di Flor Canosa
Neo., novembre 2025
Volevo solo connettermi col sangue che usciva dal corpo. (p. 27)
Mi sento un lettore masochista: mi attraggono i libri che mi fanno male. Magari ho preso troppo alla lettera quello che scriveva Kafka a Pollak nel 1903, cioè che «ciò di cui abbiamo bisogno sono quei libri che ci piombano addosso come la sfortuna, che ci perturbano profondamente come la morte di qualcuno che amiamo più di noi stessi, come un suicidio», ma ammetto che quando, sulla mia scrivania, piomba un libro come Polpa di Flor Canosa, io sono contento.
Non abbiamo più bisogno della tortura né del carcere: abbiamo la paura. (p. 45)
Uscito in Argentina nel 2019 e successivamente pubblicato in Spagna e in Cile, il romanzo di Flor Canosa (sceneggiatrice, montatrice cinematografica e docente presso la Facoltà di Scienze Sociali dell’Università di Buenos Aires) sviluppa un mondo distopico, determinato da un regime che sorveglia ogni aspetto della vita umana: lo Stato stabilisce criteri per l’accoppiamento, proibisce le emozioni e vieta il dolore.
La verità è che la riproduzione umana è un sistema di controllo dei governi: non c’è vincolo emozionale che ci unisca ai figli che scegliamo, sempre che scegliamo bene. (p. 7)
Se in 1984 di Orwell il Governo limitava la parola (meno parole a disposizione significavano meno emozioni tra cui scegliere per comunicare), qui si assiste a un tentativo simile. L'ingerenza statale porta all'anestetizzazione degli individui, resi apatici di fronte alla vita e alla morte.
"Guardavo la morte."
"Non è niente, è come quando lasci del cibo fuori dal frigo. Si rapprende o si secca." (p. 16)
A proposito di dolore, un rigido protocollo stabilisce che chiunque deve autodenunciare qualsiasi episodio di dolore in tempi strettissimi, così da permettere agli ambulatori di intervenire. Il dolore viene trattato inducendo il paziente all’incoscienza. La mancata segnalazione comporta sanzioni durissime.
Non so da quanti anni hanno proibito il dolore. So che il primo passo fu di regalarlo nella sfera privata. Lo privatizzarono credendo di farlo scomparire. Sono astuti nel modificare le regole. Non potendolo eliminare del tutto, fecero come con il WEB: lo tolsero di mezzo progressivamente. (p. 16)
La medicina decise che qualsiasi manifestazione di dolore doveva essere trattata come un episodio autoinflitto, perché il dolore non aveva motivo di esistere in un ambito (il corpo) totalmente manipolato nei processi biologici del governo. Il corpo appartiene allo Stato; la sovranità sulla mente, invece, resta a ognuno di noi. (p. 21)
Da buon regime, sono previsti trattamenti differenti a seconda dei ceti di appartenenza. I ricchi hanno accesso a privilegi esclusivi, che includono la possibilità di disporre delle vite degli altri. Il potere economico si traduce in anarchia dei corpi degli altri.
I ricchi preferivano gli sport estremi. Avevano creato malattie personalizzate in laboratori speci fici per il semplice gusto di trasmetterle. Prendevano le ragazze dalle periferie, le drogavano, le scopavano in tutti i buchi, in gruppo, uno alla volta o tutti insieme, davanti ai loro figli piccoli, come rituale di iniziazione. Le contagiavano con quelle malattie da ricchi, infezioni che si inoculavano come trofei di virilità, e poi, nel migliore dei casi, le abbandonavano davanti alle porte degli ospedali. I ricchi avevano gli antidoti, erano esenti da qualunque sintomo. A volte osservavano quelle donne morire lentamente: diminuivano le dosi delle droghe in modo da renderle sempre più coscienti del loro martirio; curavano solo il proprio dolore, lasciavano a quelle sfortunate la lucidità per capire che stavano morendo in modo orribile. (p. 42)
Il testo introduce con chiarezza il quadro complessivo nella prima delle tre parti, dedicata a Irma, che a dodici anni eredita la casa della nonna morta.
Calcolavo che era morta da una settimana, giorno più giorno meno. Non avevo mai visto nonna prima. Madre si era distratta cercando soldi e gioielli negli armadi e mi aveva lasciata sola col cadavere in cucina. (p. 14)
Mentre divide l'ambiente con sua madre, Irma si punge con tre spine per palmo di una Santa Rita presente nel giardino della nonna. La ragazza scopre così il dolore, in un mondo in cui, come anticipato, il dolore è un crimine.
Le spine della Santa Rita si erano conficcate nella mia carne appena avevo afferrato il primo gambo secco e l'avevo tirato verso di me. Ogni spina a una distanza di cinque centimetri dall'altra. Approssimativamente. Tre spine in ogni palmo. Sei squarci palpitanti. L'interno del mio corpo usciva per la prima volta e il fuoco scorreva nel sangue. (p. 23)
Diventata adulta, Irma sperimenta una conoscenza radicale del proprio corpo attraverso il dolore che può infliggersi e il piacere che da esso deriva: nel sangue, la donna trova risposte a domande che non aveva il coraggio di porsi. Il sangue è vita; il sangue è rivoluzione.
Così, mentre coi vetri mi ferivo le labbra e strofinavo la vulva contro il bordo gelido della vasca sporca della vecchia, ho avuto il mio primo orgasmo. (p. 29)
Madre si era occupata di eliminare tutta la Santa Rita. Be’, non tutta. Ne avevo recuperato un pezzo prima che la polverizzasse. L’avevo conservato tra il materasso e le doghe del letto. Era un cilindretto, una piccola matassa di filo spinato. Lo mettevo nella parte interna delle cosce, perché non fosse visibile a nessuno. Così la mia pelle era perennemente marchiata di piccoli tagli: il marchio del piacere. (p. 31)
La donna è guidata da Lunes, che la sottopone a una rieducazione sessuale e cerebrale. Lunes, approfondito nella seconda parte, è un sadico affascinato dalla pratiche più condannabili. L'uomo conduce Irma in una estrema spirale di piacere/sofferenza. Ma il governo li spia attraverso un funzionario del RACK (la rete di informazioni statale). Il funzionario si nutre della loro relazione clandestina, ne assapora l’affinità misteriosa e violenta. E, gradualmente, medita di sovvertire anch'esso il regime.
Si potrebbe far finta di niente e pensare a Polpa come pura distopia, oppure dargli molto peso, starlo ad ascoltare. Questo duro romanzo politico profetizza una deriva terrificante del mondo di domani sulla base delle lezioni dell'oggi, e fronteggia le questioni del futuro non attraverso metadati o algoritmi ma attraverso la carne, il sangue, il corpo. Flor Canosa fa le carte a ciò che forse ci sta attendendo, evidenziando aberrazioni già riscontrabili nei regimi totalitari, dall’imposizione del pensiero unico alla censura, alla guerra ai dissidenti e al martirio dei corpi. In uno Stato che controlla le emozioni, un amore clandestino immorale fa da miccia alla ribellione. Sovvertire le regole dell’intimità infonde il coraggio necessario a opporsi all'arbitrarietà del Governo.
Daniele Scalese
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