Ebano (Heban, 1998)
di Ryszard Kapuściński
Feltrinelli, 2000
Traduzione dal polacco di Vera Verdiani
pp. 288
€ 11,40 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)
“Fin dall’antichità […] l’Africa ha sempre esercitato attrazione e timore. La paura che suscitava le permetteva di restare sconosciuta e incontaminata. Il suo interno fu per secoli efficacemente difeso dal pesante clima tropicale, da morbi un tempo incurabili e micidiali […]. Quest’impenetrabilità dell’Africa creò il mito del suo mistero: il cuore di tenebra conradiano cominciava fin dalle coste solatie del continente, appena sbarcati dalla nave. Al tempo stesso però l’Africa tentava, attirava con il miraggio di ricchi bottini e lauti guadagni.” (p. 77)
Ebano è un resoconto dei tanti viaggi compiuti in Africa, dalla fine degli anni Cinquanta a metà degli anni Novanta, da Ryszard Kapuściński, reporter conosciutissimo e celebrato, considerato un esperto di Africa e Medio Oriente, uno di quei corrispondenti che è facile immaginare, molto ingenuamente, vestito di una sahariana immacolata e con il capo avvolto in un turbante mentre a bordo di una Land Rover condotta da un’onnisciente guida locale attraversa deserti e foreste facendo tappa nei villaggi dove viene attorniato da torme di bambini festanti che lo accompagnano dagli anziani del posto, con i quali avrà lunghi colloqui da cui saprà trarre l’atavico sapere.
Bene, accantoniamo un momento i cliché e focalizziamoci sulla cruda realtà, ossia proprio quella che emerge dalle pagine di questo libro. Kapuściński descrive l’Africa con i suoi colori vividi, senza retorica e senza edulcorazioni; i diversi capitoli, che in realtà non hanno più di tanto una successione cronologica, restituiscono le caratteristiche principali di (quasi) un intero continente: l’Africa subsahariana viene presentata con splendori e miserie, in modo diretto e soprattutto mai giudicante.
Kapuściński narra in modo analitico le vicende che hanno segnato l’Africa in modo profondo, come il colonialismo e le sue eredità tossiche, le dittature sanguinarie dei vari Idi Amin e i crimini dei warlord del Corno d’Africa, lo scandalo dei bambini soldato e le faide insanabili fra Hutu e Tutsi in Ruanda, esponendo in modo puntuale ragioni, caratteristiche e conseguenze.
“[…] in Africa sono anni e anni che i bambini ammazzano in massa altri bambini. Oggi le guerre su questo continente sono praticamente tutte guerre tra bambini. […] Questi scontri armati tra ragazzini sono particolarmente accaniti e cruenti, in quanto il bambino, non possedendo l’istinto di conservazione, non sente e non capisce il pericolo di morte, non conosce la paura, portato dalla maturità.” (pp. 135-136)
Grande attenzione viene poi rivolta alle dinamiche sociali dei diversi popoli africani: dalla tradizione collettivista, giacché in Africa l’individuo da solo soccombe alle avversità naturali, alla rigida divisione tribale o – peggio ancora – in caste, al ruolo delle donne, bersaglio paradossale in quanto principali destinatarie degli aiuti umanitari, alla desertificazione culturale e politica lasciata dal colonialismo, al controllo delle masse attraverso le fedi religiose, all’abbandono del continente da parte dei soggetti più istruiti, aspetto quest’ultimo che permette e perpetua lo squilibrio nel rapporto di forze fra chi comanda e chi è comandato, fra carnefici e vittime.
Ebano, tuttavia, non è un mero elenco dei problemi che affliggono l’Africa: Kapuściński regala pagine meravigliose, traboccanti di colori e di vivacità, di mercati variopinti e rumorosi, di scuole elementari all’ombra di grandi alberi, di cerimonie del tè, di storie narrate e tramandate di generazione in generazione fino a diventare mito.
L’immagine romantica, quasi eroica, del Ryszard Kapuściński in sahariana è stata messa in discussione in più occasioni: sono stati posti dubbi sull'attendibilità e sulla veridicità dei suoi reportage, e in Polonia è in atto da anni un dibattito sul giornalista in seguito alla pubblicazione di una biografia nel 2010 che ne decostruisce e ne smitizza la figura, descrivendolo come uno stretto collaboratore del regime socialista negli anni della Guerra Fredda. Una parziale difesa di Kapuściński si deve a Zygmund Bauman, che commentando la biografia ne confermava le criticità fondamentali, riconducendole però al periodo storico di riferimento, in cui i compromessi con il potere costituito erano, in special modo per gli intellettuali, una condizione essenziale per la sopravvivenza, e considerandole quindi il prezzo da pagare per svolgere quel lavoro fondamentale che ha permesso di "diffondere conoscenza che ha poi rifuso in saggezza, cui tutti oggi possono attingere", portando quindi a compimento, proprio in senso oggettivo, il compito principale di un giornalista.
Stefano Crivelli
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