prossimo e per l’umanità tutta. La consapevolezza che, qualora fosse fuggita, un altro ebreo sarebbe stato deportato al suo posto le aveva dato la forza quasi inconcepibile di rimanere presente di fronte all’avanzare della storia. Né la disumanità che divampava intorno si tradusse mai in odio. Come il suo terapeuta Spier, anche Etty credeva che «il marciume che c’è negli altri c’è anche in noi» (p. 170), e che basta un solo essere umano per continuare a credere nell’umanità, rifiutando qualsiasi semplificazione della complessità.
Davanti a quello spettacolo di depravazione e dolore, Etty non chiuse gli occhi, ma a differenza di tanti altri si rifiutò di accettare che fosse quella la sola realtà. Anche nel clima di oppressione e barbarie del campo le persone avevano una scelta: la scelta di continuare a vedere la bellezza di una brughiera punteggiata di lupini gialli in fiore, la scelta di alleviare la sofferenza del prossimo con un gesto o una parola di conforto, la scelta di restare umani, anche in mezzo ai lupi, e di rinnovare la fede in Dio e nel bene di cui l’umanità, malgrado tutto, era capace (pp. 341-342)
Non c’è che dire: Koelemeijer è riuscita con grande perizia in un compito arduo, quello di dare luce a una stella già fulgida. Ha avvicinato Etty al lettore senza la pretesa di farlo, con delicatezza, spingendo a riflettere sulle potenzialità infinite racchiuse in un minuscolo cuore umano. Per quanto la giornalista olandese si sia mantenuta sullo sfondo, rendendo Etty una materia viva che parla da sé, il grande risultato ottenuto, tanto da un punto di vista scientifico che narrativo, merita il giusto elogio. Tornando a rivivere in Italia, mi piace pensare che la “vita interrotta” di Etty – era questo il titolo che accompagnava la pubblicazione del suo diario – possa diventare invece l’esempio di una vita in-interrotta, mantenuta al caldo mentre pulsa nelle mani di studiosi intelligenti e di scrittori capaci.
Giulia Tardio
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