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Una danza di fantasmi incastrati dentro al mondo: "Ballata per le nostre anime" di Mauro Garofalo

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Ballata per le nostre anime
di Mauro Garofalo
Mondadori, 2020

pp. 348
€ 19,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Schioppettate in aria. È lui che li uccide. Sette colpi. Un attimo appena nel fugace perdurare dell’estate. Il vento tiene memoria. Così tutto scompare, permane, si affievolisce, ritorna. È l’anticipata stagione degli abbagli. Le parole segrete di chi può riconoscere. Il mormorio del bosco racchiude la storia d’ogni vita. Chi ha rubato il vento? Gli uccelli. Per donarlo. (p. 311)

Ballata per le nostre anime di Mauro Garofalo ricorda un illustre precedente letterario: l'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. La ricorda per la libertà del ritmo e per l'incrocio delle voci, per quel tentativo di catturare la vita umana descrivendo le vicende di un microcosmo, lì una piccola cittadina rurale americana, qui uno sperduto paesino nel cuore della Val Brembana. 
Una "ballata", dichiara subito il titolo, una danza di fantasmi, aggiungeremmo noi. L'autore dà voce alle anime protagoniste di una vicenda accaduta oltre un secolo fa tra i monti del Bergamasco.
La mattina del 13 luglio 1914 Simone Pianetti, uomo tranquillo, onesto lavoratore, padre di famiglia, uccise sette abitanti del suo paese, cinque uomini e due donne. Dopo aver compiuto il folle gesto, sparì sui monti e non venne più trovato; tutt'oggi il Pianetti è un ricercato per la legge italiana.
Un esercito di carabinieri venne dispiegato per cercarlo e una taglia venne posta sulla sua testa, la leggenda dice che la popolazione lo aiutò a nascondersi riconoscendo il valore del suo gesto rivoluzionario. 
Perché quella mattina d'estate Simone Pianetti imbracciò il fucile da caccia? Passato alla storia come il "Vendicatore della Val Bremabana", nella sua azione si celava la volontà di riparare a un torto, di avere riscatto. Non a caso, ancora oggi gli abitanti della zona dicono "Ci vorrebbe il Pianetti" quando si trovano impotenti di fronte a un torto.

Le sue vittime, tra cui il medico, il giudice e il parroco del paese, erano responsabili di una congiura che aveva portato al fallimento della sua locanda e del mulino che aveva preso in gestione. Gli abitanti del paese, spinti dall'invidia, dicevano che la famiglia Pianetti avesse stretto un patto col maligno per assicurarsi la fortuna negli affari. Erano stranieri e tali rimasero.
Ma tante altre cose si dicono di lui, in una storia in cui ormai si intrecciano inestricabilmente storia, mito e leggenda: che avesse un carattere sanguigno, che fosse imbattibile col fucile - lo chiamavano "la volpe dei camosci" perché pare che nessuno potesse sfuggirgli - che dopo gli omicidi scappò in America, alla ricerca di un nuovo mondo, che arrivato lì incontrò problemi con la mafia locale.

Certo c'è in lui l'alone del ribelle, del sopravvissuto e le sue gesta non hanno smesso di viaggiare di bocca e in bocca tra gli abitanti delle valli:
Erano sette e li ho uccisi. Il mio crimine risuonerà dentro i gusci delle castagne e le vipere, sui canini gialli delle volpi, il malaugurio dei corvi. Brandelli di una vita e di tutte le estinte. «Folle» diranno. E pure, li ho visti. I paesi senza più anime. Gli alberi sterminati dalla burrasca. La moria degli insetti. Le città sommerse. Chi sono stato, si domanderanno. Stringo forte il fucile. L’odore ferroso e il mugghio basso del ventre della valle. M’è rimasto da imparare il vento. (p. 336)
La storia del Pianetti rivive insieme a quella delle anime che con lui l'hanno vissuta: quelle dei morti ammazzati e quelle di chi l'ha incontrato, nel suo folle viaggio in giro per il mondo.
Il romanzo non è il canto solitario di un uomo misterioso, è una ballata corale di fantasmi che si prendono per mano, "creati dal turbine che dalle vette scende alle strade degli uomini." 

La contrada Lavaggi, "che si chiamava come le sorgenti, che trasportavano via i malanni a quelle altitudini di roccia", in realtà sembra proprio il luogo in cui il male arriva a manifestarsi nella meschinità, nella paura, nell'imprevedibile. E questo sembra fare Garofalo, raccontarci il male che arriva tra gli uomini e vive in loro.
La natura non è un elemento tra gli altri: è l'elemento principe, l'acqua in cui i personaggi si muovono scrivendo il proprio destino o recidendo quello degli altri. Il paesaggio delle montagne e delle valli è molto più di uno sfondo, è un segno del loro accadere sulla Terra:
Pure, cosa ne sanno gli uomini. Delle montagne e il frinire dei grilli. Questa notte stellata. Del tasso lento sulla via. Il gufo dagli occhi incendiati sopra il ramo. Le mie mani che tremano. L’incavo del tronco, la corteccia, anelli che raccontano chi girava le viti del mondo, il mutare negli anni, le alluvioni subite dalla spugna della terra, non certo gli affanni degli uomini. La voce di questa e di tutte le notti. L’eco d’ogni Tempo. Muoviamo passi sulla sabbia, calpestiamo esistenze come nulla fosse. Senza renderci conto della fragilità. Il rumore del vento. Il profumo del pino mugo al Fojér. I nevai e i ghiaioni sulle cime. Il mio nome. (p. 334)
I corpi, i grilli, il fruscio del vento, i tronchi, il passo dei camosci diventano un tutt'uno in una sorta di antologia di vite e cose incastrate dentro il mondo. Simone Pianetti appartiene alla foresta  e il suo crimine risuonerà per sempre "dentro i gusci delle castagne".
Per questo la sua storia è inafferrabile, perché lì continuamente si sposta, come un fantasma di libertà.

Mauro Garofalo gli rende omaggio con un romanzo che, a sua volta, sembra un po' inafferrabile, in cui i capitoli alternano la vicenda del protagonista alle altre voci. Una narrazione non lineare, fatta di inserti, ritagli di coscienza e di memoria, che ha il ritmo delle musiche di Nick Cave, Tom Waits, Fabrizio De André. Lo stesso autore, alla fine del libro, ci racconta di averle ascoltate per trovare quel raccordo tra metrica e voce che gli ha permesso di raccontare la storia di cui tutti "in qualche modo, facciamo parte – piante, rocce e animali compresi."


Claudia Consoli
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“Ballata per le nostre anime” di Mauro Garofalo ricorda un illustre precedente letterario: L’”Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters. La ricorda per la libertà del ritmo e per l’incrocio di voci, per quel tentativo di catturare la vita umana tra meraviglia e meschinità, descrivendo le vicende di un microcosmo che in questo caso è uno sperduto paesino della Val Brembana. È lì che nel luglio del 1914 Simone Pianetti, uomo onesto, lavoratore e padre di famiglia, uccide a sangue freddo sette persone. È una vendetta, una rivoluzione, il folle gesto di un uomo che da lì in poi sparisce e che nessuno ha più trovato. Il “vendicatore della Val Brembana” tutt’oggi viene ricordato quando si parla di torti e di vendette, le sue gesta, tra storia, mito e leggenda, passano ancora di bocca in bocca tra gli abitanti del luogo. Un inafferrabile fantasma di libertà che si aggira tra i boschi o tra le strade di New York. Lunedì mattina sul sito la recensione di @claconsoli che parla di questo romanzo come di un’antologia di vite e di cose incastrate dentro al mondo. #ballataperlenostreanime #maurogarofalo #librimondadori #mondadori #libridaleggere #librichepassione #romanzi #narrativaitaliana #inlettura #criticaletteraria #recensire #bookstagram #bookishlife #books #instabook #instalibro #instabooks #saturdaybooks #libridelweekend #bookwhorm

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