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"Miei fratelli perduti" di V.V. Ganeshananthan è una lezione di storia contemporanea

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Miei fratelli perduti 
di V.V. Ganeshananthan 
Neri Pozza, settembre 2025 

Traduzione di Luigi Maria Sponzilli 

pp. 383 
€ 20,00 (cartaceo) 
€ 9,99 (ebook) 

Qual è l'origine di un conflitto? Se lo consideriamo in generale, possiamo ridurre la causa a una parola sola, spesso odio oppure denaro. Ma se ne cerchiamo una privata, personale, per la quale un individuo molla tutta la sua vita, mette in gioco il suo futuro e si unisce a una schiera di combattenti, vedremo che, come al solito, la realtà si rivela più sfaccettata di quanto sembri. Ganeshananthan in Miei fratelli perduti ce lo mostra con uno sguardo obiettivo, mai freddo né distaccato

Come potrebbe, d'altronde? È americana, ma di origine singalese e per questo molto vicina al tema della guerra civile in Sri Lanka. Il conflitto è ricorrente in tutti i suoi romanzi ed è il perno narrativo intorno al quale si sviluppa anche la storia di Miei fratelli perduti. L'autrice non ha vissuto sulla propria pelle gli scontri tra il governo e la minoranza tamil, eppure in queste pagine gli eventi acquistano veridicità, sia grazie all'osservazione autoptica della protagonista sia grazie alla trasmissione orale di esperienze altrui. 

La giovane Sashi narra in prima persona la sua storia e quella della sua famiglia, composta da quattro fratelli, due genitori e lei, appartenenti alla minoranza dei Tamil del paese. Già nel passato dello Sri Lanka – Sashi ci tiene a specificarlo – i Tamil hanno vissuto momenti tesi e di scontro a fuoco con la maggioranza governativa. Tuttavia, nel 1981 – anno da cui prende avvio il romanzo – i contrasti si rianimano: i Tamil continuano a volersi distaccare dal resto del paese e chiedono una maggiore indipendenza nel Nord e nell'Est dello Sri Lanka, lì dove la guerra sarà più intensa. Jaffna, patria di Sashi, è testimone, insieme al resto dei civili, degli avvenimenti più sanguinosi e terribili di quasi trent'anni di guerra. Quando la famiglia di Sashi si disperderà e la ragazza stessa sarà costretta a scendere a compromessi per tenere uniti i pezzi della sua storia, gli eventi prenderanno una piega drammatica. La guerra diverrà doppiamente civile, se possibile, perché farà combattere un intero territorio e distruggerà da dentro le famiglie. 

In questo contesto, però, Sashi coltiva il sogno di diventare medico per aiutare gli innocenti colpiti dal conflitto. Nel corso della narrazione, scoprirà però che non soltanto i fatti hanno un peso specifico nelle vite altrui, ma anche le parole. Ganeshananthan costruisce una protagonista ben delineata, dinamica e in costante evoluzione. L'ingenuità che la caratterizza all'inizio della storia non ha nulla a che vedere con il senso di realtà e il pragmatismo con cui metterà in salvo sé stessa e altre vite. Tale sviluppo del personaggio avviene proprio grazie alle testimonianze indirette di cui si è parlato in apertura. In quanto medico volontario, Sashi ha la possibilità di vedere con i propri occhi le sofferenze dei feriti e di assistere alle contraddizioni delle Tigri tamil – gruppo ribelle anti-governativo –, ma è grazie all'incontro con la dottoressa Anjali che incrementa le sue conoscenze della guerra. Sono i racconti altrui, le singole storie di singoli personaggi a fare maggiore presa su di lei. D'altronde è l'autrice stessa a impiegare il medesimo meccanismo: la guerra civile srilankese si colora di diverse tinte proprio grazie alle vicende personali di Sashi. 

È la scrittura a restituirci le testimonianze più preziose che diventano, in tal modo, indelebili. Lo sa Ganeshananthan e di rimando lo sa anche la sua protagonista. Sashi diventa appassionata di scrittura, si getta a capofitto tra le parole per esorcizzare la paura e il dolore e per dare un senso alle domande che la assalgono. Perché le Tigri tamil si scagliano con violenza contro la loro stessa gente? Perché l'India sta prima dalla loro parte e poi dalla parte del governo? E come avviene che fratelli e amici amati diventino terroristi? Sashi sembra chiederlo proprio a noi che leggiamo, rivolgendosi spesso e volentieri a un interlocutore generico tramite moniti frequenti.  

Dovete capire: la guerra non comincia un certo giorno. Il conflitto ti circonda gradualmente, nel modo in cui gli uccelli che si nutrono di carogne si radunano intorno alla vittima, finché ci sono così tanti predatori che l'oggetto della loro fame non è più visibile. (p. 123)

All'inizio del suo romanzo non sembra tanto perspicace nel rispondere ai propri dubbi; invece, più la sua scrittura si sviluppa, più lo fa anche il suo sguardo sul mondo. Sospetto che Ganeshananthan volesse proprio questo per la sua protagonista, che si formasse nel corso della storia, che infatti copre un arco piuttosto ampio di anni. Così Sashi passa dall'essere un'adolescente dubbiosa a diventare una donna decisa. 

«Con quale velocità il mondo si rimodellava! Forse anche a voi è morta una persona che conoscevate e riuscite a capire cosa voglio dire: l'orrore di sapere che tutto continuerà più o meno come prima» (pp. 282-283), è con una lucidità simile che Sashi ci racconta le consapevolezze appena raggiunte sulle delusioni e i traumi esistenziali. I fratelli del titolo – intesi probabilmente come quelli di sangue ma anche, in senso più largo, come tutto il popolo tamil – sono perduti, ma dalla sua parte lei ha lo strumento della scrittura per sviscerare le cause di tanto lutto. All'origine della guerra Sashi pone la rabbia, ma non solo personale, bensì una rabbia ereditaria. Questa definizione espone l'importanza del nucleo familiare, delle radici da cui si proviene, ma non vuole avere alcun intento giustificativo. Se i combattenti tamil si uniscono alla guerra, lo fanno a causa di una rabbia che passa di generazione in generazione. Tuttavia, se continuano a spargere sangue e odio, la scelta diviene autonoma. 

Può sembrare un discorso avvilente, e forse lo è. Miei fratelli perduti, d'altronde, non è un romanzo consolatorio, sebbene la voce narrante di Sashi trasmetta forza. Non c'è una morale alla fine, ma anzi un grande senso di ingiustizia avvolge chi narra e chi legge: i terroristi girano impuniti persino negli Stati Uniti, mentre gli attivisti pacifisti sono destinati a nascondersi come topi in patria. Eppure, lo stile di Ganeshananthan, per quanto talvolta faticoso alla lettura, restituisce un senso più semplice di collettività e partecipazione, proprio in virtù delle preziose impressioni personali di Sashi. Spesso ammonitrice, molto più frequentemente arrabbiata e triste, è una protagonista vincente. Restituisce l'idea che sia una sorta di doppio dell'autrice, anche lei in dialogo con i lettori per donare loro i dettagli della sofferenza di un intero popolo.  

Camilla Elleboro