in

CriticaLibera - Della morte e di altri demoni

- -

- UN PERCORSO TRA LE OPERE EDITE NEGLI ULTIMI TRE ANNI -

Eros e Thanatos sono sempre stati legati, non serve scavare tra migliaia di esempi letterari. Eppure, qualcosa in questi ultimi anni di pubblicazioni fa pensare che i due temi, oltre a intrecciarsi, si facciano continuamente guerra per avere l'uno la meglio sull'altro. Risultato? L'anno scorso è stato soprattutto l'anno dell'eros, con una riscoperta della letteratura erotica, un po' edulcorata per non sconvolgere troppo ma con quelle sfumature di malizia che hanno portato via per qualche ora la preoccupazione per la crisi economica dilagante (ne parlava anche Patrizia).  

Quel che forse è passato più sotto silenzio ma ha continuato a insinuarsi e a radicarsi nelle opere in uscita è il serpente della morte. Velenosissimo, non ha perdonato quasi nessuna opera recente: aveva ragione il Luperini a sostenere che con l'attentato delle Torri Gemelle s'è conclusa la (almeno apparente) spensieratezza del post-moderno. L'uomo è tornato a preoccuparsi delle problematiche ataviche, ma con alcune grandi differenze: se il sesso è riscoperto in prima persona, da io-narranti che sperimentano fino agli aspetti estremi, la morte è affrontata da narratori-testimoni, più o meno partecipi, ma sempre analitici nel descrivere il disfacimento e la corporeità. Persino in un'opera ironica come Di tutte le ricchezze di Stefano Benni si rintraccia il morbo del tempus fugit, che stanca il protagonista e istiga alla rinuncia dei sogni. 

Come è sempre avvenuto, fin dall'Iliade, la guerra è teatro drammatico della morte, e ai familiari non resta che fare i conti con un lutto destinato a perdurare, come nel caso dello straziante Caduto fuori dal mondo di Grossman, in cui il dolore autobiografico per la morte del figlio in guerra è cantato in una prosa lirica. Se Paolo Giordano preferisce la presa-diretta in un Afghanistan desertico, ma non arido di umanità nel suo Corpo umano, in Non passare per il sangue Eduardo Savarese ha seguito passo a passo il lutto, complicandolo con un amore omosessuale e con rapporti familiari non cristallini.

Le spire della morte hanno stretto la cronaca, ma il sibilo più caratteristico di questi anni non è la morte traumatica, ma il binomio malattia-agonia. Che sia accettata come inevitabile passaggio di generazione in generazione (come nella saga famigliare di Marcello Fois o nel romanzo Premio Strega di Carmine Abate), la morte segna solchi  che la narrazione non riesce a sanare. Frequenti sono le analisi da vicino della malattia: Emanuele Trevi, nel suo Qualcosa di scritto, impasta il tema della pazzia con elementi biografici, fino a proporre il ritratto impietoso e, al tempo stesso, ammaliante di una grande Laura Betti. 
Un'analisi spietata, quasi accostabile al Roth dell'Animale morente, sono il cancro dell'amata nel romanzo candidato allo Strega 2013 di Matteo MarchesiniAtti Mancati, e la lenta agonia del padre del protagonista di Vita e morte di un ingegnere di Edoardo Albinati: neanche ai famigliari è risparmiato lo sguardo-bisturi del testimone distaccato. Camere d'ospedale, elementi corporei e cupo materialismo tolgono all'opera di Albinati il tono da commiato commosso che troviamo, invece, nella biografia romanzata di Carlo Fruttero, ad opera della figlia. Maria Carla Fruttero sceglie di tracciare la parabola patena infrangendo il rigido ordine cronologico con frequenti richiami a questo o quell'aneddoto: anche nel momento del declino, l'obiettivo è celebrare con un sorriso l'estrema forza vitale del padre. Altrettanto struggente è l'addio in poesia che Patrizia Valduga dedica al compagno Raboni nel Libro delle Laudi: la poetessa, che ha saputo spesso indagare la morte con attenzione chirurgica nella Tentazione o in Corsia degli incurabili, negli anni '90 aveva già messo in versi Requiem, splendida raccolta per il padre morente. Anche col compagno sceglie la via della lirica, trasformando il viaggio nell'agonia in un saluto estremo alla vita insieme e alla presenza taumaturgica di Raboni per Valduga.  
Rileggere la vita dell'amato alla luce della morte non è quindi l'obiettivo di Fruttero e di Valduga, ma lo è per Zeruya Shalev, autrice del recentissimo Quel che resta della vita, in cui ogni singolo avvenimento è filtrato dal presente sofferente della protagonista, a letto, allo stremo. 

Una prospettiva nuova, prima inesistente perché è una realtà piuttosto recente, è quella delle badanti, che curano anziani più o meno gravi. Sono protagoniste, in tal senso, due felici opere prime, pubblicate rispettivamente nel 2012 e nel 2013: La badante di Bucarest di Gianni Caria e Il primo gesto di Marta Pastorino. Sono due opere in cui la brutalità delle operazioni di accudimento si intreccia a una forma tutta particolare di affetto per l'anziano che - ricordiamo - è pur sempre uno sconosciuto che paga più o meno giovani donne per una cura costante. La stessa percezione del tempo è cambiata, e la narrazione segue il declino depressivo e deprimente della malattia, tra desideri di rinascita e di svolta delle giovani donne protagoniste. 

Questo percorso ideale, che non mira a essere altro che una suggestione per il vostro sabato di lettura, può concludersi idealmente con un romanzo che racchiude un caso particolare di amore raccontato e percepito nonostante l'apocalisse personale della morte: Cuore cavo di Viola Di Grado

Al termine di questa nostra rassegna, viene da chiedersi cosa riserverà il futuro letterario: se il materialismo spinto porterà a inasprire ancora di più l'indagine medica sulla disgregazione del corpo e sull'effimero, o se si troveranno nuove chiavi di lettura per una meno angosciata corrispondenza d'amorosi sensi

Gloria M. Ghioni