Quanta solitudine! Viene da pensarlo, nelle prime pagine di Il frastuono del mondo, nuovo romanzo di Sebastiano Martini appena uscito per Voland. Incontriamo subito il suo protagonista, Orlando Ferrero, un agente immobiliare non molto fortunato negli ultimi tempi, stanziato temporaneamente a Trieste per affari. Di lui scopriamo presto la nostalgia per una vecchia foto ormai sbiadita che porta sempre con sé, così come l'abitudine di mandare messaggi a un destinatario che non gli risponde, di cui ignoriamo a lungo (ma non per sempre) l'identità. Orlando è il tipo che guarda il mare triestino e si perde nella sua apparente calma, tra pensieri e ricordi. Tende ad ambientarsi presto, ordina un "capo in B" al posto di un espresso, osserva ogni passante e ogni avventore dei bar dove si ferma, e non solo con lo spirito del mediatore; lo fa, invece, con una genuina curiosità. Ma c'è un tormento che non riesce davvero a sedare: un acufene da anni – e specialmente di recente – gli ha tolto la pace e rende impossibile raggiungere il silenzio. Dovunque vada, e specialmente lì a Trieste, il frastuono del mondo c'è sempre, e non lo può mettere a tacere. Può dire quello che vuole un venditore ambulante del mercato, che gli promette per cinque euro «il rimedio al frastuono del mondo» (p. 27): delle cuffie con il cavo tagliato. A Orlando questa sembra solo una truffa, ma le cuffie col filo tagliato, oggetto apparentemente inservibile, torneranno più in là, in circostanze inquietanti.
Mentre noi lettori ci acclimatiamo nella scrittura analitica di Martini, che si muove e scandaglia la realtà attorno al suo protagonista, si chiarisce la scoperta che lascia senza parole Orlando nella prima pagina. Su un giornale locale, una notizia attira la sua attenzione: un suo vecchio amico dell'adolescenza, di cui ha perso le tracce, è stato trovato morto in circostanze poco chiare.
Leggeva e rileggeva Orlando, e ogni volta univa puntini, ricordi, tracce di passato che collimavano col presente. Non poteva che essere lui, quel Simone Nardi dell'articolo, figlio di un dirigente nel ramo assicurativo, anche anno e luogo di nascita tornavano; il suo amico di gioventù, il romano, come lo chiamavano gli altri, Simo, come lo chiamava lui. (pp. 36-37)
E immediatamente si affaccia il senso di colpa. Cosa affligge Orlando? Non lo capiamo immediatamente, perché ci mancano delle tessere di passato da recuperare attraverso analessi che Sebastiano Martini centellina, attraversando varie fasi di quell'amicizia breve ma intensa, quando sia Orlando sia Simone vivevano ad Asti. Dalle corse in motorino alle discussioni sulle ragazze, dalle ore trascorse insieme alle volte in cui Orlando ha difeso Simone, da tanti ritenuto troppo strano.
Allora Orlando sente che il suo mandato a Trieste si è concluso, ma non il desiderio di chiarire cosa sia successo a Simone. Sia chiaro, quella di Orlando non è una curiosità morbosa; invece c'è il desiderio di riempire tutto il tempo trascorso con qualche racconto, ricostruire quegli anni passati lontani, a partire da uno strappo improvviso di cui scopriremo anche la causa.
Benché il protagonista contatti altre persone e si misuri almeno in parte con verità scomode, non è tanto l'indagine esteriore a prendere spazio nel romanzo; è piuttosto l'indagine interiore a suscitare emozioni, riflessioni, in un rimuginìo che lavora sul rimosso e su quello che per anni è stato consapevolmente accantonato.
Il frastuono del mondo instilla con finezza la sensazione che esistono svolte decisive, che portano ad allontanarsi per non affrontare la realtà, almeno finché, un bel giorno, qualcosa non torna a chiedere il conto. E allora il senso di colpa – proprio come un acufene – non se ne va più. Ma Orlando ha davvero responsabilità per quanto ha vissuto Simone? Avrebbe forse potuto evitare questo esito drammatico?
Il dubbio accompagna il protagonista e accompagna anche noi di pagina in pagina, ma senza che si provino punte di angoscia o di disperazione; è invece un rovello costante, sottotraccia, che porta Orlando a rimestare in un passato in cui il concetto di giusto e sbagliato si muove lungo un crinale pericoloso: da un lato, la leggerezza adolescenziale di chi vuole salvarsi dal dolore; dall'altro il baratro dell'egoismo che condanna alla sofferenza chi amiamo.
Sebastiano Martini preferisce lo sguardo quasi filosofico sul mondo alla squadratura della realtà; fa del dettaglio uno strumento allusivo, e lascia che sia il lettore a dedurre più di un'interpretazione, a muoversi insieme a Orlando in un alternarsi ondivago e a tratti interlocutorio tra passato e presente.
GMGhioni
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