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“Casa, dolce casa” di Andrea Kerbaker: un giorno per raccontare una vita

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Casa, dolce casa
di Andrea Kerbaker
Guanda Editore, settembre 2025
 
pp. 137
€ 16,00 (cartaceo)
€ 9,99 (e-book)

È sparito. Ti viene da ridere all'immagine dei loro sguardi smarriti, delle frasi smozzicate: Ma come, di nuovo?, Santo cielo, E adesso dove sarà andato, Ci mancava solo questa. (p. 135)

Così si apre la fuga di George Coleridge, quasi novantenne ospite in una casa di riposo inglese, protagonista del nuovo romanzo di Andrea Kerbaker. Casa, dolce casa è una storia che si svolge nell’arco di una sola giornata, ma in quelle ore ristrette riesce a riflettersi un’intera vita. Ogni dettaglio diventa significativo: l’aria di casa che torna attraverso oggetti dimenticati, pendoli che scandiscono il tempo, quaderni consumati, armadi pieni di polvere, il rumore delle pantofole sul pavimento. Sono elementi che sembrano secondari ma che, al contrario, restituiscono il senso più autentico della memoria; ciò che resta di noi, spesso, si trova negli oggetti che hanno accompagnato i giorni.

La scelta narrativa di Kerbaker è insolita e poco esplorata nella narrativa italiana, perché rischiosa: un narratore in seconda persona che accompagna George per l’intero romanzo, rivolgendosi a lui direttamente e guidando i suoi gesti. Non un “io” da cui parlare in prima persona, non un “lui” osservato dall’esterno, ma un “tu” che interpella il protagonista e insieme il lettore, descrivendo gli sguardi e dettando i pensieri. A un primo impatto disorienta, perché toglie la distanza abituale che il lettore è abituato a mantenere, ma presto diventa la chiave di lettura del libro. Il ritmo del testo rispecchia questa impostazione: non è spezzato né frenetico, non procede per frasi brevi, ma si allunga con regolarità, alternando punti e virgola che lasciano spazio al ragionamento. È una prosa che procede senza accelerazioni improvvise, in cui il tempo di una giornata diventa il contenitore di un’intera esistenza.

Per atmosfere e struttura il romanzo richiama due opere note della narrativa europea contemporanea: Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve di Jonas Jonasson e L’imprevedibile viaggio di Harold Fry di Rachel Joyce. Dal primo riprende il tema dell’anziano che evade da una casa di riposo, seppure senza la comicità farsesca e i toni picareschi; dal secondo la dimensione intima e riflessiva, dove il viaggio esteriore si intreccia a quello interiore. Casa, dolce casa si colloca idealmente tra questi due poli, scegliendo una via più sobria, che rinuncia tanto all’assurdo quanto al sentimentalismo, per restituire una commedia malinconica capace di alternare ironia e amarezza. A differenza dei due modelli, però, qui il tema dominante è l’abbandono: Il centenario si regge sull’ironia e sul continuo intreccio fra la vita del protagonista e i grandi eventi della storia contemporanea – dalla bomba atomica alle vicende politiche del Novecento – mentre Harold Fry racconta un viaggio che, per quanto doloroso, conserva il riferimento costante a una moglie viva in attesa. George, invece, è essenzialmente solo; le figlie hanno una loro vita, una famiglia, alla quale lui sente di non appartenere più.

Il tema della morte attraversa il romanzo in modo costante. George non la vive soltanto come prospettiva naturale dell’età, ma come presenza continua, che si incarna nel dialogo con la moglie scomparsa. In quelle pagine il tono si fa intimo e confidenziale, e ricorda da vicino la serie After Life, dove il marito confessa i suoi pensieri più segreti alla donna che non c’è più. È un rapporto che non si alimenta di retorica, ma di piccoli gesti e parole quotidiane: la moglie diventa il rifugio cui tornare, l’interlocutrice silenziosa capace di accogliere senza giudicare.

Accanto alla morte, il romanzo racconta con forza la solitudine. La vecchiaia, più che la malattia o il corpo che si indebolisce, è presentata come condizione di abbandono. I figli hanno la loro vita, i legami si allentano, il vecchio rimane indietro e scopre di non avere più un ruolo nel mondo. Kerbaker restituisce questa esperienza senza addolcimenti: 

Ma allora chi sei? Un vecchio, ecco la verità; un vecchio superato da tutto, e non c’è linguaggio edulcorato che ti definisca anziano o aver qualche cosa che possa rimediare a questa condizione desolante. (p. 94) 

Sono parole che non cercano consolazione, ma che dicono in modo netto cosa significhi invecchiare in un tempo che non sembra più nostro.

Eppure, Casa, dolce casa non è soltanto un romanzo di malinconia. L’ironia attraversa spesso le pagine, emerge nei rapporti con le infermiere, con gli altri ospiti della casa di riposo, con le situazioni che nascono dal contrasto fra la fragilità dell’età e la resistenza ostinata a farsi da parte. Lo humour alleggerisce la durezza e crea momenti di leggerezza, quasi di beffa, che impediscono alla narrazione di scivolare nel cupo. La fuga di George dura un giorno, ma assume il valore di un bilancio interiore. Ogni gesto, ogni ricordo, ogni pensiero diventa un passo verso la resa dei conti con sé stesso e con il mondo. In questo senso il romanzo non è tanto la cronaca di un’evasione quanto la parabola di una condizione: il vecchio che non appartiene più a ciò che lo circonda e che sente il bisogno di staccarsene definitivamente.

«Sì, questo ambiente soffocante è insopportabile; ma forse ora sei tu che non funzioni per il mondo, non viceversa. E te ne dovresti andare da tutto, non soltanto da qui». (p. 33)

Leonardo D'Isanto