Maschio nero
Sono un maschio nero, nient’altro. Un nero infinitamente uguale a tutti gli altri maschi di questo pianeta e infinitamente diverso da loro. Un maschio che non si può dire. Non importa il mio nome, lo presto a tutti gli anonimi. Che si prendano anche la mia faccia, il mio tono, il mio essere. Sono un uomo nero, la mia vita è una pagina intonsa su cui la mia famiglia e la mia comunità hanno proiettato le loro aspettative, e il mondo la sua reputazione e i suoi fantasmi. Tra gli interstizi stretti e schiaccianti resta una possibilità di vivere. (pp. 161-162)
In queste righe si condensa tutta la tensione identitaria che attraversa Maschio nero, esordio dello scrittore Elgas, pseudonimo di El Hadj Souleymane Gassama, giornalista e sociologo di origini senegalesi, che ha fatto della Francia la sua seconda patria. L’autore è una delle voci più autentiche e lucide nel panorama letterario africano contemporaneo. Conosciuto anche per il suo saggio I buoni risentimenti (e/o, 2024) Elgas ha costruito nel tempo una riflessione critica sui concetti come l’identità e la razza nel mondo postcoloniale. Maschio nero è il suo primo romanzo, un testo che mescola l’autofiction a uno sguardo sociologico e filosofico, e che interroga radicalmente il modo in cui il corpo nero maschile viene percepito e reso frammentato. È, infatti, un io frammentato, ridotto all’essenziale, quello che racconta la storia e i frammenti sono il corpo, la razza e il genere, carichi come sono di stratificazioni storiche e culturali. Tra questi «interstizi stretti» e contraddittori si inserisce la scrittura di Elgas, lucida, chirurgica e feroce, come il lettore avrà modo di scoprire sin dalle prime pagine del romanzo.
Il protagonista, di cui non conosciamo il nome, è un trentatreenne senegalese, antropologo, che vive in Francia dall’età di diciassette anni e sta attraversando una fase cruciale della sua vita. La narrazione si apre nei giorni immediatamente precedenti al conseguimento della laurea: occasione in cui egli rivede la madre che era rimasta in Senegal e che non vedeva da tantissimi anni. La figura materna è centrale in tutta la narrazione: il lettore la vedrà “fisicamente” solo nelle prime pagine, ma lei continuerà poi a essere presente nelle telefonate e nei pensieri del protagonista. È una figura ingombrante, quasi mitica, spesso incarna il detonatore di una riflessione più ampia su cosa significhi essere uomo, nero, figlio, amante, cittadino in una società europea che proietta sul corpo nero una molteplicità di stereotipi.
Il protagonista si muove tra relazioni con donne diverse - più o meno significative, più o meno occasionali - nell’intento di ricomporre la sua identità scissa tra la realtà delle origini e il “debito” della vita nei confronti di una madre che gli chiede sempre soldi da inviare in Senegal, e le aspettative del contesto europeo in cui vive. È innegabile che il rapporto con la madre sia tutt’altro che risolto: il protagonista le telefona per renderla partecipe dei suoi successi e dei momenti felici, ma più spesso pensa alla madre come a un peso di cui desidera liberarsi:
Più volte ero stato assalito da pensieri neri, e venivo brutalmente al nocciolo: e se me ne sbarazzassi? Se osassi il gesto della separazione? […] Fra noi esisteva solo un legame di dipendenza, che rendeva lei schiava dei miei soldi e me schiavo del dono iniziale. Interrompendo i doni avrei tagliato l’aorta ombelicale dei sentimenti che erano già stantii, derubati della loro naturale gratuità. (p. 104)
Maschio nero potrebbe essere considerato anche un romanzo di formazione, un percorso di consapevolezza che passa attraverso l’amore, il bisogno di amare e sentirsi amati e una riflessione più ampia sulla condizione di immigrato di colore. È impressionante la condizione di solitudine che porta il protagonista a vivere tra mondi, senza appartenere davvero a uno di questi. Ho trovato importanti, ricche di spunti su cui riflettere, le pagine in cui il protagonista racconta di una discussione accesa avuta col suo amico, nero come lui, un certo Djitock, che aveva dovuto fare i conti con i pregiudizi dell’europeo nei confronti del colore della sua pelle.
La cosa difficile è volersi bene per quello che siamo. […] La prima cosa che la gente vede è il tuo involucro. Sono stato a un passo dal vergognarmi del mio, dal rinnegarlo, ma poi ho capito che non sarei mai stato come quelli che consideravo a tutti gli effetti miei fratelli. I bianchi rispettano solo quelli che tengono loro testa, se non quelli che fanno loro paura. (p. 140)
Tra le tante donne che porterà a letto, due sono quelle a cui si legherà in maniera intensa. Si tratta di due donne diverse per aspetto e per temperamento: Mélodie, bianca, timida, dolce, affettuosa, nei cui occhi «intravedevo un vasto campo tranquillo, una fonte limpida, profonda e silenziosa» (p. 125) e Désirée, nera, spregiudicata e conturbante, che lo spinge verso un erotismo più libero, a tratti distruttivo.
Mi sentivo trascinato verso di lei da una forza irresistibile e tenebrosa. Il bisogno di vederla e toccarla era pari al desiderio di maledirla come un’amante malefica. (p. 224)
Nessuna delle due è idealizzata: Elgas tratteggia i legami senza alcun filtro romantico, con un realismo che non cede mai al cinismo. Le donne che incontra nel suo percorso per imparare ad amare, non sono figure salvifiche, la stessa Mélodie ha abissi da fronteggiare, che il lettore scoprirà tra le pagine. Chi sceglierà alla fine il nostro protagonista?
La penna di Elgas si distingue per una compostezza che conserva una certa eleganza, anche nelle scene intime più esplicite. Non indulge mai gratuitamente nel dettaglio, se non quando l’economia della storia lo richiede. È una scrittura senza sentimentalismi, la voce narrante è tanto limpida quanto crudele, anche verso sé stessa, perché smaschera la reticenza emotiva, la fragilità, il disagio del desiderio. I temi, che ho già citato sopra, sono decisamente densi: l’identità, i corpi, il sesso, l’amore. Gli ultimi due sono gli snodi portanti del romanzo e vengono affrontati con uno sguardo acuto e disincantato che respinge le semplificazioni ideologiche. In un passaggio particolarmente diretto, il protagonista osserva:
E che qualunque fossero i termini del contratto di seduzione uomini e donne avevano, se non lo stesso potere, almeno la stessa sovranità nella decisione e nel desiderio. Su questo si potevano certamente innestare schifezze quali il dominio, la forza fisica, l’abuso o la costrizione, ma restava il fatto che le donne non erano subalterne del sesso. Tutte quelle che avevo rimorchiato - e il mio tasso di riuscita non era malaccio - avevano in sé, a gradi diversi, la voglia di andare oltre le barriere morali. […] Il sesso non è il prevaricare degli uomini sulle donne, ma una condivisione in cui non ci sono l’uomo vincitore e la donna vinta, ma solo una razza comune in cerca di piacere. (p. 36)
Maschio nero è un romanzo intenso, che ci invita a riflettere sulle fratture culturali e sociali che hanno segnato l’uomo di colore in Europa. È un vero percorso di formazione che si intreccia con le tensioni dell’erotismo, dell’amore e della ricerca di sé, dimostrando quanto sia difficile vivere la propria identità senza rinunciare alla libertà del desiderio e alla responsabilità del sentimento.
Marianna Inserra
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