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Ma davvero "le fiabe non servono a niente"? Il "fact checking" di Paola Zannoner

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Le fiabe non servono a niente
di Paola Zannoner
Laterza, 2025

pp. 108
€ 15,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

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Sono ormai diversi anni che Paola Zannoner coltiva il suo interesse per il mondo della fiaba: della sua raccolta dedicata avevamo parlato in una intervista specifica e già in quell’occasione era parso evidente che la sua passione era accompagnata da una profonda conoscenza del tema, e supportata da uno studio approfondito. La combinazione di questi tre elementi dà vita oggi a un breve volume, intitolato provocatoriamente e antifrasticamente Le fiabe non servono a niente, pubblicato nella collana “Fact Checking” di Laterza. Se solitamente gli argomenti esplorati nella serie sono di natura storico-politica, in questo caso il campo si allarga, perché molti e differenziati sono gli ambiti coinvolti dalla narrativa popolare («psicanalisi, psicoterapia, psicologia, antropologia culturale, etnologia, sociologia, storia, storia del cinema, linguistica, narratologia, semiotica», e persino la «medicina narrativa» (p. 87), elenca l’autrice).

Profondamente radicate nel proprio tempo grazie alle continue riscritture, eppure in grado di attraversare i secoli mantenendosi riconoscibili nei propri elementi di base, le fiabe appaiono oggi, è il caso di dirlo, le cenerentole dei generi letterari. Bistrattati, sottovalutati, a tratti temuti, spesso silenziati perché considerati inadatti alla modernità, i racconti popolari hanno bisogno di essere difesi, per poter tornare a essere realmente compresi. Come già intuiva Gianni Rodari, precorrendo la società iper-tecnologica, competitiva e prestazionale in cui i nostri giovani sono inseriti,

le fiabe servono soprattutto alla formazione della mente: di una mente aperta in tutte le direzioni del possibile. […] Le fiabe non servono ad allevare esecutori diligenti e limitati, consumatori docili e fiduciosi, subalterni soddisfatti ed efficienti, insomma gli uomini che servono a un mondo che abbia il mito della produttività. In questo senso le fiabe sono altamente improduttive, come la poesia, l'arte, la musica. Ma l'uomo deve anche immaginare un mondo diverso e migliore, vivere per crearlo. (p. XI)
Ecco allora perché, in una struttura che riprende e decostruisce i principali luoghi comuni rispetto a questa forma di narrazione, Zannoner restituisce alle fiabe la loro originaria dignità, che deriva dall’essere impastate di tutto ciò che è lo stare del singolo nel mondo, senza reticenze, per mostrare attraverso figure archetipiche il percorso esistenziale di ogni singolo individuo, le scelte che è chiamato a compiere, le biforcazioni e i luoghi oscuri, o gli incontri pericolosi, che è tenuto ad affrontare. Nel mostrare ai bambini, ma non solo a loro, la complessa materia di cui è fatto l’uomo, rappresentano un fondamentale stimolo all’accettazione di sé, e alla fiducia nelle proprie qualità.

Tutte inscenano il percorso della vita e in particolare il passaggio dalla vita infantile, innocente e inconsapevole, a quella adulta e consapevole, che viene segnato da "prove" e ostacoli apparentemente insormontabili e che richiedono di sconfiggere sentimenti distruttivi come invidie e gelosie non attraverso prove di forza e battaglie, ma tramite qualità umane, come il coraggio, la compassione, la generosità, la solidarietà. (p. 21)

Nonostante la presenza del meraviglioso, la fiaba è il terreno dell’umano, e questo condiziona anche la forma della scrittura (il linguaggio è semplice e immediato, talvolta ricorsivo, e spesso attinge al parlato e alle sue frasi idiomatiche). In questo senso, la fiaba fa parte di un patrimonio condiviso, e realmente accessibile a tutti – non necessariamente attraverso la lettura, ma anche e soprattutto tramite la narrazione orale. Maneggiandone il materiale incandescente, ci si rende presto conto che la fiaba ha valore di per sé, al di là di quel che racconta. Proprio la pratica della condivisione, anzi, ci aiuta a fare i conti con il male che ci portiamo dentro, con le nostre ombre, siano esse individuali o comunitarie.

Mentre il mito è il racconto della relazione tra divino e umano, di ciò che è molto più grande di noi, la fiaba è il racconto terreno di ciò che è intorno e dentro di noi. (p. 23)

Il saggio di Paola Zannoner ci trasporta lungo direttrici spaziali e temporali inaspettate, dalle caverne sui Pirenei con le loro pitture rupestri alla corte del Re Sole, dalle rivisitazioni al miele di Walt Disney alla “società liquida” di Zygmunt Bauman, in un quadro che si complica progressivamente e invita il lettore a prestare attenzione, per seguire il racconto da un’epoca all’altra, attraverso paesi e addirittura continenti.

Partendo dalla prospettiva di chi la pratica e conosce bene, l’autrice cerca di abbattere lo stigma che marginalizza la letteratura per ragazzi, considerandola genere minore e esclusivamente veicolo di contenuti pedagogici. Non questo infatti è il senso della fiaba, che non a caso spesso non ha una morale esplicita, bensì l’attivazione di valori fondamentali quali «capacità di identificazione, immaginazione, empatia e cooperazione» (p. 54) che si mobilitano proprio nel momento dell’ascolto o della lettura del testo. Il piacere che si trae dalla parola, dalla narrazione, è esso stesso l’insegnamento più importante. Del resto, nota l’autrice, le fiabe insegnano attraverso formule magiche e filastrocche quanto la parola possa diventare agente trasformativo.

Ben lontane dall’essere perpetratrici di ruoli stereotipati, esse mostrano come si possa essere ribelli, come il potere possa essere sovvertito attraverso l’astuzia, o l’ingegno, come il prepotente non debba essere tollerato, ma affrontato, se non sconfitto. E grazie al loro vagare inquieto si fanno anche inno alla molteplicità, celebrando «la varietà rispetto all’esclusività, all’unicità» (p. 57).

Zannoner si infiamma, senza nascondere la polemica nei confronti di un certo mondo adulto, rispetto ai tentativi di edulcorare, se non addirittura censurare, la fiaba, e di conseguenza il mondo reale. La verità, fa notare, è un dovere nei confronti delle nuove generazioni, che solo mettendosi a confronto con le molte facce del male possono essere pronte a ciò che le aspetta.

Il mondo fantasioso che vogliamo per i nostri figli è un sedativo di umane ansie, le nostre ansie, di fragilità, pulsioni a noi sgradite, brutti pensieri e cattive intenzioni, perciò ci piace mostrare loro storie in cui […] il male si può benissimo negare e così non farlo mai entrare nelle nostre vite. Ma se noi non riconosciamo il male che pure è incistato da qualche parte dentro di noi e germina gelosia e invidia, non saremo in grado di riconoscerlo negli altri, in un mondo che tutto è tranne che il paradiso degli unicorni e delle fate rosa, in una società gelida e competitiva, narcisista, individualista, in cui i nostri figli dovranno vivere, scegliere come agire, come essere, ancorandosi a una sapienza meglio se tramandata, una saggezza che ha integrato le tante coloriture dell'animo umano, che sa quanto le storie possono elaborare emozioni e sentimenti. (p. 75)

E allora piuttosto che vedere la morte del lupo di Cappuccetto Rosso come una tragica profezia antiecologica, sarebbe forse meglio aiutare i bambini a cogliere il valore simbolico della bestia all’interno della narrazione (non può che venire in mente, in tal senso, anche l’illuminante intervento di Emanuele Trevi, Istruzioni per l’uso del lupo).

L’argomentazione di Zannoner si dipana attraverso i diversi capitoli, ed è come se tutte le domande conducessero alla risposta, fondamentale, all’ultima: a cosa servono le fiabe, oggi?. E se la risposta, come per l’arte e la letteratura, dovrebbe essere che non servono a niente, poiché non hanno un’utilità pratica, misurabile, immediata, è invece altresì vero che esse sono fondamentali, e se non servono a tutto, quantomeno servono a tutti, e a tutti possono trasmettere sottopelle, e al di là di qualsiasi formalizzazione e didascalismo, modelli adeguati per un ben (e un bel) vivere.

Carolina Pernigo