pp. 190
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Il mondo immaginato da Aoi
Ikebe non appare così dissimile da quello che abitiamo. Lo immaginiamo quindi
collocato in un futuro ancora prossimo,
ravvicinato. Le persone sono impegnate in attività consuete, famigliari,
ciascuna alle prese con i propri drammi grandi o piccoli: la signora Imori, che
combatte battaglie accanite con il servizio reclami del centro di acquisto e
smistamento merci Grees; la signora Tone che legge la sua sfera di cristallo;
Hayashida, che custodisce i cancelli di Grees e nasconde dietro un sorriso la
sua grave malattia… Eppure, come suggerisce il titolo, fra loro si muovono robot umanoidi del tutto
indistinguibili a una prima occhiata. Il lettore stesso li smaschera solo
quando li vede, a fine aggiornata, attaccarsi a una batteria per la ricarica
energetica.
I robot sono intelligenti, pratici, efficienti.
Grandi solutori di problemi, affabili con chi li circonda. Il loro scopo
inizialmente non è chiaro, dipende però dalla funzione per cui sono stati
concepiti e prodotti. La dolce Waon, per esempio, assiste la signora Tone nella
sua caffetteria e la sera invia rapporti su quanto ha osservato. Le interazioni tra gli esseri umani, le relazioni, le affezioni, le risultano
strane, difficili da inquadrare e comprendere fino in fondo («quando si arrabbiano, ridono, o piangono,
brillano sempre di luce propria», p. 23-24). Anche Toaka, caporeparto alla
Grees, cerca di capire meglio i dipendenti, soprattutto Lily: ne nota le
qualità umane, l’empatia, la spontaneità, il coinvolgimento, ma li descrive
come qualcosa di estraneo, astratto. È soprattutto l’aspetto dei sentimenti, del lavorio psichico, che nessuno degli
androidi riesce a concepire. Laddove gli umani contemplano la luna, o i
tramonti infuocati, i robot leggono solo il tempo che passa nel mutare della
luce. Eppure qualcosa poco alla volta inizia ad agire anche in loro – un tarlo sottile, un dubbio che qualcosa di
importante sia appena al di là della loro portata: i ricordi, per esempio,
che si accumulano, portando con sé qualcosa di difficile da definire, una sorta di nostalgia, o di rimpianto,
o quella luce che sembra emanare da
qualsiasi essere vivente, che li attrae inspiegabilmente.

Nel frattempo, in città, sorge il problema non indifferente dello smaltimento delle AI umanoidi. Anche
alla Grees, accumulati in una montagna, gli androidi difettosi vengono dismessi
e abbandonati. Da qui è stata recuperata anche Waon, nata come «telecamera di sorveglianza», e rottamata
per un malfunzionamento. I responsabili dell’Istituto di Ricerca per il
Recupero delle Risorse stanno progettando nuovi
sistemi di riciclaggio. Non li disturba l’aspetto etico della questione, la facilità con cui gli uomini
decidono della sorte degli androidi, con cui spesso vivono e interagiscono («Poco male. In fondo si tratta comunque di
materiali di consumo”, p. 102). Il direttore, anzi, vede di buon occhio la
completa sostituzione delle AI umanoidi, accusate di creare «confusione emotiva»
e un insano affezionamento: «la cosa migliore è l’AI amorfa, altamente
performante e a risparmio energetico» (p. 125), spiega. Il manga di Aoi
Ikebe introduce però il tema problematico, disturbante, dell’esistenza di
creature a loro modo senzienti che vivono in uno stato di completo assoggettamento a un altro essere, che può
decidere della loro vita e della loro estinzione. Poco importa allora la loro
consapevolezza di essere figure dedite al servizio («non deve preoccuparsi per noi. Non importa se ci fondono o ci rompono.
Ci basta essere di aiuto, in qualche modo», 139): nella realtà quotidiana
immaginata e rappresentata, gli androidi creano
relazioni e legami con i loro umani di riferimento, diventano parte di
piccoli nuclei famigliari, insostituibili compagni delle giornate. Non sono
semplici «apparecchiature domestiche»,
ma esseri la cui principale funzione è seguire
e accudire l’uomo.

Il manga non si interroga
mai sulla liceità o meno di integrare nella vita umana gli androidi, che viene
data per assodata come parte di un progresso inarrestabile, né introduce il
dubbio che le AI possano essere una minaccia per gli umani. Il decentramento,
inusuale e prezioso, del punto di vista ci spinge a riflettere sul nostro ruolo in questo processo di cambiamento, su
come ci possiamo e doppiamo porre rispetto ad esso in un’ottica individuale e
sociale. Nella visione proposta da Ikebe, le AI umanoidi sono in grado di
integrarsi nella comunità umana, e di costituirne una parte rilevante, purché
si offra loro una missione compatibile
con la vita umana. Il problema, semmai, sono proprio gli uomini, che
continuano a ragionare per lo più in una logica di produzione e consumo, in cui
tutto – anche i rapporti di affezione e accudimento – può essere ridotto a
merce e quindi considerato sostituibile. Un romanzo che sembra parlare di intelligenza artificiale finisce dunque per parlare dell'umano: osservarlo attraverso uno sguardo esterno è l'occasione di chiedersi cosa ci caratterizza, cosa ci fa, in ogni occasione, brillare e a cosa non dobbiamo rinunciare per continuare a farlo.
Nel susseguirsi dei
capitoli, il manga intreccia le storie dei personaggi, rivelando trame nascoste
e creando una fitta serie di rimandi interni. La narrazione si dipana grazie al
tratto sottile e minuzioso dell’autrice,
abile tanto nella cura del dettaglio quanto nella creazione di paesaggi che
riportano le vicende dei singoli a un quadro più ampio, quasi universale. E la generosità e la gratuità di cui appaiono capaci gli androidi, comparate con la grettezza calcolatrice di alcuni dei personaggi umani, finiscono per lasciare nel lettore alla conclusione del volume un senso di commozione associato a una sottile malinconia.
Carolina Pernigo
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