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La storia di una famiglia lunga cent'anni nella Venezuela del XX secolo: "Il sogno del giaguaro" di Bonnefoy, vincitore del Grand Prix du Roman

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Il sogno del giaguaro
di Michel Bonnefoy
66thand2nd, agosto 2025

Traduzione di Francesca Bononi

pp. 240
€ 19 (cartaceo)
€ 13,99 (e-book)

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«Nessuno si è mai inventato niente, Antonio. Le più grandi storie d'amore si trovano a ogni angolo di strada».

Quelle parole, unite alla sua proverbiale tenacia e al desiderio ardente di combattere quella battaglia, gli ispirarono un'idea. L'indomani, all'alba, ritagliò un pezzo di cartone, prese due sgabelli e, con passo deciso, si diresse alla stazione delle corriere, che era il più grande formicaio della regione. Al centro della sala centrale, sistemò uno di fronte all'altro gli sgabelli. In mezzo posizionò il cartone, sul quale, in nero e a caratteri cubitali affinché fossero visibili da lontano, aveva scritto la seguente frase: Ascolto storie d’amore. (p. 58)

Autore habitué nel catalogo 66thand2nd, Bonnefoy pubblica con la casa editrice anche questo romanzo vincitore del Prix Femina e del Grand Prix du Roman de l’Académie française, e a buona ragione, perché è uno dei romanzi più belli e coinvolgenti che io abbia letto quest'anno.  

Innegabili le somiglianze con Cent'anni di solitudine di Márquez, sia nella trama - anche qui abbiamo la storia di una famiglia nel corso di cento anni, tutto il 1900, a partire dagli anni '10-'20 fino alla fine del secolo - sia nel modo in cui l'autore tratta i rapporti d'amore tra i protagonisti, poeticamente e elegantemente, sia nella costruzione della struttura, divisa in quattro parti per altrettanti personaggi: Antonio, Ana Maria, Venezuela e Cristobal.

Ci troviamo in Venezuela e Antonio è un trovatello adottato da una barbona muta. La donna, ignorante e poverissima, non sa che salvando quel neonato donerà al Paese uno dei suoi medici più illuminati di tutti i tempi. Così la narrazione, nella prima parte dedicata proprio ad Antonio, alla sua infanzia e adolescenza fino al momento in cui incontra la futura moglie Ana Maria, ci racconta delle peripezie del ragazzo, prima pescatore, poi tuttofare in un bordello (pagine che ho amato moltissimo) poi contabile, infine - grazie a una serie di coincidenze fortunate - studente di medicina
La domanda viene spontanea: come fa un orfano povero in canna a emanciparsi in quel modo? C'entra una scatoletta per rollare sigarette che la donna muta trova nelle sue fasce e che nasconde la vera identità del padre di Antonio.

Antonio è un romantico, un sognatore, caparbio e testardo. Quando incontra Ana Maria se ne innamora subito e cerca di conquistarla con quel poco che sa dell'amore (e qui, in questa fase, mi ha ricordato molto Florentino Ariza de L'amore ai tempi del colera, ma con un'evoluzione molto più felice e fluida). Ana Maria, prima donna medico della sua regione - un evento che ha del miracoloso a quel tempo - se è possibile, è ancora più testarda e caparbia di lui. 
La loro storia d'amore è memorabile: insieme cambieranno il volto del paese, anche quando sotto la dittatura di Jiménez proveranno l'umiliazione, il dolore e la rabbia. Proprio in quei giorni verrà alla luce Venezuela, l'unica figlia della coppia.

La bambina, vivace, segaligna come la madre, non ha alcuna intenzione di diventare medico come i genitori: sogna Parigi, sogna di andare lontano, via da quel Paese in tumulto che le sembra così antiquato, piccolo, incomprensibile. E così, con lo stesso coraggio della madre nel diventare una donna medico, deciderà di mollare tutto e partire alla volta dell'Europa.

Solo una persona non fu affatto turbata da quel trambusto. All'epoca Venezuela era già una ragazza assennata e intelligente. Indifferente al caos che agitava il paese, non aveva una vocazione chiara quanto quella che aveva guidato la giovinezza dei genitori, ma era certa che il suo destino sarebbe stato all'altezza del loro, senza doverne seguire necessariamente l'esempio.

Dal giorno in cui era nata fino a quel mattino sinistro in cui il padre aveva squarciato la gamba di un pescatore, Venezuela aveva sopportato il peso della loro volontà, piegandosi all'immagine che si erano fatti del suo futuro. Ma quell'insistenza aveva sortito su di lei l'effetto contrario e, nella solitudine di una casa sempre vuota, la ragazza viveva secondo le proprie idee. Antonio, occupato a dirigere l'ospedale, rientrava soltanto per cambiarsi e dormire, attraversando le stanze come un fantasma, estraneo a tutto ciò che vi accadeva, senza minimamente sospettare che anche la figlia stava costruendo in silenzio il proprio tempio. Ana María, dal canto suo, consacrava la propria esistenza al reparto Maternità e alle visite nei collegi femminili. E dato che Eva Rosa, relegata nei vicoli ciechi di una vecchiaia insondabile, passava le sue giornate a confezionare corone per gli altari e ceri per i defunti, Venezuela si aggirava per casa come se vivesse da sola. (pp. 165-166)

La terza parte del romanzo si dedica alla sua partenza, ma non la segue: di lei sapremo attraverso delle lettere arrivate alla madre, tutte insieme, dopo un anno e mezzo di silenzio. Siamo negli anni '70-'80 ormai, il mondo incredibile in cui sono nati e cresciuti Antonio e Ana Maria non esiste più. Venezuela costruisce un futuro diverso, più attuale, si innamora a sua volta, troverà un lavoro e avrà un figlio, Cristobal, a cui è dedicata la quarta e ultima parte del romanzo.

Cristobal è un ragazzo peculiare, taciturno, pensieroso. Non ha quasi nulla della madre e dei nonni e vuole fare lo scrittore, ma non sa come. Per capirlo riavvolge il filo della vita della sua famiglia, tornando a Maracaibo nella casa della nonna Ana Maria, e provando a raccontare un sogno - il sogno del giaguaro - lungo cent'anni.

«Cosa stai scrivendo?».

«Non lo so. Un romanzo su Maracaibo, credo».

Lei rimase in silenzio.

«Non capisco nulla di romanzi» replicò. «Ma so che i contadini di Maracaibo sono convinti che, in ogni figliata di gatti, si nasconda un giaguaro. La madre, per precauzione, lo isola e lo scaccia per impedirgli di divorare gli altri. E così lui cresce in modo diverso. Si emancipa. Sono stati loro a costruire questa città. Siamo tutti figli del sogno di un giaguaro».

Quindi tacque. Si ricordò del produttore francese e delle mille storie d'amore che le sarebbe piaciuto interpretare.

«Promettimi che un giorno diventerà un film. Promettimi che un giorno farai di noi delle star». (p. 231)

Si tratta di un romanzo di ampio respiro, uno di quelli che raccontano la Storia; un romanzo opulento, sensuale, ricco nello stile e nei toni, nelle descrizioni ambientali, dei personaggi, dell'aggettivazione. Un perfetto romanzo sudamericano. 

Lo consiglio moltissimo agli amanti di Márquez, di Allende, a chi ama le storie familiari inserite nel panorama più ampio di un intero Paese e in un arco temporale altrettanto ampio. Piacerà molto anche ai romantici, ai sognatori, a chi ama il lieto fine ma senza patetismi o abbellimenti inutili. 

Deborah D'Addetta