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"Il sol dell'avvenire": il terzo romanzo della saga di Pierre Lemaitre (e la sua struttura che vuole un po' troppo)

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Il sol dell'avvenire 
di Pierre Lemaitre 
Mondadori, settembre 2025 

Traduzione di Elena Cappellini

pp. 600
€ 24 (cartaceo)
€ 15,99 (ebook)

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A volte Louis Pelletier sembrava avere la stessa età di quella casa, si aggrappava alle inezie, ripeteva all'infinito gli stessi aneddoti, le stesse storie, le stesse battute vecchie come il cucco che facevano ridere solo lui, senza accorgersi della malinconia che procurava a chi gli stava intorno. Trovò anche il modo di rilanciare la tradizione del "pellegrinaggio Pelletier" che ogni anno, a Beirut, commemorava la creazione del saponificio. Nella "casa di famiglia" di Plessis-sur-Marne, ogni pranzo domenicale era preceduto da una visita al frutteto all'ora dell'aperitivo, durante la quale i bambini dovevano meravigliarsi della buona salute degli alberi [...] Dovevano estasiarsi davanti ai meli, ammirare i suoi ciliegi come un tempo facevano con le sue vasche di olio di copra, mentre Louis daca libero sfogo alle sue emozioni lacrimevoli e ai suoi aneddoti ripetitivi. (pp. 43-44)

C'è un avvenire che si scorge in lontananza per la famiglia Pelletier; pare luminoso, solare, carico di speranze, avventuroso. Ma è anche sferzato da strani venti di minaccia che dietro il volto splendente del progresso celano le paure di un mondo che cambia troppo in fretta, e non solo per loro. 
I Pelletier, protagonisti della saga letteraria di Pierre Lemaitre, infatti sono tornati: dopo Il gran mondo (2022) e Il silenzio e la collera (2023), romanzi in in cui avevamo imparato a conoscerli e a familiarizzare con i loro caratteri e le loro imprese, questo terzo capitolo ci porta all’inizio degli anni Sessanta, al momento in cui i coniugi Louis e Angèle fanno ritorno in Francia.

Il saponificio di Beirut è stato venduto, il loro Paese natale li riaccoglie con i suoi tratti familiari, ma è un po' come quella famiglia da cui si torna quando un sogno vissuto altrove è naufragato.
Da qui la malinconia del capofamiglia Louis Pelletier che in questo sogno libanese ha creduto con tutto se stesso e che di Beirut ricorda ossessivamente i colori, le speranze, la ricchezza di un'avventura imprenditoriale che li aveva catapultati nel "Gran Mondo" prima delle crisi degli anni successivi.
La Francia degli anni Sessanta dà loro un nuovo benvenuto con tutte le sue novità: il consumismo con tutti quegli oggetti che prima non facevano parte delle case e ora ci sono, il battage dell'informazione pubblica sui giornali e nelle radio con le loro storie, gli scandali, i giochi di ruolo e di potere.
Parigi è la stessa di un tempo, eppure è così diversa, e così vale per i figli dei Pelletier: Hélène che ha inaugurato un programma radiofonico, François che è attivissimo come giornalista e cronista televisivo, Jean che nasconde (a dire il vero non troppo bene) i propri torbidi segreti. E con loro anche i nipoti, tra cui spicca la piccola Colette che piccola adesso non è più, soprattutto perché chiamata ad aprire gli occhi su quanto sa essere feroce il mondo. Li seguiamo ancora, mentre Lemaitre dipana i fili delle loro vite tra avventure, misteri, egoismi e pulsanti passioni.  
Per nessuno dei Pelletier le cose si prospettano facili, perché c'è chi deve lottare per tenere il proprio posto in questo nuovo mondo, chi è costretto a scendere a compromessi, chi parte per viaggi rischiosi, chi è vittima di se stesso e delle proprie malsane relazioni.
Pierre Lemaitre, senza dubbio capace autore di saghe familiari a sfondo storico, gioca sempre con i generi prendendo in prestito anche stilemi della narrativa di azione e di spionaggio - senza nascondere un debito-omaggio a John le Carré. Il sol dell'avvenire, infatti, è anche una storia di spie e di una guerra che ha diviso il mondo in blocchi avversari. 
Sembra che nel progredire, l'autore decida di allargare sempre più lo sguardo sul mondo.
Anche nei primi due romanzi non mancavano riferimenti alla storia (la guerra in Indocina, le lotte per l'emancipazione femminile, le violenze della polizia, la vicenda della diga che allaga il villaggio di Chevrigny - ispirato al caso della diga di Tignes - gli scandali degli aborti), ma in questo terzo libro il mondo e la Storia entrano ancora di più, lasciando un po' più in disparte l'interiorità di alcuni personaggi, in un affollarsi di dialoghi e scene sempre più esterne rispetto a loro. 

Probabilmente perché ben abituati dalla precedente trilogia Ci rivediamo lassù - I colori dell'incendio - Lo specchio delle nostre miserie (esempio molto riuscito di come letteratura e ricostruzione storica si fondano insieme), di fronte alla terza prova di questa nuova saga il tentativo di abbracciare tanti generi e di coniugare tutti questi temi — la memoria storica, la lotta sociale, il riscatto personale e la riflessione morale — sembra appesantire la narrazione.
Il sol dell'avvenire soffre di una struttura che vuole forse troppo: troppe tematiche coesistono, troppe atmosfere si alternano. Nel moltiplicare i registri e i generi, il romanzo sembra perdere di vista ciò che la letteratura dovrebbe sempre preservare: la restituzione autentica di un’esperienza umana. Il rischio è un affresco ricco ma disordinato in cui la varietà finisce per soffocare un po' l’emozione. 


Claudia Consoli