Qui non c'è niente. Immagini dal labirinto
di Alessandro Mantovani
Italo Svevo Edizioni, ottobre 2025
pp. 176
€ 16 (cartaceo)
Nel mondo della morte - che è un mondo sconosciuto ai vivi - non esistono punti di riferimento, non esiste un "centro", esso non può essere misurato, spazializzato; e poiché non può essere conosciuto non può nemmeno essere rappresentato. E così che si comprende allora la vera ragione del terrore e del rifiuto che il labirinto ispira a una cultura come quella occidentale, per cui la conoscenza passa obbligatoriamente attraverso la rappresentazione. Il labirinto non può essere rappresentato, ma solamente pensato. Raffigurare il labirinto significa dargli una prospettiva e un centro, offrirne una mappa e dunque trasformarlo nel suo contrario: il disegno del labirinto non esiste perché quando esso viene ridotto su tavola cessa automaticamente di essere tale. Ecco allora per quale motivo il labirinto non ha mai smesso di agire sulle nostre menti e sul nostro immaginario: perché esso simboleggia una contraddizione archetipica tra ciò che si può pensare e ciò che si può rappresentare. (p. 69)
La domanda d'apertura dell'autore è: cosa resta, oggi, del labirinto? Perché parlarne? Come giustamente sottolinea, tutti sappiamo cos'è un labirinto, tanto è forte e potente la sua portata immaginaria, ma pochi di noi ci hanno davvero messo piede o fatto esperienza reale. Eppure, poiché esso è un simbolo prima ancora che un luogo fisico, possiamo quasi dire di capire come ci si sente pur non essendovici mai persi.
Il saggio è suddiviso in cinque capitoli che segnano delle tappe temporali (o un viaggio a tappe, quasi iniziatico) nell'evoluzione del concetto di labirinto: il primo capitolo esplora lo spazio fuori dal labirinto, quello che viviamo appena prima di attraversare la soglia; il secondo racconta l'origine del labirinto nel mondo classico; il terzo il passaggio da mitologema ad architettura (mitologema: parola molto peculiare che designa, come scrive Mantovani, «nient'altro che una sorta di archetipo mitologico: un'immagine, un'idea, un pensiero che affonda nell'inconscio umano in un tempo talmente lontano e profondo da essere antecedente persino alle manifestazioni mitologiche e alle rielaborazioni narrative di una determinata cultura. In poche parole, un mitologema è una forma del pensiero nata in un tempo prestorico spontaneamente, per così dire, e con precisi significati, i quali sono stati poi diversamente interpretati a seconda delle culture e dei tempi generando così narrazioni, simbologie e miti. Se il labirinto dunque è un mitologema significa allora che è in quelle ancestrali forme del pensiero che si devono ricercare le prime risposte ai nostri interrogativi per capire cosa esso abbia rappresentato in un tempo antichissimo, quali schemi mentali rifletta e a quali letture del mondo conduca», pp. 39-40); il quarto capitolo continua l'esplorazione del concetto di labirinto nel mondo moderno e contemporaneo; il quinto, com'è ovvio, nelle possibilità del suo futuro prossimo.
Mantovani esplora giustamente le storie, i miti e le leggende che, in linea di massima, conosciamo abbastanza bene: Arianna e il Minotauro (molto interessante la disamina sulla sua figura, che trasla il suo personaggio da principessa traditrice della patria a regina custode, Signora del Labirinto, non intenso come luogo fisico, ma come confine da attraversare per raggiungere un centro e poi uscirne); Borges e i suoi racconti sul labirinto; Ulisse e la caverna di Polifemo; ma fa anche di più, indagando il significato stesso del labirinto come simbolo prima ancora che divenisse quello che oggi raffiguriamo mentalmente e graficamente come tale, cioè un artefatto architettonico misterioso, pericoloso, da cui si può non uscire mai più.
La domanda che viene spontanea è: il labirinto è un luogo o uno spazio? E poi, anche fatta questa distinzione (semmai fosse possibile, perché - per me - il labirinto è entrambi) si tratta di un luogo o di un non-luogo come voleva Augé? O di una eterotopia come voleva Foucault? Se il labirinto, prima di essere un dedalo è spazio tra la vita e la morte, è una danza spiraliforme (c'è tutta una sezione molto approfondita su questo concetto), se il labirinto è una figura femminile, come ha fatto a trasformarsi da idea, da viaggio interiore, a spazio/luogo fisico? Mantovani cerca di rispondere.
I labirinti di cui abbiamo parlato fino a questo momento - le tavolette babilonesi, le monete cretesi, la brocca di Tragliatella e altri - sono tutti, abbiamo detto, spiraliformi. Ciò significa che posseggono un unico percorso, il quale porta verso un centro e poi, parallelamente, all'uscita. Questo tipo di labirinti - più primitivi e legati alle valenze culturali già affrontate - è detto unicursale. Non è così tuttavia l'idea che genericamente abbiamo di un labirinto, inteso invece come un luogo ricco di bivi, vicoli ciechi e vie ingannevoli in cui, per tale conformazione, è possibile perdersi. Questa concezione - definita invece multicursale - viene ereditata proprio dalle descrizioni provenienti dagli scrittori antichi e dal loro racconto del labirinto come luogo o palazzo, lontano dalle sue originarie valenze. Come abbiamo già letto è Virgilio a definire il labirinto cretese un «groviglio di chiuse pareti, ambiguo inganno di mille vie», e così faranno anche gli altri autori citati. Il labirinto inteso come spazio fisico diviene allora un luogo intricato e dalle molte vie, un luogo la cui particolarità non è più quella di mettere in contatto vivi e morti mediante specifiche pratiche, ma di suscitare insieme grandezza e oscenità, meraviglia e terrore. Saranno gli scrittori classici già citati infatti a mettere le basi per l'idea successiva di labirinto, e tutti loro ne rileveranno tale duplice natura: il labirinto come architettura (e dunque ordinato) e come idea (e perciò caotico). (pp. 73-74)
Si prosegue con il labirinto nel Medioevo, in parte del Rinascimento e nella città moderne e contemporanee: città o megalopoli perché è piuttosto ovvio che il labirinto, oggi, si sia trasferito in contesti urbani o iper-urbani (mi prendo questa licenza poetica). Le megalopoli, private del centro (non esiste un agorà come nelle vecchie polis greche), si espandono in maniera scomposta - il testo prende in esame due parole specifiche: frattale e arborescente - dunque il concetto di labirinto come ventaglio di possibilità infinite, ma per questo anche di moltiplicazione della probabilità di perdersi, è alla massima potenza.
E il futuro? Forse nessuno può dirlo? Al lettore scoprirlo.
Deborah D'Addetta

Social Network