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Il sangue che ci unisce: cronaca di un femminicidio in "Sangue. Storia di Anna" di Andrea Romano

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Sangue. Storia di Anna
di Andrea Romano
Ubagu press, giugno 2025

pp. 177
€ 15,50 (cartaceo)
€ 10,49 (ebook)

Mia madre ha preso quattro solitudini diverse e le ha mescolate insieme, creando un’entità unita, affiatata, indissolubile. E senza che nessuno se ne accorgesse, dal più tetro degli orrori è nata una famiglia. (p. 135)

Lev Tolstoj ci ricordava, già nel 1877, in incipit a una delle sue opere più importanti, Anna Karenina, che «le famiglie felici si somigliano tutte, le famiglie infelici lo sono ognuna a suo modo». E Sangue. Storia di Anna sembra avere proprio questo fil rouge quale forza trainante dell’intero romanzo. È un’opera familiare, infatti, quella che sgorga dalla penna di Andrea Romano, già giornalista per «Il Foglio»«Il Fatto Quotidiano» e «Panorama», che si cimenta, in modo inedito, nel raccontare l’episodio cardine, profondamente intimo e doloroso, della propria vita familiare, pur mantenendo un ritmo narrativo avvincente che mai scade nel lezioso.  

E così il lettore viene immediatamente catapultato all’interno della vita quotidiana dei Romano, una famiglia come tante, almeno nell’apparenza. È il 1987, Andrea ha otto anni, è a casa da scuola perché da alcuni giorni malato e, probabilmente approfittando del momento di solitudine e debolezza del bambino, la tata Vanda, che «lavorava a casa nostra da più di vent’anni […] Eppure ci aveva sempre disprezzato» (p. 11), squarcia quel velo di innocenza ed inconsapevolezza in cui il bambino vive esclamando: «Forse tu e i tuoi fratelli siete così diversi perché avete avuto madri diverse» (p. 9). Da questa rivelazione la volontà di comprendere inizia a scavare nella mente del bambino – e poi dell’uomo –, tornando dalle pieghe del passato nella forma del fantasma di Anna, evocata nei sogni dell’autore il quale comprende che «io e lei eravamo collegati, due estremità della stessa storia, due vite rese possibili solo perché si erano escluse a vicenda» (p. 18). 

Alternando la biografia all’autobiografia, con audaci cambi di prospettiva narrativa, saltando dall’intimità della prima persona, al distacco della terza, e destreggiandosi tra passato e presente, a partire da quel lontano 1987, l’autore si cimenterà nello scalfire, scoperta dopo scoperta, quel tabù che avviluppa da sempre la sua famiglia, abituata a immergere nel silenzio ogni dolore, anche il più atroce. Ma, si sa, quando di colpo la verità entra in scena non si può non guardarla in volto.

Ma qual è il tabù attorno al quale un’intera famiglia ha messo radici? Tarquinia, 18 maggio 1976: mentre la Storia procede spedita, tra il ben più noto massacro del Circeo e i giorni bui degli anni di piombo, quando davanti alla Corte d’Assise di Torino era iniziato il processo alle Brigate Rosse, Anna Francia in Romano, prima moglie del padre di Andrea, Alessandro, diplomatico rampante, e Stefano Mecarini, un sedicenne problematico che «non riusciva a mescolarsi con gli altri, come l’olio in una soluzione con l’acqua» (p. 50), viaggiano insieme sulla Fiat 127 verde della donna. I due, prima di quel momento fatale, sono dei perfetti sconosciuti. È stato il nonno di Stefano, infatti, a suggerire alla donna di farsi aiutare in un trasloco in cui era impegnata da suo nipote. Ma quello che si prospetta come un viaggio semplice e veloce, sono solo 7 i km da percorrere, si trasformerà in un appuntamento con la morte.

In un’epoca in cui la parola femminicidio non era ancora entrata nel linguaggio comune, il delitto di Tarquinia sconvolgerà più di una famiglia: quella di Anna, la vittima, fondata su un sentimento, quello tra lei ed Alessandro, totalizzante: «e ogni lacrima versata, ogni bacio disperato, ogni abbraccio strappato, ogni lettera scritta diventa lievito per il loro sentimento. Fino a renderlo idealizzato» (p. 33); e quella di Stefano, il carnefice, da sempre outsider di ogni contesto sociale, «un povero diavolo, vittima di se stesso, della vita in cui si era ritrovato imprigionato» (p. 147). E così il sangue, richiamato più volte e troneggiante fin nel titolo del romanzo, non è solamente quello versato, ma anche quello che scorre, condiviso, tra i vari membri di una famiglia.

C’è sempre una motivazione sottostante che muove un autore nel momento in cui intraprende la stesura di un’opera. In Sangue. Storia di Anna non è la suspense a essere ricercata né, tantomeno, la voglia di creare mistero: Andrea Romano vuole ridare la voce a una donna brutalmente annichilita, nel corpo e nella dignità, non solo dal suo aggressore. E riesce nel suo intento grazie a una narrazione snella e priva di fronzoli, tipica del giornalista, che pone sotto la lente di ingrandimento le dinamiche complesse e le conseguenze devastanti di un femminicidio. La sua scrittura, scevra di enfasi retoriche, restituisce con crudo realismo non tanto la dinamica dei fatti – non è infatti la ricerca del dettaglio scabroso al centro dell'attenzione –, ma la ferita profonda lasciata in chi, con quella tragedia, ha dovuto fare i conti.

Corinna Angelucci