Due donne, due situazioni diversissime, due sensibilità, due voci che sentiamo fortissime nel romanzo breve di Ilaria Bernardini. Amata è l'intreccio delle loro storie, un capitolo a testa, in un contrappunto che porta i lettori a misurarsi con le difficoltà nel diventare madre e, viceversa, i dissidi interiori di chi un figlio non lo vorrebbe, ma si trova ad aspettarlo.
Conosciamo per prima Nunzia, una studentessa di Lettere fuorisede, che a diciannove anni si ritrova incinta e vede improvvisamente sparire i sogni futuri: sente di non poterlo dire a casa, né può confidarsi con le coinquiline o con il padre del bambino, con cui non ha una relazione vera e propria. E poi incontriamo Maddalena, che nelle prime pagine ha un aborto spontaneo: non è il primo, e ogni volta le è sempre più difficile tenere a bada il senso di fallimento.
Dell'una e dell'altra avvertiamo i pensieri, i dubbi umanissimi, che ci trasportano nei loro due microcosmi, sconvolti e rivoluzionati dai loro corpi, dall'interrogarsi in chiave diversa sulla maternità, in una società fortemente giudicante. Non è un caso se Ilaria Bernardini premette al romanzo un corsivo in cui informa dell'esistenza delle Culle per la Vita, luoghi sicuri dove le madri possono «lasciare il neonato in maniera anonima, sapendo che verrà protetto» (p. 7). Ma è vero che questo diritto di non riconoscere il bambino può avvenire nel rispetto della privacy della madre? E che cosa accade nei dieci giorni in cui una neomamma ha il diritto di ripensarci, prima che il neonato diventi adottabile?
Sia Nunzia sia Maddalena non vivono i loro dubbi in solitudine: Nunzia si sente continuamente giudicata dal mondo esterno e non fa che chiedersi come gli altri vivrebbero la sua gravidanza, se solo sapessero; Maddalena si sente in colpa per non riuscire a diventare madre e, per questo, teme di essere la causa dell'infelicità di Luca, il suo compagno. Certo, Maddalena ha un'amica fidata che le può stare vicino, e in questo è più fortunata di Nunzia, che si isola, cercando di risparmiare il più possibile per non dover chiedere niente di più a casa, e soprattutto per non tornare e mostrarsi incinta.
Oltre a questo, attorno a Nunzia e a Maddalena c'è una società che giudica con superficialità, senza provare a calarsi nelle vite delle donne. Anche il giornalismo spesso scrive senza rispettare la privacy, né immaginare quale reazione genererà un determinato articolo diventato virale.
E questi aspetti, tangenziali solo in apparenza, rendono Amata non solo un romanzo sulla maternità – sulle adozioni, sulla rinuncia al proprio figlio, sul diritto di pensare in totale autonomia al proprio corpo –, ma è anche un romanzo profondamente civile, che porta ognuno di noi a interrogarsi sulla leggerezza con cui almeno una volta gli sarà capitato di riversare un giudizio affrettato. E anche per questo Amata andrebbe letto da tutte e tutti anche come esercizio di empatia, reso ancor più efficace da una paratassi che lascia vibrare i pensieri delle protagoniste tra un punto fermo e l'altro.
GMGhioni
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