Rifiuto
di Tony Tulathimutte
Edizioni e/o, settembre 2025
Traduzione di Vincenzo Latronico
pp. 288
€ 19,50 (cartaceo)
€ 11,99 (e-book)
Per mesi ricade in una specie di torpore in cui esce di casa quasi solo per lavorare. Le sferzate improvvise della solitudine la fiaccano a tal punto che una volta rimane intrappolata in bagno perché la maniglia di ottone della porta le risulta troppo faticosa da girare. Si procura tutto un assortimento di lividi sulle gambe, per via di una nuova goffaggine che in realtà è un rifiuto di manovrare adeguatamente il suo corpo, e smette di scostare il filo del tampone quando piscia, per cui se ne sta tutto il giorno col cordino umido nelle mutande. Non ha più voglia di uscire; ha la sensazione paradossale che tutti la odino anche se a nessuno frega niente di lei, non perché sia un prodotto scadente, ma perché è un prodotto scaduto. A letto, di notte, quando il silenzio è così totale che riesce a sentire persino il suo metabolismo, i rimpianti le scavano nel petto come artigli. Per non dimenticare mai quel dolore si fa dei selfie mentre piange, cercando gli scatti in cui sembra più gonfia e stravolta per avere la certezza di non tradire mai, negandola in futuro, la disperazione che avrà provato in passato. (p. 73)
Dico subito che questa è una delle raccolte di racconti che più mi è piaciuta quest'anno, e non sono state poche quelle che ho letto e recensito. Proprio qualche settimana fa mi capitava di leggere In Forme di Dolki Min edito da Add Editore e Il mio primo libro di Honor Levy edito da Mercurio Books (rispettivamente, romanzo e raccolta di racconti) e ho notato che tutti e tre avevano qualcosa in comune, ovvero l'uso che le persone contemporanee, soprattutto le più giovani, fanno dei social media.
Nel caso di questo testo di Tulathimutte, autore americano di origine asiatica noto per la scrittura satirica e affilata (è stato osannato per il suo Cittadini privati e paragonato spesso a Yellowface di Rebecca Kuang) è senz'altro preponderante la componente millennial - tutti i protagonisti sono sui trent'anni più o meno, in alcuni casi più giovani - e quindi l'onnipresenza dei social media, delle chat, delle app, dei forum e di una certa indagine spietata sull'identità di genere e la sua terminologia attuale.
I racconti sono sette, slegati tra loro a parte Ahegao e Main Character che condividono due personaggi, Kant e Bee, fratello e sorella, e un pov invertito su alcuni eventi che li coinvolgono.
Metto le mani avanti e dico che non è una raccolta di facile digestione: alcuni dei personaggi sono obiettivamente insopportabili, eccessivi, sgradevoli al limite del disgusto, ma questi eccessi sono perfettamente calibrati e trattati per raggiungere uno scopo: raccontare cosa fa il rifiuto alle persone.
Difatti, il fil rouge del testo è proprio questo sentimento: nel primo racconto Il femminista, un uomo cerca in tutti i modi di sforzarsi di essere dalla parte delle donne e puntualmente, quando desidera una relazione, un amore, un affetto, viene rifiutato. Sì, è carino, è dolce, è così intelligente, ma tutti lo scaricano, anche quelli che dovrebbe essere i suoi amici o amiche. Dopodiché, cosa ironica, diventa una specie di incel assassino.
Nel secondo racconto Pics, Alison è una donna disperata, masochista, ossessiva, che viene friednzonata da un amico con cui una volta è andata a letto. Nella sua testa quella sarebbe stata la storia d'amore della sua vita, nella realtà si trattava solo di sesso occasionale. Alison non si renderà mai conto della differenza, e continuerà imperterrita, in un flusso di coscienza frenetico, a stalkerare l'amico persino durante il suo matrimonio con un'altra.
Una notte cercando di interrompere quelle abitudini consolatorie che la spingono a odiarsi in un modo nuovo, intimo e speciale - adatta un esercizio del suo vecchio psicologo, che le aveva detto di scrivere una lista di cose che amava di sé; invece fa una lista di tutto ciò che odia di Neil. Tanto per cominciare l'ha rifiutata. Non è così bravo a letto, né così attraente, e ha un po le mani bucate. Una volta ha dato buca alla sua festa di compleanno, anche se per scusarsi le ha regalato un bomber molto carino. La storia dei capezzoli era un po' cringe, no? Forse ha dei mommy issues? Ma tutti i maschi hanno dei mommy issues. E pure daddy issues. Ne ha anche lei. A dirla tutta, rileggendo la lista, il problema non è tanto che quasi ogni cosa che c'è scritta vale anche per lei, ma anche che non c'è nulla di davvero terribile, il che ne fa una specie di riepilogo della perdonabile umanità di Neil, rammentandole che le cose sarebbero potute andare molto diversamente se lei fosse stata una persona migliore. La cosa che più la ferisce è che lui ha fatto bene a rifiutarla. (pp. 80-81)
Nel terzo racconto, quello più tosto, Ahegao, il rifiuto si manifesta da parte dello stesso protagonista, Kant, un ragazzo omosessuale che si masturba ossessivamente perché non riesce a tradurre e a confessare a parole quali siano i suoi desideri (la sorella, Bee, nel suo racconto, lo dirà quasi subito: Kant era un pervertito fin da bambino): desideri strani, pericolosi, socialmente non accettabili, che - ne è consapevole - se espressi lo farebbero rinchiudere in un manicomio.
Ci riesce, alla fine, scrivendo una lunghissima mail a uno sconosciuto che per lavoro accetta soldi in cambio di performance e stramberie sessuali, e non possiamo fare a meno di concordare con lui e con la sorella: Kant qualche rotella fuori posto ce l'ha.
Ma in tutto ciò continua a sentirsi in colpa al pensiero che le sue pulsioni erotiche polimorfe e ultraspecifiche prevalgano sull'affetto e la tenerezza e l'empatia; che la soddisfazione di quelle pulsioni sia l'unica cosa che la sua psiche sembra disposta riconoscere come amore. Se mai osasse chiedere ciò che vuole - se pure gli fosse possibile articolarlo, anziché percepirlo come un raccapricciante affresco di rabbiose immagini mentali - sa che Julian lo lascerebbe; o, peggio, che ci proverebbe una volta, rendendosi conto di stare insieme a un minaccioso degenerato, e allora lo lascerebbe. In ogni caso non lo aiuterebbe a liberarsi di quei desideri, magari anzi li alimenterebbe; ma allora perché stimolare un appetito insaziabile, perché non riprogrammarsi di modo da volere solo ciò che è buono e vero? (pp. 122-123)
E di fatto lo è: forse è pazzo e la tizia che l'ha mollato è un'ingrata, ma resta il fatto che sia pazzo.
Seguire il discorso di Bee è impegnativo, ma nel suo confronto con gli altri ritroviamo le difficoltà di oggi a comprendere le sfaccettature dell'identità di genere. Credo, tra l'altro, che questo racconto sia la cosa più onesta e realistica che io abbia mai letto sul tema.
Per tutto l'anno accademico, anche quando hanno smesso di odiarmi per la faccenda della limonaia, per sopravvivere in mezzo a loro dovevo lottare costantemente per non farmi fagocitare dalla pozza di perenne dibattito e posizionamento acrobatico ogni volta che ci sedevamo a cena. Dovevamo interrompere l'abbonamento collettivo all'Atlantic, vista la posizione della rivista sull'invasione dell'Iraq? C'era qualcosa di abietto nella queerness? Un uomo asiatico può avere un fetish per le asiatiche? I disturbi della personalità valgono come disabilità? La bellezza era un privilegio? (Lo so, queste conversazioni sembrano sospette, troppo au courant, ma vi garantisco che quasi tutta questa roba si è formata nella Bay Area dei primi anni Duemila. E in ogni caso una satira universitaria è tipo una caricatura, insomma, non ci sto andando tanto per il sottile). (pp. 204-205)
C'è della metafinzione e una iper consapevolezza quasi fastidiosa. Ma Bee non è un personaggio creato per farci sentire al sicuro, nessuno dei personaggi della raccolta lo è: ti spingono a farti due domande, a metterti in discussione, a pensare.
Ecco perché dicevo che i protagonisti sono un po' insopportabili: a prescindere dalle ragioni e dalle colpe, più che lisciarti l'ego te lo grattano con la carta vetrata.
La scrittura è sfidante, colta, sfaccettata, adattabile. Il tono e il genere variano dal tragicomico all'impegnato, con incursioni nel genere gore e porno (ricordatevi Ahegao); i social media sono un mezzo, sfruttato in modo ossessivo.
lo consiglio vivamente agli amanti dei racconti ultra-contemporanei, a chi non ha paura di leggere testi sfidanti che, una volta chiusi, lasciano strascichi duraturi.
Deborah D'Addetta
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