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Da impazzire e da morire: venti donne "tra genio e follia" in un libro di Roberta Balestrucci Fancellu e Lucrezia Buganè

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Pazze. Tra genio e follia
illustrazioni di Lucrèce
testi di Roberta Balestrucci Fancellu
Hop Edizioni, 2021

pp. 128
€ 15,00 (cartaceo)

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Esiste un binomio più noto e più automatico di “genio e follia”? Sì, solo che è un binomio maggiorato, dunque un trinomio: “genio, follia e… femminilità”. Hai raggiunto eccellenti risultati in qualche settore, il tuo equilibrio psichico è un po’ instabile o comunque non conforme alla bilancia del tuo spazio-tempo e, per giunta, sei una donna? Voilà: ecco l’identikit perfetto della “picchiatella” di turno, un’altra identità da aggiungere all’elenco dell’apposita rubrica. «Quella? Brava, sì, anche bravissima, certo, però… è matta. Tutta matta. Matta da curare/legare/internare». Se persino oggi, in un’epoca che non ne può più di stereotipi e pregiudizi, ancora si tende a calare insieme questi tre assi non appena possibile, quasi si trattasse di una scelta di default, immaginiamo quale fosse la prassi nemmeno troppi decenni fa, quando bastava davvero tanto così perché i tratti caratteriali, le abitudini e le scelte esistenziali e professionali venissero giudicate degne di una “fuori di testa”. Come se l’eventuale sofferenza legata a una patologia, qualora davvero presente, non fosse già abbastanza di per sé per rendere la partita della vita ancora più impegnativa e tendente a un punteggio comunque negativo. È capitato e capita ancora a molte donne, ma quando il loro destino non è l’anonimato può succedere che alcune passino addirittura alla storia (in vita o post mortem), e che dunque vengano raccontate, studiate e valorizzate proprio per la loro unicità. Donne a modo loro esemplari e il cui dolore dell’anima è stato compagno di un talento altrettanto palese, di una vocazione parimenti profonda, che le ha fatte esprimere nella perplessità e nell’incomprensione dei contemporanei, e che ha contribuito a liberarle e, nel contempo, a imprigionarle.


Alda Merini
A venti di queste donne è dedicato, per l’appunto, Pazze. Tra genio e follia, quarto volume della collana “Speriamo che sia femmina” della casa editrice Hop! uscito alla fine dello scorso anno. Stavolta, dopo Susanna Gentili, Jessica Cioffi e Marianna Balducci – che li hanno affiancati rispettivamente in Storia di grandi uomini e delle grandi donne che li hanno resi tali, Perfide e Non è bella, ma…i testi di Roberta Balestrucci Fancellu fanno coppia con le illustrazioni di Lucrèce (Lucrezia Buganè), per dare vita a una serie di ritratti in cui le parole delle protagoniste – monologhi tanto brevi quanto intensi con i quali ciascuna di loro si presenta a chi legge – trovano una traduzione visiva in medaglioni incorniciati, raffigurazioni di tranches de vie tanto concrete quanto simboliche e dettagli che, come già nelle uscite precedenti, funzionano come correlativi oggettivi delle protagoniste. Scrittrici, soprattutto, ma anche scultrici, pittrici, modelle, fotografe, cantanti, attrici; addirittura – e pare quasi una beffa – professioniste dello studio della mente umana. Alcune di loro sono note ai più: ecco Emily Dickinson, Virginia Woolf, Zelda Fitzgerald, Sylvia Plath, Anne Sexton, Sarah Kane, Antonia Pozzi, Sibilla Aleramo, Alda Merini, Yayoi Kusama, Vivien Leigh, Dalida; altre – Madeleine Pelletier, Sabina Spielrein, Elise Cowen, Elizabeth Eleanor Siddal, Camille Claudel, Leonora Carrington, Dora Maar, Francesca Woodman – hanno nomi non troppo familiari al grande pubblico, e a maggior ragione meritano il riscatto di un primo approccio da parte di chi le conosca solo vagamente.

Elizabeth Eleanor Siddal

Così, mentre le parole di Roberta Balestrucci Fancellu si pongono come un’ipotesi verosimile e affascinante di che cosa queste donne racconterebbero di sé se solo potessero ancora parlare – venti prove di immedesimazione che sono ipotesi accorate, con tutta l’affidabilità e l’inaffidabilità che soprattutto in questi casi è tipica della prima persona – le illustrazioni di Lucrèce, con il loro stile sempre vagamente Art Nouveau, sono forse la formula visiva perfetta per trasporre in immagini il senso di esistenze così poco lineari e così “annodate”. Alla stregua del Liberty – che, negli anni della nascente psicanalisi, raggiungeva la sua apoteosi nella rappresentazione del corpo della donna, caricando l’eterno femminino di tratti seducenti e inquietanti, placidi e isterici, benigni e matrigni (come la natura in cui così bene la mutava e mimetizzava) – anche per Lucrezia Buganè non c’è curva che non alluda a fibra nervosa nel descrivere una chioma spettinata, un giro di perle smisurato, una tessuto spiegazzato, uno sbocco di fumo, un foglio accartocciato, una ragnatela invadente, un vetro filato, un rivolo di inchiostro, un tentacolo a pois o il cavo elettrico di un microfono con asta.

Sibilla Aleramo
Il dinamismo “a colpo di frusta”, in cui l’epoca bella faceva confluire tutte le energie del proprio (spirito del) tempo, anima di un carisma perturbante queste figurine dotate di grandi occhi espressivi, dallo sguardo intenso, pensoso, veggente e allucinato, in un contrasto efficace con la palette di colori pastello, resa cromatica perfetta per un’estenuazione dolce, una pacatezza polverosa, un’energia vitale giù di tono. Ed è forse per questo che ogni elemento floreale sulla scena, pur presente, appare il più delle volte già depotenziato, colto nel suo momento finale: le corolle sono accartocciate, i gambi flosci, le foglie secche, i fili d’erba incolti. Fatta eccezione per le rose rosse di copertina, ritte sui propri gambi verticali a circondare una fanciulla (l’ipotetica lettrice del libro che, per vederci meglio, si copre gli occhi con i loro boccioli usandoli come lenti di un binocolo?), quando il fiore dell’amore fa la sua comparsa tra le pagine lo si ricorda più per le spine che per i petali; e per ogni storia, quasi fosse un marchio, ce n’è sempre un esemplare reciso da forbici assassine, che fanno stillare sangue al posto della linfa.

Zelda Fitzgerald

Giunta al suo quarto volumetto, e considerata nel suo complesso, la collana “Speriamo che sia femmina” si conferma una prova riuscita nella varietà delle realizzazioni e dei focus prescelti. Se il precedente Non è bella, ma… aveva suscitato qualche perplessità in chi scrive questo commento, Pazze. Tra genio e follia è, come i primi due casi, un esempio convincente di come avvicinare un pubblico di giovani (non più solo bambini, dunque, ma anche adolescenti) alla conoscenza di donne memorabili. In questa occasione, poi, il tema particolarmente delicato della salute mentale, fatto di processi tormentati ed esiti tragici, era tutt’altro che semplice da porgere: da una parte il rischio di confermare involontariamente un cliché, dall’altra il pericolo di ritrovarsi a proporre il disagio come modello o come condizione della creatività; nulla garantiva, insomma, l’assenza dei passi falsi della banalizzazione e del fraintendimento. 

Dalida
Senza negare, e anzi dichiarando già in apertura, il ruolo che la commozione e la fascinazione giocano in casi come questi, le due autrici sono riuscite a fermare tra le pagine venti artiste e professioniste che meritano di essere conosciute e apprezzate oltre lo stigma che le ha condannate a un’esistenza “eccessiva”, oscillante tra gli estremi dell’estasi estetica e intellettuale, penosa per troppa sensibilità, ambizione, creatività. L’invito implicito, come sempre in questi casi, è quello ad approfondire altrove le opere e le stesse vicissitudini esistenziali appena accennate, a farsi trascinare dalla corrente delle parole e delle immagini. Perché anche questo volume, da parte sua, non mira affatto all’esaustività e, come dichiara in apertura Roberta Balestrucci Fancellu, preferisce la suggestione breve: «il racconto scorre come un flusso di coscienza, con rari accenni biografici, per lasciarci libero accesso a quei meandri della mente e dell’animo in cui non tutti si inoltrano con la stessa disposizione». Fugaci come apparizioni fantasmatiche – del resto, tranne Yayoi Kusama, sono tutte defunte – queste venti donne appese e sospese “tra genio e follia” si palesano tra le pagine per dire un “ciao” e un “addio”: guardano in camera, bucano lo schermo, salutano dalla dimensione esclusiva di vite talmente intense da essere sceneggiabili. Pazze, sì, ma per pura esigenza di sintesi.


Cecilia Mariani

Tutte le immagini delle illustrazioni di Lucrèce sono pubblicate per gentile concessione della casa editrice Hop! Edizioni