Giunge alla sua Seconda edizione, dedicata alle Passioni e ambientata nella cornice suggestiva del Teatro Nuovo di Verona, Wunderkammer, il festival letterario organizzato da Neri Pozza. Quest’anno il programma promette una dominanza femminile, con una concentrazione su temi di attualità, a partire dalla prima ospite, la scrittrice francese Neige Sinno, che presto dialogherà con una straordinaria Alessandra Carati.
Wunderkammer, viene ricordato, è la stanza delle meraviglie, un luogo ideato e sognato in cui i lettori possano incontrarsi e dialogare, avvicinare e ascoltare gli autori, in cui la letteratura possa ritrovare i suoi spazi e celebrare il potere dei libri e delle parole. È proprio la passione, che in questa edizione del festival si celebra, ad aver dato vita alla casa editrice Neri Pozza grazie al desiderio del suo fondatore, ed è ancora quella a muovere ogni giorno l’intera filiera editoriale. “Fare letteratura è difficile, costa una fatica da piangere, ma è sempre un gesto potente e vitale”, diceva Neri Pozza. E all’insegna di questa vitalità, di questo atto che pare oggi quasi eversivo, si avvia la rassegna.
“Si impara ciò che si vuole, e spesso ciò che si vuole ha a che fare con le nostre passioni”, chiosa il Sindaco di Verona Damiano Tommasi nel dare il benvenuto al pubblico. Vivere secondo passione, sottolinea, è l’unico modo per vivere pienamente. Ciò che ci piace, del resto, è spesso anche ciò che ci viene raccontato bene, che ci permette di scoprire qualcosa di più su di noi o sul mondo. Da qui l’importanza dei buoni libri, delle buone storie.
“Neige Sinno inventa una forma, che plasma la materia narrativa. È con la forma che si confronta prima di tutto lo scrittore, e Sinno lo fa con straordinaria maestria, riuscendo a maneggiare una materia che poteva essere autocombustibile”, introduce Carati, ammaliata da una scrittura così stratificata e complessa, eppure anche così piana. Ne La realidad questo lavoro si approfondisce, si fa più sottile, continua a spiegare, perché in qualche modo subentra la liberazione da un materiale pericoloso. La realidad è un romanzo sul viaggio. Fin da subito viene enunciato il contenuto, così veniamo liberati dalla trappola della trama, siamo liberi di lasciarci spingere dall’onda della narrazione. Questo, aggiunge Carati, “è veramente un miracolo, qualcosa che ogni autore vorrebbe saper fare”. Sinno replica ammettendo la sua passione per la forma, per ciò che ti trasporta durante la lettura, come in un’avventura misteriosa, che si tende a sottovalutare. La realidad
di Neige Sinno
Neri Pozza, 2025
Traduzione di Luciana Cisbani
pp. 224
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
VEDI IL LIBRO SU AMAZON
Per quanto riguarda Triste tigre avevo proprio il timore di essere schiacciata da ciò che dovevo narrare, che la forma finisse per essere completamente dimenticata. Quando si parla di forma si parla di un concetto abbastanza astratto, del modo in cui qualcuno racconta qualcosa, che sia estetico, politico, letterario… sembra trasparente, ma è anche l’elemento più importante. È come in quella famosa battuta del pesce che dice all’altro: “Ma com’è l’acqua, è fredda? E l’altro risponde: “Ma cos’è l’acqua?”.
La mia passione per la forma mi anima da sempre e prima di arrivare qui ho fatto un sacco di cose che sono andare malissimo (poesia, teatro, romanzi…). Lo facevo perché avevo bisogno di sperimentare, e oggi ho la possibilità di presentare questi due libri, ma la forma a cui sono arrivata è partita da molto lontano. E anche in questo caso non è stato facile: non è stato facile trovare un editore per Triste tigre, sia in Francia che in Italia, tanto per i contenuti (la violenza sui bambini) quanto appunto per la forma, che può risultare ostica. Eppure il bello è che in ogni paese c’è stato un editore che ci ha creduto.
In entrambi i libri io parto cercando di essere molto chiara con i lettori: propongo loro il tema, e poi gli chiedo di perdersi durante la narrazione, di fidarsi di me che li accompagnerò fino al momento in cui inizierà a chiarirsi il senso del viaggio. Mi è ancora misterioso il fatto che i lettori si siano effettivamente affidati, mi abbiano seguito.
La realidad é stato scritto prima di Triste tigre e le avventure che lì descrivo sono ciò che mi ha portata a scrivere Triste tigre. Nel romanzo io parto e scelgo di seguire un gruppo di donne femministe che parlano di un certo tipo di violenza… questo mi ha permesso di arrivare a scrivere di un altro tipo di violenza. Mi ha fornito un linguaggio, una forma. Dopo averne visto l’efficacia, ha ricominciato a utilizzarla, per scrivere un altro romanzo, appunto Triste tigre. La realidad è un romanzo di viaggio, ma è anche e soprattutto un romanzo di formazione, scritto secondo i canoni del genere. I viaggi che racconta mostrano la me giovane che cerca di rispondere a una domanda che mi attanagliava da sempre: come riconciliare la letteratura, il linguaggio, e la realtà del mondo. La mia impressione di allora era che stare nella letteratura volesse dire non vivere appieno. Per questo seguivo la mia amica, perché lei viveva davvero, stava nel mondo reale. Alla fine la riconciliazione c’è stata, ho trovato il modo di coniugare la letteratura e l’azione politica sul mondo. Sono arrivata a un testo che è anche un testo performativo, che vuole andare attivamente in contrasto con la violenza del mondo.
I due romanzi, commenta Carati, hanno una forte dimensione politica, focalizzata sulla violenza che colpisce diverse comunità (il colonialismo, il patriarcato…).
Alla base di Triste tigre si riflette un conflitto che mi animava, la convinzione incrollabile che ciò che attiene alla nostra vita intima non abbia niente a che fare con la vita politica. Le cose non sono cambiate molto, c’è ancora la convinzione diffusa che le storie private non abbiano valenza pubblica, esterna all’io. Ma allora cosa deve fare chi vuole raccontare una storia personale? Non può parlare di politica? Nella mia vita ho avuto diversi incontri che hanno contrastato questa idea, ad esempio quello con le donne zapatiste, da cui ho imparato che se uno vuole cambiare davvero le cose deve partire dalla propria esperienza. Loro mi hanno dimostrato che la lotta per l’emancipazione parte da piccoli gesti, dalla quotidianità, e questa è una consapevolezza che ti arriva però solo vivendo le cose sulla propria pelle, facendone esperienza. In Triste tigre questo rimane sotterraneo, ma è pur sempre presente. La violenza di cui parlo riguarda me, solo me, ma noi siamo tutti connessi, e me ne sono resa conto perché ne ho fatto esperienza attraverso il mio corpo. Questo cambio di sguardo mi arriva dall’esperienza delle rivoluzionarie zapatiste. Ti viene sempre detto che la tua piccola vita individuale non è importante, che non lo è il tuo pensiero, che sei talmente insignificante che non puoi cambiare la realtà. Vedendo loro io invece ho capito l’importanza di riconquistare, ad esempio, i propri spazi. Questo sforzo rende degna la loro azione, la loro storia.
Proprio sul tema del corpo prosegue Carati, che sottolinea il carattere eversivo degli incontri femminili e femministi descritti ne La realidad. Quello che viene descritto è infatti sempre un corpo che sta nelle situazioni, che si immerge nel reale, che comprende l’importanza di un gesto buono nel farlo, non nel dirlo. Questo tipo di atteggiamento esistenziale radica il corpo nel mondo e ciò sembra particolarmente importante in questo periodo storico, in cui spesso ci si sente costretti o condannati all’inazione. “Ci sono momenti di grande tenerezza all’interno del romanzo, una dimensione profondamente umana, un apparato intellettuale che non diventa mai intellettualistico”, postilla Carati.
All’interno del romanzo vengono descritti quattro viaggi: in due cerco di arrivare a La realidad (senza riuscirci); gli altri sono legati all’iniziativa di alcune donne, contadine, che ne invitano altre per parlare di questioni prima più leggere, poi del tema della violenza. In entrambi i casi c’era stata un’affluenza numerosa, eravamo settemila persone. A posteriori io mi sono chiesta cosa mi sia successo in questi incontri, faticando a darmi una risposta. Era un gruppo estremamente eterogeneo dal punto di vista socioculturale, ma tutte siamo giunte alla stessa conclusione: che il cinismo culturale e politico permea tutti gli aspetti della nostra vita, senza che ci permettiamo più di metterlo in dubbio. Ciò che è buono viene subito etichettato come buonista. Ciò che abbiamo fatto noi è stato proprio cercare di smontare questo modo di ragionare, come quando si disfa una maglia a partire dal singolo filo scucito. Ci ha aiutato ovviamente il fatto che non ci fossero uomini. Siamo arrivate alla conclusione che abbiamo tutti qualcosa in comune, e che vogliamo che per tutti le cose migliorino. Può sembrare naïf, ingenuo, ma è anche coraggioso, perché nessuno osa farlo… cambiare le cose partendo dal basso. Questo mi ha riportato al fatto che io inizialmente non volevo scrivere della violenza sui bambini, come ho poi fatto in Triste tigre, perché per la mia formazione culturale mi era stato detto che non sarebbe servito a niente. E invece serve. E così ho iniziato a scrivere, per provare a cambiarla, la vita.
Carolina Pernigo
Social Network