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La fragilità della normalità: «Padri» di Giorgia Tribuiani

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Padri
di Giorgia Tribuiani
Fazi editore, 2022

pp. 196
€ 16 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)

E tu adesso mi dirai che è stato ieri, tu dici è stato ieri, è stato un anno fa, l’ho vissuto giusto adesso, ma quello che ha vissuto quarant’anni con quest’ultimo ricordo non sei tu. (p. 44)

Seguire un’autrice sin dai primi passi vuol dire osservare come la sua scrittura cambi nel tempo, come i suoi temi evolvano di volta in volta. Vuol dire anche provare a comprendere le difficoltà incontrate lungo la via, i dubbi che devono aver roso la sua mente quando, ferma a un bivio, ha dovuto scegliere che strada prendere e che percorso affrontare da quel momento in poi.

Con Giorgia Tribuiani è stato un po’ diverso: la folgorazione è avvenuta con Blu (Fazi, 2021), di cui abbiamo parlato sempre su queste pagine; poi siamo tornati indietro, a quel Guasti (Voland, 2018) che ha segnato il punto di partenza per l’autrice abruzzese (e che ci ha portato a voler intervistare l'autrice qualche mese dopo). Fra l’altro, è stato curioso notare come alla fine del primo romanzo comparisse una ragazzina che somiglia moltissimo alla protagonista di Blu: vivendo in un mondo cinematografico dominato dal Marvel Cinematic Universe, questa cosa ha avuto il sapore di una scena post-crediti che anticipava quanto sarebbe accaduto nel libro successivo.

Ora, in questo 2022 foriero di tante interessanti novità letterarie, leggendo Padri possiamo cogliere un passo in avanti nella scrittura di Tribuiani. Al di là della voce dell’autrice, che si fa sempre più sperimentale e violenta – già Blu, rispetto a Guasti, affondava i denti nella psicologia della protagonista facendo emergere la personalità dominante di Blu all’interno della mente di Ginevra –, a fare da spartiacque fra Padri e la scrittura precedente sembra essere l’elemento soprannaturale che impone il proprio marchio sin dalla prima pagina.

L’incomunicabilità è proprio il leit motiv della scrittura di Tribuiani, la quale sembra voler indagarne le cause e gli effetti a tutto tondo. Partendo da Guasti, dove l’impossibilità di comunicare è dovuta a un evento tristemente naturale come la morte della persona amata (e che resta davanti alla protagonista come corpo plastinato lasciato esposto in una mostra), e proseguendo con Blu, dove invece è lo sdoppiamento di personalità a creare una barriera impossibile da attraversare sia in entrata che in uscita, giungiamo infatti a Padri, nel quale la resurrezione di Diego Valli, morto quarant’anni prima, non solo resta inspiegata e inspiegabile (come lo resta, d’altronde, la metamorfosi di Gregor Samsa nell’omonimo racconto di Kafka) ma è il motore che dà il la alla vicenda e sovraccarica tutta la catena di incomprensioni e incomunicabilità fino a quel momento soltanto in nuce.

Quello che appare come un miracolo, una seconda opportunità, si tramuta presto in un momento di angoscia esistenziale sia per Diego Valli, che non riesce in alcun modo a trovare il proprio posto nel mondo (magistrale è la scena del ballo nel locale La Rotonda sul Mare, dove emerge tutta la potenza distruttiva di questo evento soprannaturale), sia per il figlio Oscar, che si trova a fare i conti con un padre perso all’età di otto anni e riscoperto, oggi, più giovane di lui; sia, infine, per la nipote Gaia, che questo nonno non l’ha mai vissuto e vorrebbe anche goderselo ma si ritrova nel fuoco incrociato del collasso familiare, con un padre inetto e incapace di affrontare una situazione soverchiante e una madre che non vuole, non può, non sa razionalizzare la realtà dei fatti.

Ciò che emerge da questo quadro di famiglia normale è che a volte basta muovere un sasso per scatenare una valanga; che, insomma, la normalità è spesso costruita artificialmente e il mantenimento della sua architettura fragile ha a volte un prezzo altissimo.

Giorgia Tribuiani lavora con Padri sul famoso filo del rasoio. In un romanzo che è quasi corale rispetto agli altri due, in cui diverse voci si intrecciano, si interrompono fra loro e scalpitano per emergere, c’è il rischio calcolato di perdersi fra le pieghe della realtà che, a sua volta, è macchiata da questo elemento soprannaturale che funge da elefante nella cristalleria. Ma l’autrice ha fatto bene i suoi calcoli e, a parte qualche momento di forte tensione narrativa in cui la concitazione rischia di frammentare la comprensione del testo, riesce nell’intento di raccontare una storia non semplice da gestire e a trasmettere al lettore l’abisso di frustrazione in cui sono immersi i suoi personaggi.

La domanda, in conclusione, sorge spontanea: Padri è stato un esperimento ben riuscito oppure Giorgia Tribuiani, davanti al bivio fra reale e non-reale, ha preso una decisione precisa?

David Valentini