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#SpecialeMERIDIANI - Dentro l'apparente facilità dei versi di Umberto Saba

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Ci sono poeti che ci sconvolgono per la loro complessa capacità di poetare, per lo stile alto dei versi o per la forte ripresa dei classici. Ci sono poeti, come Umberto Saba, che sono invece in grado di colpirci per la loro semplicità apparente, che rende le poesie leggibili a più livelli (non a caso il poeta triestino è tra i più presenti nelle antologie scolastiche). L'ambizione di fare una "poesia onesta", priva di manierismi o di arzigogoli retorici, porta a leggere i suoi testi senza pregiudizi di sorta, con spontaneità: più si travalica il significato letterale e si guarda oltre, e più si prova un'estatica ammirazione per le libertà stilistiche e metriche e per la trasparenza lessicale. In fondo, in ogni componimento risuonano le parole di Saba in apertura della sezione Quasi un racconto del Canzoniere

AL LETTORE
Se leggi questi versi e se in profondo
senti che belli non sono, son v e r i,
ci trovi un canarino e TUTTO IL MONDO. 


L'autobiografia è una grande risorsa a cui accedere per dar voce ai ricordi e all'ispirazione: sono indimenticabili i versi dedicati all'infanzia sofferta, all'amata balia, al padre-assassino; le vie della sua Trieste; l'amore per Lina, che ricorre tra poesie colme di ironia e di tenerezza, nonché di quotidianità. Ecco allora che nella costruzione sapiente del Canzoniere, si dipana la trama del grande romanzo di una vita, cosa che rende l'opera al tempo stesso poetica e narrativa, leggibile a tratti, sì, ma anche in fila, come un appassionato ripercorrimento di sé. Lungo una vita, il Canzoniere testimonia pur nella sua omogeneità di intenti alcune importanti crescite compositive, che tuttavia non minano la struttura estremamente coesa e pensata dell'opera. 
Spiace quasi, quindi, riproporvi qui qualche poesia estrapolata dal suo contesto, strappata impunemente alle belle pagine del Meridiano in due volumi dedicato a Saba e curato da Arrigo Stara; vi consigliamo di leggerlo a partire dall'utile e brillante introduzione di Mario Lavagetto, per poi immergervi nella riconoscibilissima cifra stilistica dei versi sabiani. 

VERSO CASA
Anima, se ti pare che abbastanza
vagabondammo per giungere a sera,
vogliamo entrare nella nostra stanza,
chiuderla, e farci un po’ di primavera?

Trieste, nova città,
che tiene d’una maschia adolescenza,
che di tra il mare e i duri colli senza
forma e misura crebbe;
dove l’arte o non ebbe
ozi, o, se c’è, c’è in cuore
degli abitanti, in questo suo colore
di giovinezza, in questo vario moto;
tutta esplorammo, fino al più remoto
suo cantuccio, la più strana città.
Ora che con la sera anche si fa
vivo il bisogno di tornare in noi,
vogliamo entrare ove con tanto amore
sempre ti ascolto, ove tu al bene puoi
volgere un lungo errore?

Della più assidua pena,
della miseria più dura e nascosta
anima, noi faremo oggi un poema.

CITTÀ VECCHIA
Spesso, per ritornare alla mia casa
prendo un'oscura via di città vecchia.
Giallo in qualche pozzanghera si specchia
qualche fanale, e affollata è la strada.

Qui tra la gente che viene che va
dall'osteria alla casa o al lupanare,
dove son merci ed uomini il detrito
di un gran porto di mare,
io ritrovo, passando, l'infinito
nell'umiltà.
Qui prostituta e marinaio, il vecchio
che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante giovane impazzita
d'amore,
sono tutte creature della vita
e del dolore;
s'agita in esse, come in me, il Signore.

Qui degli umili sento in compagnia
il mio pensiero farsi
più puro dove più turpe è la via.

L'ORA NOSTRA
Sai un'ora del giorno che più bella
sia della sera? tanto
più bella e meno amata? È quella
che di poco i suoi sacri ozi precede;
l'ora che intensa è l'opera, e si vede
la gente mareggiare nelle strade;
sulle mole quadrate delle case
una luna sfumata, una che appena
discerni nell'aria serena.

È l'ora che lasciavi la campagna
per goderti la tua cara città,
dal golfo luminoso alla montagna
varia d'aspetti in sua bella unità;
l'ora che la mia vita in piena va
come un fiume al suo mare;
e il mio pensiero, il lesto camminare
della folla, l'artiere in cima all'alta
scala, il fanciullo che correndo salta
sul carro fragoroso, tutto appare
fermo nell'atto, tutto questo andare
ha una parvenza d'immobilità.

 È l'ora grande, l'ora che accompagna
meglio la nostra vendemmiante età.

DOPO UNA PASSEGGIATA
Quando fino ad un colle o lungo il mare
noi pure usciamo nelle belle sere
a passeggiare,
vedo che a tutti appare
cosa fraterna l'alleanza nostra.
Noi cui la vita tanto sangue costa
e tanta inusitata gioia rende,
nulla abbiamo che in vista il volgo offende;
siamo a tutti due buoni, due tranquilli
cittadini, a cui mèta è un buon bicchiere.
Solo nei cuori rispondono squilli,
si spiegano al vento bandiere.

E nei giorni di festa, se pur tanto
v'ha di strano, che cerco il più deserto
dei sobborghi, chi mai vedrebbe in noi
altro che due che cenano all'aperto?
Un marito che già ostenta un rimpianto
di libertà, la sua moglie gelosa;
non v'ha, dico, una cosa
che dai molti distingua, amica, noi,

noi che rechiamo in cuore
i nostri due avversi destini
d'arte e d'amore.

Introduzione e selezione dei testi a cura di Gloria M. Ghioni